SENTENZA N. 176
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STUFANO
Prof. Leopoldo ELIA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 32 del regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016 (testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), modificato dall'art. 10 della legge 2 agosto 1967, n. 799, promossi con ordinanze emesse il 18 aprile 1975 dal pretore di Orvieto e il 10 ottobre 1975 dal tribunale di Macerata nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Rughetti Arnaldo ed altro e di Giorgi Nello, iscritte ai nn. 210 e 593 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 181 del 9 luglio 1975 e n. 38 dell'11 febbraio 1976.
Udito nella camera di consiglio del 15 giugno 1976 il Giudice relatore Angelo De Marco.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza in data 18 aprile 1975, emessa nel procedimento penale a carico di due imputati del reato di cui all'art. 32 del regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, nel testo modificato dall'art. 10 della legge 2 agosto 1967, n. 799 (penultimo ed ultimo capoverso) per avere trasportato, senza giustificato motivo, un fucile con munizione spezzata in zona di ripopolamento, il pretore di Orvieto ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale delle norme suindicate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Al riguardo si rileva che: la norma denunziata ha per obiettività giuridica evidente la disciplina dell'esercizio dell'attività venatoria; che, ciò posto, appare assolutamente ingiustificata e priva di fondamento giuridico e razionale la pena della multa da lire 20.000 a lire 100.000, con la revoca della licenza di caccia da uno a tre anni preveduta per questo reato formale, mentre lo stesso testo legislativo per l'esercizio concreto dell'attività venatoria in zona di ripopolamento e cattura prevede la meno grave sanzione dell'ammenda da lire 6.000 a lire 60.000.
2. - Identica questione ha sollevato il tribunale di Macerata con ordinanza 10 ottobre 1975, che, rilevando come ai sensi dell'art. 43, comma settimo, della legge n. 799 del 1967 per l'esercizio della caccia in zona di ripopolamento prevede la pena dell'ammenda da lire 12.000 a lire 120.000, ravvisa l'irrazionalità del trattamento nella considerazione che viene punita come delitto una ipotesi di reato evidentemente meno grave di altra che viene punita, invece, come semplice contravvenzione.
3. - Dopo gli adempimenti di legge, non essendovi state costituzioni di parti, entrambi i giudizi come sopra promossi vengono alla cognizione della Corte, convocata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Considerato in diritto
1. - I due giudizi, come sopra promossi, vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza, avendo per oggetto la stessa questione.
2. - L'impugnato art. 32 del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia approvato con regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, quale risulta modificato dall'articolo 10 della legge 2 agosto 1967, n. 799, contiene due ordini di divieti penalmente sanzionati: a) quelli preveduti nei primi quattro commi, che, come chiaramente risulta dal richiamo all'art. 703 c.p. ed all'art. 57 della legge di pubblica sicurezza, pur riferendosi all'esercizio della caccia, hanno per obiettività giuridica la prevenzione dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale; b) quelli preveduti nel penultimo comma, che hanno per obiettività giuridica la protezione della selvaggina.
L'inosservanza di tali divieti, oggettivamente considerata, anche in riferimento alle norme del c.p. e della legge di p.s. di cui al citato richiamo, ha indubbio carattere contravvenzionale.
Senonché nell'ultimo comma - nonostante vi si adoperi il termine che dovrebbe essere rivelatore di "contravventori" - viene preveduta la sanzione della multa, che presupponendo un delitto, tale carattere conferisce all'inosservanza di quei divieti.
L'art. 43 del t.u. n. 1016, quale risulta modificato dall'art. 10 della legge n. 799 del 1967, poi, punisce con la sola ammenda e, quindi, considera semplice contravvenzione, l'esercizio abusivo della caccia nelle riserve, nelle bandite ed in genere nelle zone di ripopolamento, predisposte, appunto, a quella protezione della selvaggina, che come sopra si é detto, costituisce l'obiettività giuridica dei divieti di cui al penultimo comma dell'impugnato art. 32.
A ciò si aggiunga che l'art. 1 della legge 24 dicembre 1975, n. 706, sulla disciplina del sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l'ammenda dispone: "Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali é prevista la pena dell'ammenda, salvo quanto previsto negli articoli 10 e 14" e che questi due articoli non prevedono l'esclusione dell'applicazione di quanto disposto dall'art. 1 alle contravvenzioni punibili con la sola ammenda, prevedute dalle leggi sulla protezione della selvaggina e sull'esercizio della caccia.
3. - Da quanto precede risulta in modo evidente che manca ogni elemento logico che possa spiegare il fondamento giuridico e razionale di una normativa come quella sopra esaminata, che prevede la punizione come delitto dell'inosservanza di un divieto diretto alla prevenzione di semplici contravvenzioni, punibili solo con l'ammenda e che, per giunta, in seguito alla nuova legge n. 706 del 1975, non costituiscono più reato e sono perseguibili soltanto con sanzione amministrativa.
Ne consegue che anche nel caso in esame, come in quello oggetto della sentenza di questa Corte n. 218 del 1974, deve riconoscersi che il legislatore, nell'esercizio della discrezionalità che gli compete nello statuire quali comportamenti debbano essere puniti e quali debbano essere la qualità e la misura della pena da infliggere, ha ecceduto dai limiti della razionalità, ponendo in essere una disparità di trattamento che viola il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 32, ultimo comma, del regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, che approva il "Testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia", come modificato dall'art. 10 della legge 2 agosto 1967, n. 799, nella parte in cui, limitatamente alle zone di ripopolamento, punisce il porto " delle armi da caccia con munizione spezzata e di arnesi per l'uccellaggione, a meno che il trasporto avvenga per giustificato motivo e che il fucile sia smontato o chiuso in busta o altro involucro idoneo", con la multa da lire 20.000 a lire 100.000.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1976.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STUFANO – Leopoldo ELIA.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 14 luglio 1976.