Sentenza n.4 del 1981
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SENTENZA N.4

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.1. 27 giugno 1967, n. 460, convertito in legge 28 luglio 1967, n. 628 (vincolo di fabbricato a destinazione alberghiera) promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1975 dal Consiglio di Stato, nel procedimento civile vertente tra Torlonia Alessandro e Anna Maria e il Ministero del Turismo e dello Spettacolo, iscritta al n. 189 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del 2 luglio 1975.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1980 il Giudice relatore Antonio La Pergola ;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza in data 7 febbraio 1975 la IV Sezione del Consiglio di Stato ha, nel giudizio promosso con il ricorso di Alessandro e Anna Maria Torlonia contro il Ministero del turismo e dello spettacolo, sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.1. 27 giugno 1967, n. 460, convertito nella legge 28 luglio 1967, n. 628, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 41, terzo comma, e 42, secondo comma, Cost. La norma impugnata dispone che il vincolo alberghiero, già prorogato con il d.1. 23 dicembre 1964, n. 1357, convertito nella legge 19 febbraio 1965, n. 33, sia ulteriormente prorogato al 31 dicembre 1968. Il giudice a quo occorre precisare censura in questa sede la norma di proroga che ha per ultima abilitato l'amministrazione ad adottare il provvedimento, del cui controllo egli è investito; norma che dunque segue e rispettivamente precede le molteplici altre, con le quali è stato protratto il vigore del regime vincolistico in materia alberghiera, originariamente introdotto dal r.d.1. 2 gennaio 1936, n. 274, convertito nella legge 24 luglio 1936, n. 1692.

D'altra parte, la discriminazione, che sarebbe stata protratta in violazione del principio di eguaglianza, viene fatta risalire, nella serie temporale delle norme di proroga, al disposto dell'art. 1 della legge n. 358 del 1951. Quest'ultima norma statuisce che il termine di scadenza del vincolo alberghiero, previsto nell'art. 1 del d.lg.lgt. 19 marzo 1945, n. 117, è prorogato al 31 dicembre 1951; la disposizione del citato decreto, così richiamata, rimette, a sua volta, in vigore le altre, di cui all'art. 4 del r.d.1. 16 giugno 1938, n. 1280. Ma il legislatore del 1951 si soggiunge nell'ordinanza di rinvio non fa alcun riferimento all'art. 2 del decreto n. 117 del 1945, che aveva ripristinato il regime vincolistico anche con riguardo agli immobili adibiti ad albergo successivamente alla data di pubblicazione del decreto stesso. Di qui si deduce che a partire, appunto, dalla legge di proroga del 1951 il regime vincolistico è stato fatto operare esclusivamente con riferimento agli immobili destinati all'uso alberghiero anteriormente alla data, in detta legge fissata attraverso il richiamo del decreto del 1945. Con ciò sarebbe insorta quella diversità di disciplina, che si assume illegittimamente prorogata con la censurata disposizione del 1967.

La prospettata questione - rilevante, si osserva, perchè un'eventuale pronunzia di incostituzionalità della norma istitutiva del vincolo implicherebbe l'annullamento del provvedimento impugnato avanti al giudice a quo - sarebbe, altresì, non manifestamente infondata. La previsione del vincolo alberghiero potrebbe infatti rientrare nei limiti che circondano l'iniziativa e la proprietà privata, ma solo a condizione di serbare quella effettiva rispondenza alle finalità di pubblico interesse, o all'utilità sociale, che la Costituzione esige perchè la sfera qui garantita all'individuo sia legittimamente compressa. Nessuna idonea ed attuale giustificazione soccorrerebbe, tuttavia, per la discriminazione che nella specie sussiste fra gli immobili soggetti e quelli sottratti al regime vincolistico. Il criterio discretivo adottato dal legislatore poteva, si dice, trovare una base razionale fino a quando si è reso necessario mantenere, mediante il vincolo, il limitato patrimonio degli alberghi preesistenti alla guerra, e promuoverne d'altro canto l'ampliamento, eccettuando dalla proroga gli immobili di più recente costruzione e destinazione all'uso alberghiero. Diversa conclusione si imporrebbe con riguardo alle condizioni in cui sopravviene la norma censurata. Nel 1967 - avverte il giudice a quo - vi è già un patrimonio di nuove e più confortevoli attrezzature che soddisfano adeguatamente le esigenze del movimento turistico. Il vincolo sui vecchi alberghi avrebbe così cessato di servire allo scopo che lo giustificava. La disposizione che ne ha prorogato l'efficacia divergerebbe, in conseguenza, anche dai canoni costituzionali che governano la limitazione della proprietà e dell'attività economica private. La violazione degli artt. 41, terzo comma, e 42, secondo comma, Cost. è perciò dedotta come corollario dell'asserita arbitrarietà nella scelta del legislatore, che offenderebbe il principio di eguaglianza.

