SENTENZA N. 12
ANNO 1979
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Leonetto AMADEI, Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 88 del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 19 ottobre 1976 dal pretore di Rovereto, nel procedimento penale a carico di Valle Elio, iscritta al n. 741 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 del 2 febbraio 1977;
udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 1979 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un'istruttoria penale a carico di Valle Elio, imputato del reato di omissione di atti d'ufficio, il pretore di Rovereto, rilevata l'impossibilità di contestare il fatto all'imputato e di interrogarlo a cagione delle sue particolari condizioni di salute, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 88 c.p.p. in riferimento all'art.24, secondo comma, della Costituzione.
Osserva il giudice a quo che la norma impugnata, prescrivendo la sospensione obbligatoria del procedimento penale solo nel caso in cui l'imputato sia totalmente incapace di intendere e di volere e non anche quando versi in tale stato di infermità fisica da risultarne menomate le facoltà mentali sino a renderlo incapace di attuare una valida forma di autodifesa, contrasterebbe con l'invocato principio costituzionale che garantisce il diritto all'autodifesa.
Il pretore di Rovereto non ignora che la Corte costituzionale, con sentenze 205 del 1971 e 213 del 1974 ha già dichiarata non fondata la stessa censura mossa all'art. 88 c.p.p. e, rispettivamente, al combinato disposto degli artt. 88 e 497 c.p.p.; tuttavia, pur condividendo sostanzialmente le argomentazioni allora svolte dalla Corte per dimostrare l'insussistenza di una lesione dei diritti della difesa nell'ambito del processo penale, prospetta un diverso pregiudizio a fondamento della riproposizione della questione.
Il pretore, infatti, individua nella mancata sospensione del procedimento, con conseguente rinvio a giudizio dell'imputato ed eventuale successiva prescrizione del reato, la possibilità di un pregiudizio per l'infermo, qualora altro giudice, civile o amministrativo, possa trarre, ai sensi degli artt. 27 e 28 c.p.p., dalla pronuncia di prescrizione e dagli atti del procedimento penale, elementi di prova a suo carico per la definizione di un distinto processo, civile o amministrativo.
Nessuna parte si é costituita in questa sede.
Considerato in diritto
La Corte costituzionale é chiamata a decidere se contrasti o meno con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, l'art. 88 c.p.p., nella parte in cui non prevede la sospensione obbligatoria del procedimento ove l'imputato versi in uno stato di infermità fisica tale da renderlo mentalmente incapace di attuare una qualsiasi forma di autodifesa.
Questa Corte, con le sentenze 205 del 1971 e 213 del 1974, ha già avuto occasione di respingere analoghe censure, per asserita violazione del diritto di autodifesa, mosse alla norma oggi nuovamente impugnata. In tali decisioni la Corte aveva osservato che anche infermità diverse da quelle espressamente previste da detta disposizione, ma produttive di eguali effetti, erano prese nella debita considerazione dal sistema processuale, sicché il diritto di difesa non risultava violato dall'art. 88 c.p.p., nel quale non potevano "ravvisarsi lacune di normativa che ne vizino il contenuto, con effetti pregiudizievoli nell'esercizio del diritto di difesa personale" (sent. 205 del 1971). Veniva ulteriormente precisato - nella successiva citata decisione - che non rilevava "a fronte della guarentigia difensiva costituzionalmente tutelata, la eventuale incidenza pratica, in punto di prescrizione del provvedimento di sospensione, o rinvio del dibattimento".
Esaminando nuovamente il complesso delle disposizioni processuali che, fuori dell'ipotesi di sopravvenuta totale incapacità di intendere e di volere, disciplinano il legittimo impedimento dell'imputato a rendere l'interrogatorio, a contrastare le accuse o a comparire in giudizio, può affermarsi che la difesa risulta adeguatamente garantita, in sede penale, oltre che dall'ausilio tecnico del difensore, dal diritto dell'imputato di ottenere il rinvio o la sospensione del dibattimento, finché non guarisca.
Non potrà quindi mai concludersi un processo penale a suo carico con una sentenza di condanna perdurando l'ipotizzata menomazione, sicché risulta esclusa la denunciata violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost.
Ché se poi l'infermità si aggravasse, il caso rientrerebbe nella espressa previsione dell'art. 88 c.p.p., con sospensione obbligatoria del processo.
Il giudice a quo, pur prendendo atto delle conclusioni deducibili dalla citata giurisprudenza di questa Corte, censura la norma impugnata per il caso in cui, verificatasi l'ipotizzata infermità nella fase istruttoria, il lungo protrarsi nel tempo delle condizioni di menomazione psichica derivante da infermità fisica possa determinare la prescrizione del reato.
L'eventualità che in un distinto processo civile o amministrativo si verifichi un pregiudizio per effetto della prescrizione intervenuta in sede penale, rappresenta l'unico elemento di novità denunciato dal giudice a quo, come possibile causa di violazione del diritto di difesa.
In proposito può rilevarsi che il tipo e il grado di infermità considerato nell'ordinanza di rimessione può, con il tempo, regredire, eliminando ogni problema, o aggravarsi, dando luogo alla sospensione obbligatoria del procedimento. Qualora permanesse indefinitivamente, potrebbe maturarsi la prescrizione del reato, e la conseguente sentenza di proscioglimento - priva di efficacia di cosa giudicata se emessa in istruttoria - non potrebbe arrecare alcun pregiudizio in altra causa civile o amministrativa.
D'altronde in questa - come in altra fase processuale - non può dirsi che l'imputato sia privo di qualsiasi difesa, essendo obbligatoriamente assistito da un difensore che potrà addurre tutti gli elementi a discolpa utili ad ottenere, nei congrui casi, un proscioglimento con una formula più favorevole. Va anche ricordato che l'art. 24, secondo comma, Cost. "enuncia, in termini generali, un fondamentale principio di amplissima portata, senza peraltro... accennare al rapporto tra difesa personale e difesa tecnica" (sent. 184/74).
Quand'anche, poi, si dovesse ipotizzare che il proscioglimento per prescrizione avvenisse in dibattimento, non può ignorarsi che, di regola, siffatte decisioni, anche se divenute irrevocabili, non fanno stato in un diverso giudizio civile o amministrativo. Risulta quindi esclusa anche sotto tale profilo la violazione dell'art. 24 Cost. É noto infatti che quei giudici potranno e dovranno liberamente apprezzare le prove raccolte in sede penale, e, nella formazione del loro libero convincimento, dovranno necessariamente tener conto della emergente circostanza che l'imputato, in quella sede, si trovava in menomate condizioni psichiche.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 88 c.p.p., sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal pretore di Rovereto con l'ordinanza in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1979.
Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1979.