SENTENZA N.143
ANNO 1980
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo e terzo comma, della legge 26 maggio 1978, n. 215 (norme in materia di mobilità dei lavoratori) promosso con ordinanza emessa l'8 febbraio 1979 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Galbiati Giuseppe e le Società UNIDAL e SIDALM, iscritta al n. 570 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 265 del 26 settembre 1979.
Visti gli atti di costituzione di Galbiati Giuseppe e della Società SIDALM;
nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 giugno 1980 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;
uditi l'avv. Leopoldo Leon per Galbiati Giuseppe, l'avvocato Mario Vitucci per la Società SIDALM, e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - La diffusa motivazione, svolta dal Pretore sulla rilevanza della prospettata questione di legittimità, resiste alle critiche della Presidenza del Consiglio e della SIDALM: basta riflettere che le eccezioni dirette al rigetto delle domande di merito del Galbiati in alternativa alle deduzioni di infondatezza della questione stessa esigono l'accertamento del carattere fraudolento della conciliazione sindacale e della sostanza dei rapporti tra UNIDAL e SIDALM (accertamento quest'ultimo di cui non può sfuggire la estrema complessità) per convincersi che il fondamentale principio della economia dei giudizi, pur in processo dominato dalla duplice direttiva della concentrazione e della immediatezza impressa con la legge 11 agosto 1973, n. 533, alla trattazione delle controversie individuali di lavoro, induce a ritenere opportuna la scelta operata dal Pretore di Milano.
Non a proposito, nel corso della discussione orale, ha invocato la difesa della SIDALM la irretrattabilità della conciliazione sindacale perchè non è questa sottratta al comune regime d'impugnazione degli atti negoziali per vizi della volontà, né si manifesta in termini il richiamo della sent. n. 103/1979, resa da questa Corte non in tema di pregiudizialità alternative, ma in riferimento a specie, in cui il giudice a quo aveva omesso la verifica della fattispecie della norma impugnata.
2. - Nel merito le questioni sollevate dal Pretore di Milano sono infondate perchè muovono dalla premessa che l'art. 2112, comma primo, cod. civ., costituisca un tipo di norma di ordine rafforzato se non costituzionale, in cospetto del quale dovrebbe soccombere il meccanismo di normativa, opportunamente esposta sul limitare della memoria del Galbiati, che ha per oggetto le crisi aziendali e la mobilità dei lavoratori.
Gli argomenti di contenuto economico-sociale, con grande impegno svolti dalla difesa del lavoratori al fine di virilizzare la premessa, non persuadono. L'affermazione che l'impugnato art. 1, ponendo nel nulla l'anzianità, faccia conseguire gratuitamente al cessionario il bene lavoro costituito da anzianità e professionalità dei dipendenti incorporate nell'azienda, non tiene conto dello stato di crisi, che, indipendentemente dalla normativizzazione che se ne è fatta dal 1977 e fuori dall'ipotesi dell'amministrazione straordinaria, prevista dal d.l. n. 26/ 1979, conv. nella legge n. 95/1979, rappresenta il più delle volte l'anticamera della dichiarazione di fallimento, la quale, a stare al codice civile, non provoca è vero la cessazione del rapporto di lavoro ma si limita, nella quasi totalità dei casi, a procrastinarla, esponendo poi i lavoratori licenziati dagli organi della procedura concorsuale, che non abbiano autorizzato la continuazione dell'esercizio dell'impresa, alle non celeri operazioni di ripartizione dell'attivo, nelle quali la laudabile novellazione dell'ordine dei privilegi effettuata nel 1975 non è sempre idonea a far acquisire il dovuto ai lavoratori ormai privi di occupazione.
Anche qui riceve conferma l'adagio che una cosa è la più fondata delle pretese e altra è la sua soddisfazione.
Né giova plaudire, come a più razionale scelta, alla ipotesi negletta dal legislatore, per la quale il personale dell'impresa in crisi, in corso di cessione aziendale, sarebbe trasferito alle dipendenze della impresa cessionaria e questa, per effetto della cessione, provvederebbe a licenziare, al termine del processo di ristrutturazione, il personale sovrabbondante; ipotesi che, se elevata a dignità di contenuto di norma cogente, impedirebbe sospetta la difesa del Galbiati agli imprenditori di dar vita a controfigure di se stessi onde rimanere titolari delle aziende cedute e di fruire della riduzione di personale ex lege.
Che riesce agevole obiettare che giudici civili, amministrativi e penali ben potranno esercitare il loro magistero per evitare le ipotizzate frodi alla legge.
Né ha pregio l'argomentazione diretta ad evidenziare che del risanamento delle imprese in crisi farebbero le spese i lavoratori perchè la collettività, la quale non consta soltanto di coloro che pongono a disposizione di altri energie di lavoro, contribuisce in guisa più che cospicua attraverso rivoli più o meno diretti ai finanziamenti, in difetto dei quali il ricupero delle imprese rimarrebbe sulla carta. Che poi i finanziamenti non siano illimitatamente utilizzati o vengano utilizzati per altre finalità, è vicenda che va accertata dalle autorità competenti e dai giudici dei diritti e dei reati.
Ne, infine, giova istituire raffronto tra impresa sana e impresa in crisi per argomentarne la offesa che all'art. 3 Cost. infliggerebbe il diverso trattamento riservato ai dipendenti dell'una e dell'altra , perchè sin troppo palese è la diversità di condizione, in cui versano le due figure di imprese tolte a paragone.
La maggior ampiezza del novero dei parametri di costituzionalità, indotti dal Pretore, rispetto agli artt. 3 e 36 su cui si è con maggiore intensità soffermata la difesa del Galbiati, non esime la Corte dal porre in rilievo l'assolutezza della proposizione, da cui il Pretore muove per stimare < abbastanza fondata > la questione di costituzionalità per violazione dell'art. 36, che, cioè, l'art. 2112, comma primo, cod. civ. garantisce la continuità del rapporto di lavoro nell'ipotesi di trasferimento di azienda.
Ben noti accordi sindacali, pur applicati nel senso, accolto dalla giurisprudenza ordinaria la quale mira a ridurre traverso impegnate indagini del concreto l'area dei licenziamenti collettivi, estranei alla legge n. 604/1966 (art. 11, comma secondo) e all'art. 18 legge n. 300/1970, smentiscono la conformità della proposizione al diritto vigente e vivente, il quale non consente lo si ripete di elevare la norma in esame a pietra di paragone avanti la quale dovrebbe cedere la normativa impugnata.
Disatteso, per le già esposte ragioni ricavate in parte da norme Vigenti e in parte dalla comune esperienza, il rilievo che l'applicazione dell'art. 1 e della legislazione pregressa e successiva, nella quale s'integra, sia finanziata dai soli lavoratori, vengono meno le censure di violazione degli artt. 1, 2, 3, 4 e 35, che, nella ordinanza di rimessione, rinvengono in quel rilievo l'unica base.
Né, infine, merita accoglimento la impugnazione basata sull'art. 4l, Comma secondo (per giunta menzionata nel solo dispositivo della ordinanza), la quale si ricollega pur sempre al ripetuto e più volte criticato rilievo di ordine economico finanziario.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità dell'art. 1, commi primo e terzo, della legge 26 maggio 1978, n. 215, sollevata in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4 comma primo, 35, 36 comma primo, e 41 comma secondo, Cost. dal Pretore di Milano con la ordinanza 8 febbraio 1979.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/07/80.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI – Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO – Leopoldo ELIA – Guglielmo ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI – Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE – Antonio LA PERGOLA – Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 30/07/80.