L'ordinanza di rinvio è stata regolarmente notificata e pubblicata.

2. - Nel presente giudizio non si è avuta costituzione di parte privata. Si è costituita la Presidenza del Consiglio, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, per dedurre l'infondatezza della questione. Il giudice a quo sviserebbe il senso e il fondamento della norma censurata. I vecchi alberghi sono, si deduce, i soli soggetti a vincolo perchè grazie alla collocazione nel centro cittadino e alle loro altre tradizionali peculiarità, attraggono il turismo di qualità ed assolvono quindi ad una funzione infungibile rispetto a quella degli alberghi di più recente istituzione, sorti in periferia e destinati al turismo di massa, meno sensibile ai valori di ordine storico e culturale. L'aver tenuto conto di questi dati non implicherebbe l'adozione di alcun irrazionale criterio discretivo, dal quale possa risultare la lamentata lesione dell'art. 3, primo comma, Cost.

Il procedimento discusso all'udienza del 16 gennaio 1980 veniva rinviato a nuovo ruolo con ordinanza n. 145 del 1980 e ridiscusso all'udienza del 10 dicembre 1980.

Considerato in diritto

1. - Nell'ordinanza di remissione è censurato in relazione agli artt. 3, primo comma, 41, terzo comma, e 42, secondo comma, Cost., l'art. 5 del d.1. 27 giugno 1967, n. 460, convertito nella legge 28 luglio 1967, n. 628, e così testualmente formulato: "Il vincolo alberghiero già prorogato con l'art. 3 del d.1. 23 dicembre 1964, n. 1357, convertito nella legge 19 febbraio 1965, n. 33, è ulteriormente prorogato al 31 dicembre 1968". Si tratta di un vincolo, infatti, più volte prorogato (ovvero ripristinato addirittura, quando esso fosse intanto venuto a scadere), con una serie di apposite norme, emesse non solo prima, ma anche dopo quella di cui è denunziata l'illegittimità: la quale ultima, com'è detto in narrativa, viene in rilievo in quanto è la disposizione di proroga che, in ordine di tempo, precede immediatamente il provvedimento impugnato innanzi al giudice a quo, abilita l'autorità amministrativa ad adottarlo, e ne costituisce, quindi, il fondamento. Quale esso è configurato nella legislazione che lo ha originariamente previsto ed è stata successivamente prorogata, il vincolo in questione grava sugli immobili adibiti ad albergo per destinazione del proprietario o per concessione risultante dal contratto d'affitto; tale destinazione è fissata dalla legge col prescrivere che l'immobile non possa essere né venduto né dato in locazione per uso diverso da quello alberghiero senza l'autorizzazione degli organi competenti, l'autorizzazione è concessa solo se risulti accertato che la destinazione alberghiera non sia necessaria alle esigenze del movimento turistico (analoga disposizione è dettata per il caso, contemplato nell'art. 2 del r.d.1. 16 giugno 1938, n. 1280, in cui l'albergo si trovi in un edificio che non abbia prevalente destinazione alberghiera); dove si accerta, invece, che la destinazione alberghiera è necessaria per i fini considerati dalla legge, la pubblica autorità, alla quale compete la suddetta autorizzazione, viene investita di altri poteri, diretti ad assicurare che ogni eventuale trasferimento o locazione dell'immobile avvenga nel rispetto del regime vincolistico. Sempre in conformità degli intenti perseguiti dal legislatore, locatori e locatari degli immobili interamente o prevalentemente destinati ad albergo sono, dal canto loro, assoggettati ad oneri di vario contenuto.

