SENTENZA N. 17
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Dott. Luigi OGGIONI, Presidente
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815 (disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza), promosso con ordinanza emessa l'11 luglio 1973 dal pretore di Genova nel procedimento penale a carico di Puri Ambrogio, iscritta al n. 82 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 del 3 aprile 1974.
Udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1975 il Giudice relatore Guido Astuti.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento penale a carico di Puri Ambrogio, il pretore di Genova, accogliendo l'eccezione proposta dal difensore dell'imputato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 legge 23 novembre 1939, n. 1815 (Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza), in relazione all'art. 41, primo comma, della Costituzione.
Si osserva nell'ordinanza di rinvio che la norma denunciata vieta in modo tassativo l'esercizio in forma associativa di un'attività di consulenza e assistenza tecnica in genere, fatta eccezione soltanto per l'ipotesi in cui si costituisca una società, istituto, ufficio, agenzia o ente usando la denominazione studio commerciale o simili, e indicando analiticamente i nomi e i titoli professionali dei singoli associati. Ciò impedirebbe tra l'altro, la costituzione di società azionarie che si prefiggano, nell'ambito dell'oggetto sociale, una attività di consulenza.
La disposizione, nata per tutelare l'attività professionale contro il rischio della spersonalizzazione, con correlativa attenuazione della responsabilità, sarebbe inadeguata alla attuale realtà economico-industriale ed inoltre si porrebbe in contrasto con il principio di libertà dell'iniziativa economica privata, di cui all'art. 41 primo comma, della Costituzione. La disposizione, infatti, si tradurrebbe in un divieto assoluto dell'esercizio in forma associativa dell'attività di progettazione industriale e, al tempo stesso, determinerebbe un limite all'espletamento della libera iniziativa economica in quei settori che postulino una preventiva adeguata progettazione su scala imprenditoriale di impianti e tecniche di produzione.
Non vi é stata costituzione della parte privata, né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Il pretore di Genova solleva, in riferimento all'art. 41, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815, sulla disciplina giuridica degli studi di assistenza e consulenza, che vieta di costituire, esercitare o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella prevista dall'art. 1 della stessa legge, "società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria". Secondo l'ordinanza di rimessione, la normativa denunciata risponderebbe ad una concezione individualistica dell'attività professionale in genere, e di quella ingegneristica in specie, che dovrebbe ritenersi ormai inadeguata, nell'attuale realtà economica, rispetto alle finalità peculiari della progettazione industriale, la quale "non può di fatto essere affidata a singoli professionisti o a studi tecnici che comunque conservino una nitida impronta personalistica, ma al contrario postula una complessa organizzazione di uomini e mezzi che soltanto un'attività strutturata su base imprenditoriale può garantire".
Le condizioni imposte dalla legge, che "vieta in modo tassativo l'esercizio in forma associativa di un'attività di consulenza e assistenza tecnica in genere", e tra l'altro "impedisce la costituzione di società azionarie che si prefiggano nell'ambito dell'oggetto sociale anche l'espletamento dell'attività suddetta", comporterebbero "la pratica impossibilità di esercizio" dell'attività di progettazione industriale su vasta scala.
Il divieto sancito dall'art. 2 della legge n. 1815 del 1939 dovrebbe quindi ritenersi illegittimo, per contrasto con il principio costituzionale della libertà dell'iniziativa economica privata.
2. - Giova preliminarmente precisare che la vigente disciplina giuridica degli studi di assistenza e consulenza si riferisce al solo esercizio delle cosiddette professioni protette, ossia delle professioni intellettuali per cui la legge, a norma dell'art. 2229 del codice civile, richiede la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi, sulla base di titoli d'abilitazione o autorizzazione e di altri requisiti legali, accertati di regola da ordini, collegi o associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato. Per queste attività, rispetto alle quali la legge sancisce il carattere rigorosamente personale delle prestazioni professionali (cfr. art. 2232 codice civile), l'art. 1 della legge n. 1815 del 1939 non esclude in modo assoluto la possibilità d'esercizio in forma associativa, ma testualmente dispone che "le persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all'esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l'esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate, debbono usare, nella denominazione del loro ufficio o nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione di "studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario", seguito dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati". Tale esercizio professionale associato deve inoltre essere notificato all'organizzazione sindacale da cui sono rappresentati i singoli associati (art. 1, secondo comma). La stessa legge stabilisce che sono esclusi dal divieto di cui all'art. 2 sia gli enti ed istituti pubblici, sia anche, fermo l'obbligo della notificazione prevista dal secondo comma dell'art. 1, "gli uffici che le società, ditte o aziende private costituiscono per la propria organizzazione interna nelle materie indicate nei precedenti articoli".
Non occorre sottolineare le ragioni che giustificano la vigente normativa, dettata sia per la tutela degli interessi, non soltanto economici o corporativi, delle categorie professionali, sia per garanzia del corretto esercizio delle professioni intellettuali, nei confronti dei clienti, dei terzi, della collettività in generale, garanzia che si ritiene fornita essenzialmente dalla qualificazione professionale e soprattutto dalla responsabilità personale del professionista.
3. - Ciò premesso, a giudizio di questa Corte non sussiste nella disposizione denunciata alcun vizio di incostituzionalità, per contrasto con il principio della libertà dell'iniziativa economica privata. Invero, la questione, prospettata dall'ordinanza di rimessione con speciale riferimento alle attività di progettazione industriale, deve essere considerata sotto due profili distinti, anche se connessi: e precisamente, con riguardo alla ammissibilità della costituzione di società per l'esercizio delle professioni intellettuali, in genere, ai sensi degli artt. 2247 e seguenti del codice civile, e con riguardo alla asserita esigenza tecnica che determinate attività professionali, come la progettazione industriale, richiedano oggi un'organizzazione a base imprenditoriale, realizzabile tipicamente nella forma giuridica della società per azioni.
