SENTENZA N. 3
ANNO 1977
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 2 aprile 1958, n. 332 (Attribuzione della personalità giuridica di diritto pubblico all'ente per il museo nazionale di scienza e tecnica "Leonardo da Vinci" in Milano), nel testo modificato dall'art. 2 della legge 21 febbraio 1961, n. 95, promosso con ordinanza emessa il 13 dicembre 1975 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Modenesi Gabriella ed altri e Ogliari Francesco, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 24 marzo 1976.
Visti gli atti di costituzione di Modenesi Gabriella, Ogliari Francesco, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1976 il Giudice relatore Edoardo Volterra;
uditi gli avvocati Antonio Sicardi e Michele Giorgianni, per Ogliari e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento promosso da Gabriella Modenesi, Marianna Vaccaro Colombo e Carla Colombo per l'annullamento dell'elezione a consigliere comunale di Milano di Francesco Ogliari, basato sulla circostanza che il neoeletto ricopriva, al momento della convalida dei risultati, la carica di presidente del Museo nazionale della scienza e della tecnica "Leonardo da Vinci", Ente sovvenzionato dal Comune di Milano, il tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 13 dicembre 1975 sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 2 aprile 1958, n. 332, per come modificato dall'art. 2 della legge 21 febbraio 1961, n. 95, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Secondo il tribunale, le norme impugnate, che prevedono la partecipazione al consiglio di amministrazione del museo di tre rappresentanti del Comune di Milano, escludono, per costante giurisprudenza della Corte di cassazione, l'incompatibilità o l'ineleggibilità di detti rappresentanti alla carica di consigliere comunale.
Ciò avverrebbe in deroga al principio generale contenuto nell'art. 15, n. 3 del t.u. n. 570 del 1960, per il quale gli amministratori di enti dipendenti, sovvenzionati o vigilati dal Comune, si trovano in posizione d'incompatibilità o d'ineleggibilità rispetto all'amministrazione di questo ultimo Ente per il contrasto di interessi che si realizza cumulando la posizione di destinatari di ordini, di benefici, di controlli, con quelle di direzione, di erogazione, o di vigilanza, cumulo, secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 129/75) inconcepibile tanto sul piano della logica comune che su quello della logica giuridica. Né tale posizione di contrasto d'interessi potrebbe essere sanata dal fatto che sia la legge stessa a prevedere la partecipazione al Consiglio di amministrazione di consiglieri comunali, poiché la categoria di amministratori di enti dipendenti, vigilati o sovvenzionati dal Comune sarebbe omogenea e non suscettibile di distinzioni dinanzi al principio generale per cui il cumulo delle relative cariche con quella di consigliere comunale é incompatibile con il retto esercizio del mandato elettorale.
Di qui la dedotta violazione del principio di eguaglianza ravvisabile nel diverso trattamento di situazioni identiche e non giustificabile in base ad un preteso collegamento funzionale tra la posizione di amministratore comunale e di consigliere di amministrazione dell'ente, poiché secondo il tribunale, la normativa denunziata opera nel senso che possono essere designati amministratori del Museo anche rappresentanti del Comune che siano soggetti diversi dai consiglieri comunali.
La discriminazione irragionevole all'interno della categoria di amministratori di enti dipendenti non verrebbe meno infine per il solo fatto che alcuni enti siano stati riconosciuti per legge, e che tale legge preveda la presenza di rappresentanti del Comune nell'amministrazione dell'Ente medesimo, perché non é possibile assegnare alla forma di riconoscimento (legge piuttosto che decreto presidenziale) un'efficacia sostanziale tale da rimuovere il contrasto d'interessi precedentemente esposto.
2. - L'ordinanza é stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte costituzionale é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Si sono costituiti Francesco Ogliari, rappresentato e difeso dagli avvocati Michele Giorgianni, Cesare Grassetti, Vincenzo Palladino e Antonio Sicardi; Gabriella Modenesi, Marianna Vaccaro Colombo e Carla Colombo, rappresentate e difese dagli avvocati Renato Paganuzzi ed Arturo Spano.
3. - Dopo aver esposto la giurisprudenza della Corte di cassazione, nel senso che vi sarebbe un rapporto di deroga tra le norme che prevedono la rappresentanza del Consiglio comunale in Enti vigilati, sovvenzionati o dipendenti dal Comune ed il principio generale di cui all'art. 15, n. 3, del t.u. n. 570/1960, il rappresentante delle attrici dubita in primo luogo dell'esattezza di tale giurisprudenza, muovendo dalla considerazione che rappresentante del Consiglio comunale non deve essere necessariamente un consigliere comunale.
