Sentenza n. 48 del 1976
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SENTENZA N. 48

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Dott. Luigi OGGIONI, Presidente

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 183 bis, terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 26 marzo 1974 dal tribunale di Campobasso nel procedimento penale a carico di Commatteo Giovanni ed altri, iscritta al n. 225 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 del 17 luglio 1974.

Udito nella camera di consiglio del 27 novembre 1975 il Giudice relatore Paolo Rossi.

Ritenuto in fatto

Il tribunale di Campobasso, nell'esaminare una istanza di restituzione in termini per presentare i motivi di appello, proposta da Commatteo Giovanni, il quale aveva dedotto d'essere stato affetto da malattia che non gli aveva consentito di osservare il termine di decadenza, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 183 bis, terzo comma, c.p.p. per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Osserva il giudice a quo che la norma impugnata prevedendo la remissione in termini per la dichiarazione di gravame ma non per la presentazione dei motivi, lederebbe il diritto di difesa e contrasterebbe con il principio d'eguaglianza, perché la remissione é consentita in qualsiasi termine di decadenza scaduto nel corso del procedimento di primo grado, mentre nel giudizio di appello non é prevista per la presentazione dei motivi.

Nessuna parte si é costituita o é intervenuta in questa sede.

Considerato in diritto

La Corte costituzionale deve decidere se l'art. 183 bis, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui ammette la restituzione in termini per proporre il gravame, e non anche per presentare i motivi, contrasti o meno con gli artt. 24, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.

Non sussiste anzitutto la denunciata violazione del diritto di difesa. Il legislatore del 1955, nel reintrodurre un istituto eccezionale, come é quello della restituzione nei termini prescritti a pena di decadenza, pur ampliando la tutela sostanziale del diritto di difesa rispetto alla disciplina del codice di procedura del 1913, ha tenuto conto di altri interessi, parimenti rilevanti, i quali esigono che i processi siano portati a compimento entro congrui tempi perché la giurisdizione penale assolva alla sua fondamentale funzione.

La limitazione della restituzione in termini all'impugnativa va considerata in riferimento alla circostanza che i motivi, quando non siano enunciati nello stesso atto di impugnazione, possono venir presentati dal difensore nominato, dal difensore del dibattimento di primo grado, ed infine trasmessi, anche dallo stesso interessato, a mezzo di raccomandata postale (art. 201 c.p.p. ed art. 151 del testo vigente a seguito della sentenza n. 96 del 1971).

La pluralità degli strumenti esistenti a tutela della parte che abbia proposto gravame dimostra che non v'è lesione del diritto di difesa e giustifica pienamente la norma impugnata.

Questa, d'altra parte, neppure contrasta con l'art. 3 della Costituzione (sotto il prospettato profilo della diversa ampiezza del potere di restituzione in termini del giudice dell'impugnazione rispetto a quello attribuito al giudice di primo grado, che non ha limitazioni per tipo alcuno di atti), in quanto la diversa disciplina del potere restitutorio del giudice superiore - che non involge, come detto, vulnerazione della garanzia della difesa - si giustifica in relazione all'esigenza di adattamento del diritto di difesa alle speciali caratteristiche dei procedimenti cui inerisce: ossia alle caratteristiche del procedimento di impugnazione che fa seguito alla già avvenuta pronunzia di un provvedimento decisorio, sia pur non irrevocabile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 183 bis, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1976.

Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 16 marzo 1976.