Per quanto concerne le società di professionisti in genere, sarebbe fuori luogo esaminare in questa sede le questioni largamente discusse in dottrina circa la possibilità di configurare l'esercizio delle professioni intellettuali sotto l'aspetto esclusivo o prevalente dell'attività economica a scopo di lucro, e di riferire l'attività personale dei professionisti, esercitata in forme di collaborazione associativa, ad un ente giuridico astratto o ad un gruppo unificato. Sarebbe del pari superfluo ricordare precedenti legislativi forniti da ordinamenti stranieri ed anche da quello italiano, come la legge 23 novembre 1939, n. 1966 sulla disciplina delle società fiduciarie e di revisione, per tacer dei disegni di legge sottoposti all'esame del Parlamento. Ciò che qui unicamente importa accertare é l'eventuale conflitto della normativa vigente con l'art. 41, primo comma, della Costituzione: e tale conflitto sicuramente non sussiste, dati i limiti che lo stesso art. 41 prevede nel secondo e terzo comma, riservando alla legge ogni opportuno controllo delle iniziative ed attività economiche. In particolare, l'esercizio delle professioni intellettuali é stato sempre oggetto di speciale disciplina, pur con forme, modalità e limitazioni diverse nei tempi e nel vario regolamento delle singole professioni. Le osservazioni svolte nell'ordinanza di rimessione prospettano l'opportunità di una eventuale riforma legislativa, non l'esistenza di una questione di legittimità costituzionale. É infatti chiaro che il riconoscimento dell'ammissibilità della costituzione di società per l'esercizio delle attività professionali protette appartiene alla discrezionalità di valutazione del legislatore, al quale soltanto spetta di stabilire se, e a quali condizioni, possa consentirsi l'adozione di forme societarie.
In questa materia, la necessità di una congrua normativa appare evidente, per evitare la possibilità dell'esercizio abusivo da parte di soggetti non abilitati o autorizzati, ed il pericolo dello sfruttamento dell'opera intellettuale in forme non compatibili con la dignità e autonomia dei singoli professionisti; mentre occorre, d'altro canto, con riguardo alla diversa qualità delle prestazioni professionali, un preciso regolamento delle responsabilità sociali e personali, sia nei confronti dei clienti e dei terzi, sia anche nei confronti dello Stato e delle organizzazioni professionali o sindacali.
4. - Non é possibile ravvisare l'ipotizzato conflitto con l'art. 41 nemmeno per quanto concerne le attività di progettazione industriale che, secondo il giudice a quo, richiederebbero oggi una complessa organizzazione di uomini e di mezzi, talché il divieto di costituire società per azioni, che si prefiggano, nell'oggetto sociale, anche l'espletamento di dette attività, determinerebbe una inammissibile preclusione, riguardante "tanto l'attività di pura progettazione in se stessa, quanto le attività industriali direttamente produttive di beni e servizi a cui la prima assicura le indispensabili basi tecnologiche, l'una e le altre concretando tipiche manifestazioni della iniziativa economica".
Si prospetta qui l'esigenza di forme associative di attività professionale organizzate come vere e proprie imprese, con apprestamento di un complesso di beni e mezzi strumentali necessari per il loro esercizio. Occorre ricordare, al riguardo, che l'art. 2238 del codice civile prevede bensì che l'esercizio d'una professione possa costituire elemento di un'attività organizzata in forma d'impresa, (nel qual caso debbono applicarsi anche le disposizioni degli artt. 2082 e seguenti che disciplinano il lavoro nell'impresa, e vige l'esclusione sancita dall'art. 3 della legge 23 novembre 1939, n. 1815); ma non si può evidentemente sostenere che il principio della libertà di iniziativa economica postuli senz'altro l'ammissibilità d'una diversa fattispecie, in cui un professionista, o un gruppo di professionisti, costituiscano una impresa, con conferimento ed organizzazione di mezzi strumentali e beni aziendali, per svolgere attività di progettazione industriale, connesse o non alla diretta produzione di beni o servizi (non professionali). Per siffatte forme complesse di attività imprenditoriale, l'esigenza sopra illustrata di una speciale disciplina normativa appare ancor più palese, trattandosi di regolare la costituzione e l'esercizio non solo di una società tra professionisti, ma di una società professionale organizzata in forma di impresa, ciò che comporta la soluzione di particolari e gravi problemi giuridici. Le esigenze prospettate dal giudice a quo concernono pur sempre una questione di politica legislativa, non di legittimità costituzionale, perché il parametro offerto dal primo comma dell'art. 41 della Costituzione non comporta, nemmeno sotto questo speciale profilo, l'ammissibilità di una piena "liberalizzazione" quanto all'esercizio delle attività tecniche proprie dell'ingegneria industriale, che sono pur sempre attività professionali, soggette alla discrezionale disciplina del legislatore, sindacabile in questa sede soltanto con riguardo alla ragionevolezza dei limiti imposti al loro esercizio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, in riferimento all'art. 41, primo comma, della Costituizione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815, sulla disciplina giuridica degli studi di assistenza e consulenza, sollevata dal pretore di Genova con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1976.
Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 22 gennaio 1976.