Sentenza n. 239 del 1975
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SENTENZA N. 239

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Luigi OGGIONI, Presidente

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          Prof. Antonino DE STEFANO

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del r.d.l. 10 gennaio 1926, n. 16 (revoca, nei casi di indegnità politica, della concessione della cittadinanza italiana conferita ad allogeni in seguito ad opzione), convertito in legge 24 maggio 1926, n. 898, e del d.l. 2 febbraio 1948, n. 23 (revisione delle opzioni degli alto atesini), promosso con ricorso del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano, notificato il 19 febbraio 1972, depositato in cancelleria il 29 successivo ed iscritto al n. 13 del registro ricorsi 1972.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1975 il Giudice relatore Paolo Rossi;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per la Provincia di Bolzano, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per i Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con atto notificato il 19 febbraio 1972 il Presidente della Giunta provinciale di Bolzano, rappresentato e difeso dal prof. avv. Giuseppe Guarino, ha proposto ricorso per la dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo unico del r.d.l. 10 gennaio 1926, n. 16 e degli artt. 1 e seguenti del d.l. 2 febbraio 1948, n. 23 (segnatamente gli artt. 2, 3 e 5) per violazione dell'art. 2 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige, degli artt. 2, 26, 50 e 51 della legge costituzionale n. 1 del 1971 e degli artt. 2 e 6 della Costituzione.

Le norme impugnate stabiliscono rispettivamente che la concessione della cittadinanza italiana in seguito ad opzione può essere revocata in ogni tempo per indegnità politica, e che la revoca della scelta della cittadinanza germanica, effettuata in base alla legge 21 agosto 1939, n. 1241 ed agli accordi italo-tedeschi del 1939, é subordinata, anche per coloro che non si siano trasferiti all'estero, a vari adempimenti formali, essendo inoltre esclusa per una serie di ipotesi eccezionali.

Osserva la difesa della Provincia che una tutela dei gruppi etnici minoritari é assicurata in generale dagli artt. 2 e 6 della Costituzione, secondo cui il singolo é protetto "nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità" e, rispettivamente, "la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche". L'art. 2 dello Statuto speciale dispone inoltre che "nella Regione é riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali". Tale norma, ad avviso della ricorrente, non aveva potuto esplicare tutti i suoi effetti sia per la difficoltà di intendere se avesse voluto tutelare le caratteristiche etniche dei gruppi in quanto tali, ovvero soltanto assicurare la parità di trattamento a tutti i cittadini appartenenti ai gruppi; sia per l'interpretazione invalsa di garantire quella protezione che fosse desumibile da specifiche disposizioni contenute nello Statuto.

La Provincia di Bolzano osserva che la legge costituzionale n. 1 del 1971 ha introdotto in proposito profonde innovazioni, configurando il principio di tutela delle minoranze linguistiche quale istituto autonomo rispetto ai singoli precetti statutari, come risulta dall'art. 51 che prevede l'impugnativa delle leggi dello Stato "per violazione del principio di tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina"; dall'art. 2 che definisce la tutela delle minoranze locali quale interesse nazionale alla cui osservanza la Regione é vincolata nell'emanazione della propria legislazione; dall'art. 26 che menziona distintamente, tra i limiti delle leggi regionali, le caratteristiche etniche e culturali dei gruppi accanto alla parità dei diritti tra i cittadini appartenenti ai diversi gruppi; dall'art. 50 che prevede come causa autonoma di impugnazione della legge regionale e provinciale la violazione del principio di parità tra i gruppi linguistici.

La ricorrente deduce da quanto precede che il sistema vigente intende non solo tutelare la parità formale tra i cittadini appartenenti ai vari gruppi linguistici, ma altresì consentire ai gruppi minoritari di prosperare e svilupparsi. Da questa conclusione deriverebbe ulteriormente che le norme impugnate, in quanto attribuiscono poteri ampiamente discrezionali in materia di cittadinanza e disciplinano la perdita della stessa sulle basi di presupposti formali in contrasto con i dati effettivi della convivenza, incidono direttamente sulla composizione del gruppo etnico minoritario, e costituirebbero una violazione del principio più volte menzionato.

In particolare l'articolo unico del r.d.l. n. 16 del 1926 contrasterebbe direttamente con l'art. 22 della Costituzione. Gli artt. 2, 3 e 5 del d.l. n. 23 del 1948, configurando come ipotesi di riacquisto della cittadinanza casi che avrebbero dovuto essere considerati come improduttivi di effetti per mancato trasferimento all'estero, o introducendo ipotesi eccezionali di esclusione dal riacquisto, diversi da quelli previsti dalla legge sulla cittadinanza, violerebbero il menzionato principio di tutela delle minoranze.

Si e costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 9 marzo 1972, chiedendo dichiararsi inammissibile, o respingersi nel merito, il ricorso della Provincia.

