Sentenza n. 83 del 1979
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SENTENZA N. 83

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Leonetto AMADEI , Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 184, secondo e terzo comma, del t.u. 21 febbraio 1895, n. 70 (Testo unico sulle pensioni civili e militari), promosso con ordinanza emessa il 29 novembre 1973 dalla Corte dei conti sul ricorso di Gentile Francesco, iscritta al n. 272 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 26 maggio 1976.

Udito nella camera di consiglio del 22 marzo 1979 il Giudice relatore Leopoldo Elia.

Ritenuto in fatto

La Corte dei conti - sezione III giurisdizionale - con ordinanza emessa il 29 novembre 1973, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 184, secondo e terzo comma, del t.u. delle leggi sulle pensioni civili e militari 21 febbraio 1895, n. 70, per contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione. Tali norme prevedono, fra l'altro, la riduzione di un terzo della pensione e la ripartizione della medesima nella misura di un quarto a colui che ha prestato servizio e dei rimanenti tre quarti alla famiglia, durante l'espiazione di pena restrittiva della libertà personale, esclusi gli arresti, che non importi perdita del diritto relativo, protrattasi per un periodo di tempo superiore ad un anno.

Nella specie si era verificato appunto che Gentile Francesco, agente di P.S., era stato licenziato dal corpo con decorrenza 20 aprile 1963 in seguito a sentenza di condanna del tribunale militare territoriale di Palermo divenuta definitiva il 6 dicembre 1963, quando il tribunale supremo militare aveva rigettato il ricorso del medesimo Gentile, e, pertanto, eseguita.

La normativa in esame verrebbe a stravolgere la natura e la funzione del trattamento di quiescenza che, secondo la giurisprudenza della Corte, é retribuzione differita a fini previdenziali e dunque si porrebbe in contrasto con le garanzie fissate dall'art. 36 della Costituzione.

Il fatto poi che una successiva legge 8 giugno 1966, n.424, abbia riformato l'intera materia abrogando tutte le norme che disponevano, in conseguenza di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la perdita, riduzione, sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro ente pubblico al conseguimento ed al godimento della pensione e di ogni altro assegno o indennità da liquidarsi alla cessazione del rapporto di lavoro, legge che intende uniformare la normativa ai principi enunziati da precedente sentenza della Corte in materia (sentenza n. 3 del 1966), comporterebbe un'ingiustificata differenza fra la disciplina dei casi anteriormente verificatisi e quella dei casi successivi. Tale legge infatti ripristina la pensione e gli altri trattamenti di cui sopra solo a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla sua entrata in vigore (art. 2).

La ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 26 maggio 1976.

Nessuno si é costituito nel giudizio innanzi a questa Corte.

Considerato in diritto

É fondata la questione di legittimità costituzionale proposta dalla terza sezione giurisdizionale della Corte dei conti in ordine ai disposti del secondo e terzo comma dell'art. 184 del testo unico approvato con regio decreto 21 febbraio 1895, n. 70, sulle pensioni civili e militari.

Queste disposizioni, abrogate a seguito dell'art. 1 legge 8 giugno 1966, n. 424, prevedevano che durante l'espiazione di qualsiasi pena restrittiva della libertà personale, esclusi gli arresti, per una durata superiore ad un anno, le pensioni e gli assegni già conseguiti fossero soggetti alla ritenuta della metà, o di un terzo se il condannato aveva moglie non separata o figlie nubili o maschi minorenni a suo carico.

É evidente come tale normativa, ancora applicabile nel caso sottoposto al giudice a quo, contrasti con l'art. 36 della Costituzione, il quale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla sent. n. 3 del 1966), assicurando al lavoratore il diritto alla retribuzione gli garantisce anche quella parte differita di essa, da percepire per fini previdenziali, dopo la cessazione del rapporto di lavoro o di servizio: e ciò, indipendentemente da condanne penali o da provvedimenti disciplinari inflitti al pubblico dipendente.

In altre parole, l'art. 36, primo comma, Cost. assicura una particolare protezione alla retribuzione dei lavoratori in ogni suo aspetto, protezione che non può non estendersi al trattamento di quiescenza spettante al termine del rapporto, perché tale trattamento é Conseguito attraverso la prestazione dell'attività lavorativa e come frutto di questa. Del resto la Costituzione e la coscienza sociale considerano il lavoro come valore primario della Repubblica democratica, e questa considerazione si riflette sulla particolare tutela assicurata alla retribuzione differita, in cui consiste innanzitutto il trattamento di quiescenza (sent. n. 78 del 1967).

Peraltro, riconosciuta la fondatezza della questione proposta in riferimento all'art. 36 Cost., comma primo, deve essere considerata assorbita la denunzia di violazione dell'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 184, commi secondo e terzo, del t.u. 21 febbraio 1895, n. 70, sulle pensioni civili e militari.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 26 luglio 1979.