Ora, nell'ordinanza di rinvio non si nega al contrario, si riconosce pienamente che l'incidenza della disciplina testè descritta nella sfera spettante all'iniziativa economica o alla proprietà privata possa trovare qualche idoneo supporto nella Costituzione. La previsione del vincolo alberghiero ritiene, precisamente, il giudice a quo sarebbe, per un verso, riconducibile ai programmi e ai controlli che la legge determina, ai sensi dell'art. 41, terzo comma, Cost., per indirizzare l'attività economica, non importa se pubblica o privata, e coordinarla ai fini sociali; per altro verso se si guarda all'immobile adibito ad albergo non già "come elemento dell'azienda alberghiera", ma come "bene in se considerato, rispetto al proprietario" saremmo di fronte ad un limite del tipo prefigurato dall'art. 42, secondo comma, Cost., che serve a garantire ed attuare la funzione sociale della proprietà. Simili configurazioni verrebbero, del resto, suffragate dal grande ed evidente rilievo socio - economico dell'industria alberghiera, indispensabile al turismo di qualità e di massa, e al decisivo apporto che ne consegue per la bilancia valutaria. Le censure mosse alla norma in esame s'incentrano invece sulla violazione dell'art. 3, primo comma, Cost. A questo proposito, il giudice a quo risale al punto in cui, nelle vicende della legislazione, le disposizioni di proroga hanno, sì, mantenuto in vigore il precedente regime vincolistico, ma in un ambito più ridotto rispetto a quello dell'iniziale applicazione, lasciando ad esso sottoposti solo certi determinati immobili (nonché, s'intende, i soggetti che di questi sono proprietari o affittuari), e d'altro canto eccettuandone tutti i rimanenti altri. Il criterio discretivo al riguardo adottato sebbene, si dice, giustificato nel momento in cui è stato sancito dal legislatore avrebbe con l'evolvere delle circostanze perduto il suo razionale fondamento. Questo, in definitiva, è anzi l'unico assunto sul quale la Corte debba pronunciarsi, giacché necessariamente ed esclusivamente in base ad esso è anche argomentata la lesione degli altri parametri costituzionali invocati nell'ordinanza di rinvio. La disciplina del vincolo alberghiero si assume invero è rimessa al prudente apprezzamento del legislatore, che può e deve adeguarla al mutare delle condizioni di fatto; ciò si osserva d'altra parte sempre in aderenza ai canoni di utilità pubblica e sociale, che ex artt. 41, terzo comma, e 42, secondo comma, Cost. governano le limitazioni dell'iniziativa e della proprietà private. Ma, appunto, da questi canoni la norma censurata sarebbe venuta a divergere, sotto il riflesso dell'arbitrarietà della proroga, dedotta in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost.