Osserva la difesa dello Stato, riprendendo argomentazioni già altre volte formulate, che il problema dei rapporti tra preesistente disciplina legislativa dello Stato e sopravvenuta modifica dello Statuto speciale, con ampliamento dell'autonomia delle due Province del Trentino-Alto Adige, può essere affrontato in due modi tra loro alternativi. O si ritiene che le nuove disposizioni statutarie siano direttamente ed immediatamente applicabili nei rapporti intersoggettivi privati, anche in relazione al tenore della loro formulazione, ed allora si avrebbe caducazione del disposto normativo impugnato dalla ricorrente, non sussistendo conflitto di leggi ma successione e abrogazione di norme, con conseguente inammissibilità del ricorso. Oppure si ritiene che l'entrata in vigore del nuovo Statuto debba aver luogo garantendo la continuità dell'ordinamento giuridico senza produrre vere e proprie lacune nella preesistente disciplina legislativa. Ad avviso della difesa dello Stato l'interpretazione sistematica e le norme transitorie della legge costituzionale n. 1 del 1971, dimostrano che la seconda soluzione é quella seguita dal legislatore costituzionale. Conseguentemente il nuovo Statuto regionale non determinerebbe immediatamente l'illegittimità costituzionale delle preesistenti leggi dello Stato con esso confliggenti, dovendosi invece attendere l'emanazione delle necessarie norme di attuazione che provvedono, entro limiti temporali prefissati, e con le procedure appositamente previste, ad armonizzare le leggi preesistenti con il nuovo Statuto.

Più in particolare l'Avvocatura generale rileva l'inammissibilità della prospettata censura relativa all'art. 22 della Costituzione, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale che ammette la Regione e la Provincia ad impugnare leggi dello Stato soltanto per la violazione della sfera di competenza costituzionale loro garantita.

Nel merito le norme impugnate non inciderebbero sul principio di tutela delle minoranze linguistiche in quanto sembrerebbero aver ad oggetto situazioni soggettive di singoli cittadini, ed inoltre molte di esse avrebbero da tempo esaurito i loro effetti.

In una memoria successiva la difesa della Provincia ha richiamato la più recente giurisprudenza della Corte, contraria alle eccezioni sollevate dall'Avvocatura dello Stato.

Alla pubblica udienza le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Le questioni proposte dalla Provincia di Bolzano possono essere così riassunte: a) se contrasti o meno con l'articolo 22 della Costituzione, che vieta la privazione della cittadinanza per motivi politici, l'articolo unico del r.d.l. 10 gennaio 1926, n. 16, secondo cui é revocabile per indegnità politica la concessione della cittadinanza italiana in seguito ad opzione effettuata a norma dei trattati di pace conseguenti la prima guerra mondiale; b) se contrastino o meno con il principio di tutela delle minoranze linguistiche (nel significato risultante dall'art. 51 della legge costituzionale n. 1 del 1971, in relazione agli artt. 2, 26 e 50 della stessa legge, all'art. 2 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige e agli artt. 2 e 6 della Costituzione) gli artt. 1 e seguenti (segnatamente 2, 3 e 5) del decreto legislativo 2 febbraio 1948, n. 23, che subordinano a termini di decadenza l'istanza degli alto atesini diretta ad ottenere la revoca dell'opzione della cittadinanza tedesca (art. 1) o il riacquisto della cittadinanza italiana per coloro che avessero acquistata quella germanica (art. 2), ed escludono dal riacquisto (art. 5 in relazione all'art. 2) coloro che, tra l'altro, abbiano appartenuto alle SS o alla Gestapo, abbiano ricoperto cariche in altri organismi della Germania nazista o dimostrato fanatismo od odiosità antitaliana o siano stati condannati come criminali di guerra o per collaborazionismo, per il dubbio che le norme impugnate, derogando al regime generale stabilito dalla legge sulla cittadinanza del 1912, comprimano il gruppo etnico di lingua tedesca.

L'Avvocatura dello Stato solleva eccezioni d'inammissibilità osservando che dovrebbe trovare applicazione il principio di continuità o, alternativamente, ritenersi che il principio di tutela delle minoranze linguistiche operi immediatamente in tutti i rapporti giuridici, con caducazione del disposto normativo con esso confliggente. Le eccezioni sono infondate. Risulta, infatti, che nella specie la ricorrente non ha denunciato invasione da parte di leggi statali anteriori di competenze legislative rivendicate oggi come proprie sulla base della legge costituzionale n. 1 del 1971 (sentenza n. 86 del 1975). Né il principio giuridico dedotto dall'art. 51 di detta legge, può dar luogo, attesa la sua formulazione, all'abrogazione delle norme impugnate, le quali quindi, nel caso in esame, sono suscettibili di giudizio di legittimità costituzionale.

2. - La prima questione, tuttavia, é per altri motivi inammissibile. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, le Regioni o le Provincie autonome possono dedurre in ricorso violazioni di norme costituzionali sempreché si concretino in una lesione della sfera di competenza costituzionale loro garantita.