Secondo la difesa delle attrici, la ragione per la quale la suprema Corte ritiene che nella specie la deroga sussista, starebbe nel fatto che per il disposto della legge ordinaria cesserebbe quel conflitto d'interesse fra l'Ente Comune e gli altri Enti che é alla base dell'ineleggibilità. Senonché, da un lato, l'ineleggibilità resterebbe comunque comminata e il giudice non potrebbe eliminarla fondandosi sulla semplice ratio della norma, quando come nella specie, non vi sia un rapporto d'incompatibilità logica tra le due disposizioni; dall'altro lato la premessa porterebbe ad ammettere che non soltanto gli amministratori nominati dal Comune, ma chiunque, di qualunque provenienza, perché nominato in un Ente per il quale la legge prevede che vi sia una rappresentanza del Comune, sia eleggibile nonostante il disposto dell'art. 15, n. 3, più volte citato. La palese inaccettabilità di tale conclusione dimostrerebbe che l'incompatibilità in questione discende non da un ipotizzabile contrasto d'interessi tra il Comune e gli Enti minori, ma dal contrasto tra le cariche di amministratore di questo e di quell'Ente, contrasto che la legge ordinaria non potrebbe far cessare.
Tutto ciò premesso, la difesa delle attrici, considerato che nonostante le difficoltà sopra accennate la giurisprudenza consolidata dalla Cassazione é ormai nel senso recepito dal tribunale, e cioè che l'art. 15, n. 3, non si applica nei confronti di coloro per i quali la legge prevede la nomina ad amministratori in rappresentanza del Comune, concorda con il giudice a quo in ordine all'incostituzionalità di simile disposizione, per i motivi già esposti nell'ordinanza di rimessione, ponendo il dubbio se la regola esposta e prospettata come incostituzionale vada dedotta dall'art. 4 della legge n. 332,del 1958 impugnata, ovvero più in generale dallo stesso art. 15, n. 3, del t.u. n. 570 del 1960. Conclude comunque nel senso che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 332 del 1958, nella parte in cui prevede che gli amministratori designati dal Comune possano ricoprire contemporaneamente l'ufficio di consigliere comunale del Comune di Milano.
4. - Nel chiedere che la questione venga dichiarata infondata, la difesa di Francesco Ogliari pone in risalto che l'incompatibilità in questione é posta in via generale da una legge ordinaria che può ben essere derogata dallo stesso legislatore ove esso ritenga che situazioni particolari richiedano una disciplina diversa da quella comune. Ora, secondo il tribunale, tali deroghe sarebbero giustificate quando esiste un collegamento funzionale fra uffici facenti capo al Comune e all'Ente dipendente; negando però nella specie che tale collegamento esista. Senonché tale ristretto concetto di collegamento funzionale apparirebbe nella sua limitatezza erroneo: la partecipazione di rappresentanti dell'ente principale, vigilante o sovvenzionante all'amministrazione dell'ente dipendente o sovvenzionato, sarebbe, invece, una delle forme di collegamento funzionale fra i due enti, voluta dal legislatore, non tanto o non solo in considerazione della parziale coincidenza delle finalità proprie di essi, quanto per realizzare il migliore perseguimento dell'interesse pubblico complessivo, in ragione del quale il collegamento funzionale (o d'altra natura) é stato stabilito in deroga alla disciplina generale della ineleggibilità. E, nel caso, risulterebbe evidente che tanto più e meglio tale risultato finale sarà perseguito, quanto maggiore, a sua volta, sia il collegamento del "rappresentante" all'ente che lo designa: come avviene quando la designazione cada su persona che contemporaneamente sia amministratore dell'ente principale, vigilante o sovvenzionante. Il bilanciamento dei principi costituzionali, inseparabili, del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, di cui all'art. 97 della Costituzione, avrebbe guidato in questi casi il legislatore nel dettare una deroga alla disciplina generale sulla ineleggibilità.
5. - Per l'Avvocatura dello Stato il conflitto d'interessi previsto dall'art. 15, n. 3, non riguarda i singoli uffici dei due Enti distinti (Consiglio comunale e consiglio d'amministrazione dell'Ente sovvenzionato) bensì direttamente tali Enti. E pertanto il collegamento funzionale negato nell'ordinanza di rimessione sussisterebbe nel senso che il Comune, determinando indirettamente l'attività dell'ente sovvenzionato, verrebbe garantito in ordine alla regolare destinazione delle sue sovvenzioni.
Sarebbe perciò chiaro che, per effetto di tale collegamento, la persona che é designata a rappresentare il Comune nel consiglio di amministrazione dell'ente sovvenzionato, proprio perché portatore nella organizzazione di tale ente degli interessi del Comune, non può mai trovarsi, per ciò solo, in un conflitto di interessi con il Comune.