2. - Così atteggiandosi il caso di specie, occorre, senz'altro, fermare l'attenzione sulla norma di legge che avrebbe instaurato la discriminazione, la cui successiva permanenza in vigore è denunziata come illegittima. Il giudice a quo identifica tale norma nell'art. 1 della legge 29 maggio 1951, n. 358, che dispone: "il termine di scadenza del vincolo alberghiero previsto dall'art. 1, secondo comma, del d.lg.lgt. 19 marzo 1945, n. 117, è prorogato al 31 dicembre 1951". Si deve aggiungere che il citato articolo del d.lg.lgt. n. 117 del 1945 rimetteva in vigore le norme dell'art. 4 del r.d.1. 16 giugno 1938, n. 1280, convertito nella legge 18 gennaio 1939, n. 376: l'uno e l'altro di questi atti legislativi avevano, a loro volta, disposto la proroga cessata alla data di scadenza prevista, il 31 dicembre 1943 della legge 24 luglio 1936, n. 1692, che detta la prima ed organica disciplina del regime vincolistico qui considerato. Il d.lg.lgt. 19 marzo 1945 intende, quindi, ripristinare quest'ultimo corpo normativo nella sua interezza, com'è ivi, al secondo comma dell'art. 1, precisato: "La legge 24 luglio 1936, n. 1692, avrà attuazione fino a cinque anni dalla cessazione dello stato di guerra". Sennonché, osserva il giudice a quo, la successiva legge n. 358 del 1951, sempre al fine di prorogare il vincolo alberghiero, richiama espressamente il solo art. 1 del suddetto decreto legislativo: essa non contiene, e nemmeno potrebbe ritenersi che abbia sottinteso, alcun riferimento all'altra norma di quell'atto legislativo (art. 2), in forza della quale, il regime vincolistico del 1936 veniva a ricevere applicazione anche nei confronti degli immobili destinati ad uso alberghiero successivamente alla data di pubblicazione del decreto medesimo. Tutti gli immobili adibiti ad albergo dopo tale data sono così rimasti - prosegue il giudice a quo - eccettuati dal vincolo, di cui la legge di proroga del 1951, e le susseguenti altre, hanno protratto l'efficacia. La differenza che ne risulta nel trattamento degli immobili sarebbe stata ispirata al legislatore del 1951 da un duplice e concorrente ordine di considerazioni: mantenere integro, grazie al vincolo che si prorogava, un patrimonio fin lì, in buona sostanza, limitato alle attrezzature turistiche preesistenti alla guerra; promuovere la costruzione di nuovi impianti ricettivi - del resto agevolata con altre apposite misure legislative - perseguendo al tempo stesso il più largo disegno della ripresa edilizia.

In questa prospettiva si sarebbe consentita la libera conversione ad altri usi degli immobili di recente destinazione alberghiera, esclusi dalla proroga. Profondamente diverse, però, sarebbero le condizioni in cui sopravviene la norma impugnata. Nel 1967, si osserva, il patrimonio alberghiero è ormai ricostituito, e la domanda di più moderni e confortevoli servizi viene adeguatamente soddisfatta dagli alberghi costruiti dopo la legge del 1951; la distinzione posta in detta legge tra gli immobili soggetti alla proroga e quelli invece esonerati dal vincolo, avrebbe così cessato, con le conseguenze sopra viste, di rispondere ai criteri di ragionevolezza e di utilità sociale, che la giustificavano.

3. - La questione è fondata. Per meglio chiarirne i termini, giova, tuttavia, subito considerare una norma della quale non si fa menzione nell'ordinanza di rinvio, e che risulta emanata già nel periodo compreso fra il d.lg.lgt. 117 del 1945 e la legge n. 358 del 1951: l'art. 26 del d.lg. del Capo provvisorio dello Stato 6 dicembre 1946, n. 424. Al primo comma, esso recita: "Le norme del decreto legislativo luogotenenziale 19 marzo 1945, n. 117, riguardanti la disponibilità degli immobili destinati ad uso alberghiero non si applicano nei confronti degli immobili che siano destinati ad uso di albergo, pensione o locanda, successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto"; ed aggiunge, al secondo comma: "Le norme indicate nel comma precedente cessano di aver vigore nei confronti degli immobili precedentemente adibiti ad uso di albergo, pensione o locanda che sono stati distrutti o danneggiati in maniera da essere inservibili all'uso al quale erano destinati e che vengono successivamente ricostruiti, qualunque destinazione essi ricevano".

