Sentenza n. 187 del 1975
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SENTENZA N. 187

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma, lett. h, e 5, secondo comma, della legge 21 luglio 1965, n. 903, sulla riforma della previdenza sociale, nonché dell'art. 2 della legge 18 marzo 1968, n. 238, contenente norme di proroga e di integrazione della precedente, promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra l'Istituto nazionale della previdenza sociale e la Cassa di previdenza per il personale della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, iscritta al n. 384 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 289 del 6 novembre 1974.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione della Cassa di Previdenza e dell'INPS;

udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1975 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi gli avvocati Mario Contaldi e Mario Nigro, per la Cassa di previdenza, gli avvocati Antonio Giorgi, Sergio Traverso e Gianni Romoli, per l'INPS, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso del procedimento civile vertente tra l'Istituto nazionale della previdenza sociale e la Cassa di previdenza per il personale della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, il tribunale di Padova, con ordinanza emessa il 30 maggio 1974, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 38, 2, 3 e 53 della Costituzione, degli artt. 3, primo comma, lett. h, e 5, secondo e terzo comma, della legge 21 luglio 1965, n. 903, nonché dell'art. 2 della legge 18 marzo 1968, n. 238, i quali pongono a carico di enti sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, una contribuzione a favore del Fondo sociale gestito dall'INPS, pari al 2% delle retribuzioni concesse al personale assicurato presso gli stessi enti.

Con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 38 della Costituzione, il tribunale, dopo aver rilevato che l'INPS e la Cassa di previdenza perseguono, ciascuna per i propri iscritti, la medesima finalità previdenziale, afferma che le norme impugnate, imponendo a un istituto (la Cassa), un onere di natura assistenziale diretto a favorire l'erogazione di prestazioni assicurative agli iscritti di altri istituti (l'INPS), si porrebbe in contrasto con l'art. 38, quarto comma, della Costituzione, secondo cui gli enti che perseguono istituzionalmente finalità previdenziali a favore dei propri iscritti sono tutelati e, se del caso, aiutati dallo Stato.

D'altra parte, le norme impugnate, disponendo l'erogazione di un contributo a carico dei dipendenti della Cassa di risparmio, non per fini previdenziali a favore degli stessi dipendenti, ma per fini previdenziali a favore di altri soggetti e cioé a titolo di solidarietà sociale, contrasterebbero con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, in quanto il sacrificio economico per solidarietà sociale dovrebbe gravare equamente su tutta la collettività e non solo su alcune categorie di cittadini, nei confronti dei quali mancherebbe del tutto ogni collegamento razionale basato su una comunanza di interessi tra l'INPS e la predetta Cassa di previdenza.

Ma anche sotto altro profilo, le norme impugnate violerebbero, ad avviso del giudice a quo, il principio di eguaglianza, in quanto esse determinerebbero, senza alcuna giustificazione logica, una disparità di trattamento fra i dipendenti delle varie casse di previdenza sostitutive dell'INPS, perché esonerano da ogni contribuzione, tra gli altri, la gestione delle pensioni dei dipendenti delle Amministrazioni dello Stato, le casse di previdenza amministrate dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza del Ministero del tesoro, gli Istituti o fondi speciali per pensioni amministrati da Comuni, Province, Regioni, ecc.

Infine, il sistema delineato dalle norme impugnate sarebbe in contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto gli enti assoggettati al contributo sarebbero tenuti ad una prestazione imposta a prescindere dalla loro capacità contributiva e anche quando, come nella specie, la loro gestione si trovi in una cronica condizione di disavanzo. Né, d'altra parte, questa situazione sarebbe diversa nel caso in cui venisse disposto, come prevede l'art. 5 della legge n. 903 del 1965, l'aumento della misura dei contributi a carico degli iscritti, perché tale aumento prescinde da ogni considerazione della capacità contributiva dei singoli obbligati e non ha alcun rapporto con l'entità dei contributi già versati.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata comunicata e pubblicata.

Nel giudizio dinanzi alla Corte si é costituita la Cassa di previdenza del personale della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo che, aderendo alle censure prospettate nella ordinanza di rinvio, chiede che la Corte dichiari la illegittimità costituzionale delle norme impugnate.

Si é altresì costituito l'Istituto nazionale della previdenza sociale che, con ampie deduzioni, chiede che la Corte dichiari infondate le questioni proposte dal tribunale di Padova.

É inoltre intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che, con deduzioni del 15 ottobre 1974 contesta la fondatezza delle argomentazioni sviluppate nella ordinanza di remissione, chiedendo che esse vengano disattese dalla Corte.