In definitiva, quindi, il dualismo sovvenzionante - sovvenzionato che é inconcepibile sul piano logico e giuridico, non potrebbe mai realizzarsi nei confronti delle persone designate dal sovvenzionante a rappresentare il sovvenzionato, perché in tale caso tutto si risolverebbe nell'ambito degli interessi dello stesso sovvenzionante.
Per questi motivi la discriminazione tra amministratori nominati o meno dal Comune, ai fini dell'eleggibilità a consigliere comunale troverebbe razionale giustificazione nel fatto che i primi sarebbero strumento del collegamento funzionale tra sovvenzionante e sovvenzionato, e agirebbero in ogni caso in conformità degli interessi del Comune, mentre i secondi, non ricevendo alcuna investitura da parte del Comune, perseguono soltanto gli interessi dell'Ente contrastanti con quelli del Comune stesso. Conclude perciò perché la questione venga dichiarata non fondata.
6. - La difesa dell'Ogliari ha presentato memoria in cui, con ampie ed approfondite argomentazioni, vengono ribadite le conclusioni già rassegnate.
Considerato in diritto
1. - Come precisa esplicitamente l'ordinanza in epigrafe, la denunzia di incostituzionalità da essa sollevata non investe direttamente la disposizione dell'art. 4, lett. e), della legge n. 332 del 1958, modificata dall'art. 2, lett. e), della legge n. 95 del 1961 quale essa é letteralmente formulata dal legislatore, sibbene l'interpretazione di essa in base a precedenti altre pronunzie della giurisprudenza ordinaria. Più precisamente, il giudice a quo chiede alla Corte l'esame della legittimità della deroga che la norma denunziata avrebbe introdotto al principio di cui agli artt. 9 e 15, n. 3, della legge n. 570 del 1960, deroga non dichiarata esplicitamente dalla legge, ma introdotta in via interpretativa dalla giurisprudenza.
Secondo questa, la previsione legislativa della partecipazione di rappresentanti comunali all'amministrazione di enti dipendenti vigilati o sovvenzionati dal Comune che ha operato la designazione farebbe venir meno la causa di ineleggibilità nei loro confronti.
Il principio affermato in via interpretativa dalla recente giurisprudenza della Cassazione va più esattamente riassunto nell'affermazione che solo il legislatore, nel porre le norme di organizzazione di enti che rientrano nelle categorie come sopra elencate e nell'apprezzarne i compiti e le finalità in relazione a quelli del Comune, può escludere che la presenza di consiglieri comunali nell'amministrazione di detti enti determini quella situazione conflittuale che in linea di principio sussiste e va eliminata.
In queste ipotesi, ha motivato la Cassazione, il divieto viene a cessare, dovendosi escludere che una situazione di contrasto, anche soltanto potenziale, di interessi fra il soggetto che rappresenta il Comune stesso possa concretizzarsi in dipendenza di una funzione che il primo esplica per disposizione di legge quale rappresentante del secondo e nella quale, pertanto, non può verificarsi, secondo l'apprezzamento del legislatore, quel conflitto che la legge vuole evitare.
Da varie recenti pronunzie della magistratura ordinaria può desumersi l'accoglimento del principio che anche una disposizione legislativa nella quale sia genericamente prevista la presenza in un ente di un rappresentante del Comune, anche se non sia specificatamente indicato che rivesta la carica di membro del consiglio comunale, abbia l'efficacia di escludere l'ineleggibilità di cui alla richiamata legge del 1960.
Nella sua ordinanza il giudice a quo chiede alla Corte di verificare la legittimità, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della deroga come sopra formulata in via interpretativa, in quanto, afferma, neppure il legislatore può dettare trattamenti differenti in situazioni identiche. L'applicazione della deroga suesposta introdurrebbe infatti una eccezione ad una generale disposizione legislativa senza che sussistano specifiche ragioni che valgano a giustificarla e creando in tal modo, in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza, una disparità di trattamento di enti dipendenti, sovvenzionati o vigilati dal Comune.
2. - L'art. 15 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, contenente il testo unico delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali é già stato oggetto di ripetuto esame sotto diversi profili da parte di questa Corte, la quale con recente sentenza n. 129 del 1975 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del n. 3, limitatamente alla parte in cui considera ineleggibili gli amministratori di enti, istituti o aziende dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza del Comune, che siano cessati dalla carica o si siano dimessi prima della convalida dell'elezione.