La statuizione testé riferita esige un cenno di spiegazione. Il legislatore vuole, fin da questo momento, fugare le remore che l'ancora urgente ricostruzione edilizia può incontrare nel nostro settore, per via del regime vincolistico, ripristinato poco prima, con le norme del 1945, in tutto il suo rigore. L'intento traspare nitidamente perfino dal secondo comma, che da detto regime distrae gli immobili già destinati, ma distrutti o altrimenti inservibili all'uso alberghiero, e che vengono ricostruiti. Ma qui importa, beninteso, soprattutto la disposizione del primo comma, la quale rimuove il vincolo, una volta per tutte, con riguardo agli immobili adibiti ad albergo dopo l'entrata in vigore dell'atto legislativo che la contiene: questa statuizione abolitiva del vincolo (per il futuro, nel senso testé chiarito) è, allora, evidentemente presupposta dalla successiva legge di proroga del 1951, là dove, all'art. 1, si fa esplicito riferimento soltanto agli immobili destinati all'uso alberghiero prima della data di pubblicazione del decreto n. 117 del 1945. Il giudice a quo trascura questo dato della previgente normativa vincolistica, quando riconnette direttamente alla legge del 1951 ed ambienta nel relativo contesto temporale l'insorgenza della suddetta discriminazione. Ma ciò non tocca, va avvertito, quel che poi egli deduce in relazione alla ingiustificatezza della proroga. La censura, qual essa è formulata, deve, semmai, come è qui di seguito precisato, ritenersi fondata a maggior ragione. Disposizioni di legge intervenute tra il decreto da ultimo citato e il d.lg. Capo provvisorio dello Stato n. 424 del 1946, accolgono, nel prevedere cospicue provvidenze a favore delle industrie turistiche, il principio anch'esso, d'altronde, operante nella esperienza legislativa pre-bellica di istituire un vincolo alberghiero (venticinquennale, in questo caso, e soggetto a pubblicità), sui fabbricati che fossero ricostituiti, costruiti, ed ampliati con i contributi statali (art. 16 r.d.lg. 29 maggio 1946, n. 452: cfr. art. 1 r.d.1. 16 giugno 1938, n. 1280). É un diverso approccio del legislatore al modo di vincolare l'uso dell'immobile, e di instaurare quel controllo sulla proprietà e l'iniziativa private, che costituisce il riflesso dell'interesse, e qui dello stesso aiuto pubblico, all'espansione e al miglioramento dei servizi turistici. Ora, il vincolo in questione sopravvive accanto alla coeva soluzione così adottata, e grava di un onere in più gli immobili che avevano in precedenza ricevuto la destinazione prescritta. Questo si spiega nelle circostanze del dopoguerra, e alla luce delle conseguenti scelte del legislatore, che la Corte ha ricordato solo per la necessità di non diminuire le ridotte ed insostituibili attrezzature turistiche allora esistenti. Ma una tale esigenza, pressante per quanto fosse a suo tempo, è venuta affievolendosi, a misura che si è accresciuto ed ammodernato il patrimonio alberghiero; mentre la discriminazione introdotta nel regime vincolistico è troppo a lungo trascorsa da una proroga all'altra, sconfinando oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa. L'Avvocatura dello Stato obietta, è vero, che vi è una perdurante giustificazione della disciplina in esame. Il vincolo insisterebbe solo sui vecchi alberghi in quanto a differenza dei nuovi, sorti in periferia e destinati al turismo di massa essi si trovano nel centro cittadino, spesso illustrato da rilevanti fatti di storia e di cronaca, attraggono il turismo di qualità, e concorrono a formare il patrimonio delle attrezzature oggi disponibili con la loro peculiarità, consacrata dalla tradizione.

Sennonché, l'asserita distinzione ed infungibilità dei vecchi alberghi rispetto ai nuovi a voler ammettere che essa sia mai stata, e continui ad esser tenuta in conto dal legislatore non rileva per alcun verso nel presente giudizio. Il vincolo è stato imposto, sulla base del puro e semplice momento della destinazione dell'immobile all'uso alberghiero, per la esclusiva ed inattuale considerazione che si è detta; non in ragione del fatto che l'albergo stia nel centro urbano, e rivesta le caratteristiche preferite dalla clientela sensibile ai valori di ordine storico e culturale. Per come è congegnato, il regime censurato può in effetti - secondo la discrezionale valutazione degli organi amministrativi - ben applicarsi nei confronti di un qualsiasi immobile della periferia, e non, viceversa, nei confronti di un pur antico e pregevole edificio nel cuore della città: basta che il primo sia stato adibito ad albergo prima della data stabilita dalla legge, ed il secondo dopo. Sussiste, in conclusione, la lamentata lesione del principio costituzionale di eguaglianza. Il che esime la Corte dall'esaminare gli ulteriori profili della specie, prospettati in riferimento agli artt. 41, terzo comma, e 42, secondo comma, Cost.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 5 del d.1. 27 giugno 1967, n. 460, convertito nella legge 28 luglio 1967, n. 628.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1981.

Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 gennaio 1981.