L'impugnata norma del 1926 opera in un ambito che trascende gli interessi della popolazione alto atesina di lingua tedesca, riferendosi agli allogeni dei territori già facenti parte del Regno austro-ungarico che avessero ottenuto la cittadinanza italiana in seguito all'opzione prevista dai trattati di pace conseguenti alla prima guerra mondiale (cfr. articoli 71 e seguenti legge 26 settembre 1920, n. 1321; art. 7 legge 19 dicembre 1920, n. 1778; art. 47 legge 21 febbraio 1923, n. 281). Il denunciato contrasto con l'art. 22 della Costituzione non può quindi essere oggi prospettato come censura autonoma dalla Provincia di Bolzano, e potrebbe venir legittimamente sollevato, in via incidentale, da parte di un giudice che fosse chiamato ad applicare il r.d.l. 10 gennaio 1926, n. 16.

3. - Né appare fondata la seconda questione.

L'impugnato d.l. 2 febbraio 1948, n. 23, emanato a seguito di consultazioni diplomatiche con l'Austria, ed apprezzato dalle autorità austriache come contenente "norme eque e liberali" nei confronti degli optanti naturalizzati, ha preso atto della situazione giuridica e di fatto conseguente alla legge 21 agosto 1939, n. 1241, ed ai successivi accordi italo-tedeschi, consentendo a coloro che avessero a suo tempo volontariamente rinunciato alla cittadinanza italiana ed acquistato quella germanica, di riacquistare la cittadinanza italiana, malgrado le scelte precedenti.

Il legislatore del 1948 ha tuttavia stabilito che le dichiarazioni dirette al riacquisto della cittadinanza italiana, dovessero essere presentate entro termini di decadenza, e che le categorie di persone, sopra sinteticamente descritte, indicate nell'art. 5 della normativa in esame, fossero escluse dal riacquisto.

É principalmente contro tali disposizioni che sono dirette le denunce della ricorrente, assumendosi che il sistema normativo applicabile al riacquisto della cittadinanza italiana da parte degli alto atesini derogherebbe ingiustificatamente alla disciplina generale stabilita dalla legge 13 giugno 1912, n. 555, sulla cittadinanza, mediante disposizioni speciali che pregiudicano il gruppo minoritario di lingua tedesca.

Per quanto concerne il regime di coloro che, avendo soltanto optato per la cittadinanza germanica, non l'abbiano tuttavia acquistata, l'impugnato d.l. n. 23 del 1948 consente che essi conservino la cittadinanza italiana sol che dichiarino di revocare l'opzione nei termini di decadenza stabiliti dall'art. 3. Questo ne determina variamente la durata, da un minimo di 90 giorni ad un massimo di un anno con possibilità di remissione in termini, in maniera adeguata alle varie ipotesi considerate e non diversa dalla predisposizione di altri termini di decadenza previsti dall'ordinamento giuridico italiano.

L'art. 5 della normativa denunciata risulta disposizione specifica e limitatrice dei poteri governativi rispetto all'art. 9 della legge generale del 1912, secondo cui il Governo può rendere inefficace il riacquisto della cittadinanza "per gravi motivi e su conforme parere del Consiglio di Stato". Nel caso degli alto atesini i motivi sono assai più circoscritti: occorre che le persone indicate nell'art. 2 del d.l. del 1948 abbiano ricoperto importanti incarichi nella SOD, nella ADEURST, nella ADO, abbiano fatto parte della Gestapo, siano stati ufficiali o sottufficiali delle SS; siano stati condannati come criminali di guerra o per collaborazionismo, si siano resi colpevoli di atti di crudeltà o di grave persecuzione in danno di cittadini italiani; abbiano dimostrato faziosità nazista, fanatismo o odiosità antitaliana nella propaganda per le opzioni tra il 23 giugno 1939 e il 5 maggio 1945 (art. 5 citato d.l. del 1948).

La previsione di ipotesi specifiche in raffronto all'ampio tenore della legge generale sulla cittadinanza, dimostra che la normativa impugnata non lede il principio di tutela del gruppo etnico minoritario. Le norme procedimentali in esame assicurano infatti ogni garanzia già nella fase amministrativa, prevedendo che il parere in ordine all'esclusione dal riacquisto sia emesso, dopo apposita istruttoria in contraddittorio con l'interessato, da una commissione presieduta da un magistrato e composta, su base paritetica, da membri facenti parte dei due gruppi linguistici, nel rispetto del principio costituzionale invocato.

Ferma restando la distinzione tra revoca della concessione della cittadinanza ed esclusione dal riacquisto di chi, acquistando una cittadinanza straniera, abbia volontariamente rinunciato a quella italiana, può ancora aggiungersi che i casi di esclusione previsti per gli alto atesini rispondono in generale agli stessi criteri che legittimano la perdita della cittadinanza secondo la legge italiana del 1912 ed i testi normativi corrispondenti di molti paesi europei.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile, in riferimento all'art. 22 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico del r.d.l. 10 gennaio 1926, n. 16 (convertito in legge 24 maggio 1926, n. 898), per difetto di legittimazione a proporla da parte della Provincia ricorrente;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 2 febbraio 1948, n. 23 (contenente revisione delle opzioni degli alto atesini), sollevata, con il ricorso in epigrafe indicato, dalla Provincia di Bolzano, in riferimento agli artt. 51,2,26 e 50 della legge costituzionale n. 1 del 1971,2 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige, 2 e 6 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1975.

Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1975.