Ha invece ritenuto costituzionalmente legittimo il medesimo art. 15, n. 3, nella parte in cui, all'interno della categoria degli enti come sopra indicati, non introduce una distinzione fra enti le cui finalità possono collidere e quelli i cui scopi sono, anche se solo parzialmente, coincidenti con quelli perseguiti dal Comune.
"É ovvio", ha infatti motivato la Corte, "che nel dettato, come nella ratio, della disposizione, il conflitto determinante la situazione di ineleggibilità non é originato dal contrasto degli scopi perseguiti dagli enti in questione giacché questi - in via generale - debbono ritenersi tutti ugualmente volti a soddisfare i bisogni della comunità. Ciò che rileva, invece, é quel contrasto di interessi che si realizza quando gli amministratori di enti dipendenti, sovvenzionati o vigilati dal Comune, divengono amministratori anche di questo ente, cumulando la posizione di destinatari di ordini, di benefici o di controlli con quella di direzione, di erogazione e di vigilanza. Il che é inconcepibile, non solo sul piano della logica comune, ma anche di quella giuridica".
3. - Coerentemente ai principi che emergono dalle sentenze della Corte non può accogliersi l'orientamento giurisprudenziale per cui anche una generica indicazione legislativa che il Comune abbia propri rappresentanti in un ente valga a togliere il contrasto di interessi del cumulo delle posizioni di vigilato e di vigilante, di sovvenzionato e di sovvenzionante, di direttore e di sottoposto che la Corte ha considerato inconcepibile sotto il profilo logico e giuridico e come causa ineluttabile di ineleggibilità a consigliere comunale.
Tale orientamento, motivato sulle considerazioni esposte al n. 1, facendo riferimento più ad un presunto contrasto di interessi tra vari enti che a quello dei titolari dei diversi uffici, che, invece, la Corte ha ritenuto a fondamento della norma di cui all'art. 15, n. 3, citato, viola i principi costituzionali di uguaglianza in materia di elettorato passivo non sussistendo alcuna necessità organica (specificamente rilevata dal legislatore in base a valutazioni immuni da irragionevolezza) che i rappresentanti del Comune siano nel contempo consiglieri del Comune medesimo.
4. - Passando all'esame della norma denunziata, va rilevato che l'art. 4, lett. e), della legge 1958, n. 332, e l'art. 2, lett. e), della legge n. 95 del 1961 hanno la conseguente identica formulazione "l'Ente é retto da un Consiglio di amministrazione composto... e) da tre rappresentanti del comune di Milano, designati dal Consiglio comunale".
Da detta dizione può solo ricavarsi la disposizione normativa che tre dei consiglieri d'amministrazione dell'ente devono essere rappresentanti del Comune di Milano, designati dal Consiglio comunale fra le persone che questo, con la più ampia discrezionalità, ritiene idonee: non é affatto prescritto che questi consiglieri debbano necessariamente essere consiglieri comunali.
L'amplissima libertà di scelta affidata dal legislatore al consiglio comunale di Milano e l'assoluta mancanza nella norma impugnata di una specifica indicazione della qualifica di consigliere comunale per i rappresentanti del Comune in seno al consiglio di amministrazione dell'Ente "Leonardo da Vinci" non solo non consente di desumere secondo un'interpretazione conforme a Costituzione la tacita volontà del legislatore di introdurre una particolare deroga all'art. 15 del t.u. n. 570 del 1960, ma neppure ritiene che lo stesso legislatore abbia in questo caso specifico e con la norma impugnata implicitamente escluso nel suo apprezzamento l'esistenza anche potenziale di ogni e qualunque conflitto di interessi, o di interferenza organizzativa o di collegamento funzionale fra il Comune di Milano e l'Ente in parola nonché di ogni e qualunque dualismo inerenti al cumulo della posizione di destinatari di ordini, di benefici o di controlli con quella di direzione, di erogazione e di vigilanza.
5. - Ne consegue pertanto che, rispetto alla norma di cui all'art. 2, lett. e), della legge n. 95 del 1961 non sussiste né può sussistere quella deroga all'art. 15 del t.u. di cui al d.P.R. n. 570 del 1960 che viene costituzionalmente denunziata con l'ordinanza in epigrafe e pertanto é palese l'infondatezza ai fini del giudizio in corso della questione così sollevata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara, nei sensi di cui in motivazione, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 2 aprile 1958, n. 332 (Attribuzione della personalità giuridica di diritto pubblico all'ente per il museo nazionale di scienza e tecnica "Leonardo da vinci" in Milano), così come modificato dall'art. 2 della legge 21 febbraio 1961, n. 95, sollevata dall'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 12 gennaio 1977.