SENTENZA N. 27
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Dott. Luigi OGGIONI, Presidente
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 17, lett. b della legge 2 aprile 1958, n. 339 (tutela del lavoro domestico), promosso con ordinanza emessa il 1 aprile 1974 dal pretore di La Spezia nel procedimento civile vertente tra Spella Corinna e Caneschi Luigi, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 231 del 4 settembre 1974.
Udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1975 Giudice relatore Leonetto Amadei.
Ritenuto in fatto
Nel corso del giudizio civile promosso da Corinna Spella contro Luigi Caneschi e diretto al conseguimento, sulla base dell'art. 17, lett. b, della legge 2 aprile 1958, n. 339, per la tutela del lavoro domestico, della indennità di licenziamento per risoluzione del rapporto di lavoro domestico ad ore, il pretore di La Spezia ha sollevato, su istanza della parte attrice, con ordinanza del 1 aprile 1974, la questione di legittimità costituzionale del ricordato art. 17, lett. b, della legge 1958, n. 339, nonché del correlativo art. 1 della stessa legge, in riferimento agli artt. 1, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione.
Il giudice a quo, premesso che la rilevanza della proposta questione poggerebbe sul fatto che solo attraverso il riconoscimento della illegittimità costituzionale delle norme impugnate potrebbe essere accolta la domanda attrice, osserva, nel merito, che il meccanismo, per il quale verrebbe calcolata l'entità della indennità di anzianità, determinerebbe una disparità di trattamento non giustificabile tra il lavoratore domestico che abbia prestato almeno quattro ore giornaliere di attività continuativa alle dipendenze di più datori di lavoro, senza prevalenza di un rapporto sugli altri, e il lavoratore domestico che abbia prestato le stesse ore giornaliere di lavoro alle dipendenze di un solo datore.
In questo caso l'indennità verrebbe commisurata (art. 17, lett. b, della legge) a quindici giorni di retribuzione in danaro per ogni anno di anzianità sulla base dell'ultimo stipendio; nel primo caso, invece (quello che riguarderebbe la parte attrice), attesa la limitazione di cui all'art. 1 della stessa legge, sulla base di otto giorni per ogni anno di servizio, con applicazione, pertanto, in forza dell'orientamento giurisprudenziale, dell'art. 2245 del codice civile.
Una siffatta diversità di trattamento contrasterebbe con il principio affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n.75 del 1968 e n. 85 del 1972, secondo il quale l'indennità di anzianità rivestirebbe carattere retributivo, costituendo parte del compenso dovuto per il lavoro prestato.
Non vi é stata costituzione di parte e non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - La Corte é chiamata a decidere se gli artt. 1 e 17, lett. b, della legge 2 aprile 1958, n. 339 contrastino, nel determinare una diversità di trattamento, ai fini della liquidazione della indennità di anzianità, tra i lavoratori domestici che abbiano prestato la loro opera per almeno quattro ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro e i lavoratori domestici che abbiano prestato la stessa attività lavorativa giornaliera presso più datori di lavoro, ma inferiore per ogni singolo alle quattro ore, con gli artt. 3, primo comma, (e non 1, come erroneamente indicato nel dispositivo dell'ordinanza di remissione) e 36, primo comma, della Costituzione.
La questione non é fondata.
2. - É da premettere che il giudice a quo pone a fondamento della proposta questione la circostanza che mentre nei primo caso la indennità di anzianità verrebbe commisurata, per il disposto dell'art. 17, lett. b, della legge n. 339 del 1958, ai quindici giorni di retribuzione in danaro per ogni anno di anzianità sulla base dell'ultimo stipendio, nel secondo caso, invece, stante la limitazione di cui alla norma generale dell'art. 1 della stessa legge, verrebbe commisurata a otto giorni di retribuzione, trovando applicazione la disposizione contenuta nell'art. 2245, secondo comma, del codice civile.
3. - Questa Corte, con la sentenza n. 27 del 1974, ha già posto in risalto alcune caratteristiche che distinguono, differenziandolo dagli altri rapporti di lavoro, il rapporto di lavoro domestico, e che ben possono legittimare una diversa disciplina.
Non v'é dubbio che il legislatore ha inteso, con la legge 2 aprile 1958, n. 339, avente per oggetto la tutela del lavoro domestico, tener conto, ai fini della estensione o meno a tutto il settore di questa o quella previdenza, della qualità e della entità della prestazione in concreto. Una tale scelta da parte del legislatore non può essere considerata né illogica né irragionevole, tanto più se si consideri che la legge in questione non ha escluso il diritto del lavoratore domestico che abbia prestato la propria opera lavorativa per un numero inferiore alle quattro ore giornaliere, ad ottenere l'indennità di anzianità, ma si é limitata solo a rendere possibile l'applicazione della disposizione a carattere generale contenuta nell'art. 2245. Di questo, del resto, ha già dato atto lo stesso giudice proponente contenendo la questione di legittimità costituzionale nell'ambito di un particolare caso di specie. Infatti, egli parte dal presupposto che la incostituzionalità della norma sarebbe raffigurabile solo nel fatto che non consente, ai fini della liquidazione dell'indennità, il cumulo delle prestazioni presso datori di lavoro diversi.
Accedendo alla tesi prospettata dal giudice a quo ne deriverebbe, come conseguenza logica, che ogni singolo datore di lavoro, in quanto a questo spetta la corresponsione dell'indennità, verrebbe gravato delle conseguenze dell'opera prestata dal dipendente anche a favore di altro datore di lavoro, quantunque la pluralità dei rapporti non sia in alcun modo connessa. La connessione potrà eventualmente operare per il conseguimento di quelle previdenze legate alla entità dei contributi corrisposti.
Vale ricordare, poi, che questa Corte ha, in ripetute decisioni, inquadrato altresì la portata dell'art. 36 della Costituzione, stabilendo, tra l'altro, che l'esigenza di una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato si ricollega al rapporto di scambio tra singolo prestatore d'opera e datore di lavoro.
Consegue, da ciò, che ogni datore di lavoro rimane legato, in tema di corresponsione di adeguate retribuzioni, contestuali o differite, come lo é la liquidazione della indennità di anzianità, agli obblighi giuridici che discendono dal rapporto di lavoro che lo legano al lavoratore e che nessun condizionamento, in relazione a tali obblighi, può a lui far carico per il fatto che il medesimo lavoratore sia occupato in altro rapporto di prestazione d'opera.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 17, lett. b, della legge 2 aprile 1958, n. 339, per la tutela del lavoro domestico, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, dal pretore di La Spezia, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1976.
Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 19 febbraio 1976.