ORDINANZA N. 56
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI, Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio), promossi con ordinanze emesse dalla Corte di cassazione il 14 luglio 1977, dal Pretore di Sansepolcro il 20 febbraio e il 13 marzo 1978, dalla Corte di cassazione il 4 maggio 1978 e dai Pretori di: Arezzo il 20 marzo 1978, Pistoia il 30 ottobre 1978, Poppi il 15 novembre 1978, Varallo il 6 novembre 1978, Pistoia il 21 marzo 1979, Pieve di Cadore il 21 luglio 1979, Treviglio il 20 giugno 1979, Pieve di Cadore il 19 settembre 1979, Monsummano Terme il 5 novembre 1979, Pistoia il 7 novembre 1979, Monsummano Terme il 5 ottobre 1979, Isernia il 12 dicembre 1979, rispettivamente iscritte al n. 551 del registro ordinanze 1977, ai nn. 254, 255, 443, 667, 674, 678 del registro ordinanze 1978, ai nn. 292, 438, 650, 788, 852, 961 del registro ordinanze 1979 ed ai nn. 5, 53 e 79 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39, 222 e 347 del 1978, nn. 59, 168, 210 e 310 del 1979 e nn. 8, 22, 57 e 71 del 1980.
Visti l'atto di costituzione di Soldini Gustavo e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1980 il Giudice relatore Livio Paladin;
uditi l'avvocato Aldo Aranguren per Soldini Gustavo e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che le sedici ordinanze indicate in epigrafe hanno tutte impugnato - nei medesimi termini - la legge 18 dicembre 1973, n. 877 ("Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio"), per pretesa violazione degli artt. 70, 72 e 73 Cost.; che nelle ordinanze in questione si contesta la corrispondenza fra il testo dell'art. 1, primo comma, della legge predetta, quale era stato approvato dalla Camera dei deputati, e quello successivamente approvato dal Senato (e promulgato dal Presidente della Repubblica): data la sostituzione della particella "e" alla particella "o", operata nella parte finale dell'espressione "utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore", senza però che sul punto vi sia stata una nuova deliberazione della Camera; e che di conseguenza si desume - da tutti i giudici a quibus - l'illegittimità del procedimento legislativo di approvazione e promulgazione della legge in esame;
ritenuto che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la Corte dichiari infondata la proposta questione, in quanto all'indiscutibile diversità formale dei due testi - quello approvato dalla Camera e quello approvato dal Senato - non corrisponderebbe una diversità sostanziale; che in entrambe le Camere - stando ai lavori preparatori addotti dall'Avvocatura dello Stato il problema della definizione del lavoro a domicilio sarebbe stato affrontato da un medesimo angolo visuale, nonostante la ricordata sostituzione della disgiuntiva "o" con la congiuntiva "e"; che lo stesso Senato avrebbe infatti operato nella convinzione che l'art. 1 "contenesse la medesima disposizione già approvata dalla Camera dei deputati"; e che la formulazione definitiva dell'art. 1, primo comma, ben potrebbe significare che vi è "lavoro subordinato a domicilio se sia utilizzato macchinario (ovvero materiale) del lavoratore ed anche se sia utilizzato macchinario dell'imprenditore"; sicché spetterebbe alla Corte far prevalere "sulla constatazione meramente formale della insignificante diversità del testo legislativo approvato" - per effetto di un errore materiale - "la considerazione sostanziale della identità della norma voluta ed approvata dai due rami del Parlamento";
ritenuto, altresì, che nel primo dei due giudizi pendenti dinanzi al Pretore di Sansepolcro (reg. ord. n. 254/1978), è intervenuto l'imputato Gustavo Soldini, chiedendo per contro l'accoglimento dell'impugnativa promossa dal giudice a quo; che nell'atto di intervento (e in una successiva memoria) si nega che la promulgazione abbia potuto sanare il vizio in esame ed anzi si osserva che il vizio stesso avrebbe effetti tanto più gravi, in quanto la definizione del lavoro a domicilio costituirebbe la "chiave di volta" dell'intera legge n. 877 del 1973.
Considerato che nei procedimenti - sia penali sia civili - nel corso dei quali è stata messa in dubbio la legittimità costituzionale della legge 18 dicembre 1973, n. 877, si tratta anzitutto di applicare l'art. 1, primo comma, della legge stessa, per stabilire se le controversie in esame vadano o meno assoggettate all'apposita disciplina del lavoro a domicilio: sicché la proposta questione si appalesa con certezza rilevante - alla data di emissione delle varie ordinanze di rinvio - limitatamente a questa sola parte dell'atto legislativo impugnato; che, d'altro canto, il vizio denunciato sarebbe precisamente imputabile alla discordanza del testo dell'art. 1, già approvato dalla Camera dei deputati, rispetto al testo approvato dal Senato e quindi promulgato dal Presidente della Repubblica; che, nella prospettazione delle ordinanze di rinvio e degli atti di intervento, tale discordanza andrebbe attribuita ad un errore materiale, verificatosi nella trascrizione dell'art. 1, dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati e prima della corrispondente approvazione da parte dell'altro ramo del Parlamento;
considerato, però, che nel corso del presente giudizio è entrata in vigore la legge 16 dicembre 1980, n. 858 (intitolata "Interpretazione autentica e modificazione dell'art. 1 della legge 18 dicembre 1973, n. 877, recante nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio"): l'art. 1 della quale ha riaffermato - con effetto "dalla data di entrata in vigore della precedente legge 18 dicembre 1973, n. 877", secondo l'espressa disposizione dell'art. 3 - che "è lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità ... lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie e dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi" (mentre l'art. 2 reinserisce nella parte finale della definizione del lavoro a domicilio - ma con effetto per il solo avvenire - la disgiuntiva "o" in luogo della congiuntiva "e"); e che, pertanto, si rende necessario restituire gli atti ai giudici a quibus, affinché accertino se la sollevata questione sia tuttora rilevante.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti alla terza sezione penale della Corte di cassazione ed ai pretori di Sansepolcro, di Arezzo, di Pistoia, di Varallo, di Poppi, di Treviglio, di Pieve di Cadore, di Monsummano Terme, di Isernia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1981.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE - Cancelliere
Deposito in cancelleria: 7 aprile 1981.