Nell'udienza di discussione le parti hanno illustrato ulteriormente le proprie deduzioni.

Considerato in diritto

1. - La legge 21 luglio 1965, n. 903, istituiva presso l'INPS il così detto "fondo sociale", a carico del quale poneva l'onere del pagamento della somma mensile di L. 12.000 a tutti i titolari di pensioni delle assicurazioni obbligatorie, con funzione di integrazione per coloro che non raggiungessero quel minimo. Con successiva legge 30 aprile 1969, n. 153, a carico dello stesso fondo sociale veniva posto l'ulteriore onere del pagamento di una pensione, di pari importo, a favore degli ultra sessantacinquenni bisognosi e non aventi titolo ad alcuna altra rendita o prestazione economica previdenziale.

Per fornire al detto fondo sociale i necessari ed imponenti mezzi finanziari, prima che vi potesse provvedere da solo lo Stato (come avverrà, a partire dal 1 gennaio 1976, in base alla citata legge n. 153 del 1969), l'art. 3 della legge istitutiva del "fondo" (n. 903 del 1965) disponeva in favore di esso tutta una serie di contributi per gli anni dal 1965 al 1969, prorogati poi al 1970 (1. 18 marzo 1968, n. 238) da versarsi, oltre che dallo Stato, da fondi di gestioni speciali dell'INPS e, tra gli altri, da "Enti, Fondi, Casse e Gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, o che ne comportino comunque l'esonero". I suddetti enti, fondi, ecc. sono organismi economici previdenziali particolari, costituiti da aziende (specie, banche e istituti assicurativi) o da enti pubblici, al fine di gestire la previdenza dei propri dipendenti e che, per gli artt. 28 e 32 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, convertito con la legge 6 luglio 1939, n. 1272, potevano, con autorizzazione ministeriale, sostituire nella sua funzione istituzionale l'INPS nei confronti dei loro dipendenti, i quali venivano così esonerati dall'obbligo di assicurarsi presso il detto Istituto di previdenza.

Con la citata legge n. 903 del 1965, art. 3, comma primo, lettera h, i menzionati enti previdenziali con funzione sostitutiva venivano onerati a favore del "fondo sociale" di una contribuzione pari al 2% delle retribuzioni in base alle quali erano calcolati i contributi loro dovuti dai propri iscritti; contribuzione alla quale essi dovevano far fronte (art. 5, secondo e terzo comma) o con eventuali avanzi di gestione o con l'aumento dei contributi, salvo esonero da concedersi, per condizioni deficitarie di bilancio, con decreto del ministro del lavoro.

In un giudizio promosso dall'INPS contro uno di tali enti, resosi inadempiente all'obbligo del relativo versamento, il tribunale di Padova ha sollevato questione di costituzionalità dei citati articoli della legge 903, nonché dell'art. 2 della legge 18 marzo 1968, n. 238, che ha prorogato l'onere del contributo per un altro anno, e cioé fino al 31 dicembre 1970.

Nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo ha ritenuto che le dette norme contrastino con quelle degli artt. 38,2,3 e 53 Cost., per le ragioni che vengono qui di seguito prese in esame.

2. - Secondo l'ordinanza di rimessione, se, ai sensi dell'art. 38 Cost., all'assistenza e alla previdenza devono provvedere gli organi e gli istituti predisposti o integrati dallo Stato, non é concepibile che gli enti previdenziali, per così dire, aziendali, che dovrebbero rientrare nella categoria di quelli integrati, possano essere trasformati, sia pure con provvedimento legislativo, in enti integratori dell'INPS o di sue interne ripartizioni.

L'argomento ha valore prevalentemente nominalistico perché né il concetto di integrazione é puramente economico, né l'indicazione degli organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato costituisce una dicotomia che classifichi quegli enti in due categorie distinte e quasi contrapposte, le quali esauriscano tutto il sistema organizzatorio della funzione previdenziale.

É ovvio che gli enti, siano essi assistenziali o previdenziali, possono anche non essere integrati, finanziariamente, dallo Stato, qualora non ne abbiano bisogno, senza che con ciò venga alterata la loro natura. Del resto questo é proprio il caso della Cassa di previdenza de qua, la quale nessuna integrazione riceveva dall'INPS o da organi statali, o comunque pubblici.

Né di alcun peso sono le ragioni, attinenti alla circostanza di puro fatto e relative alla situazione patrimoniale, che si assume deficitaria, di quella Cassa, chiamata a far fronte alla contribuzione al fondo sociale, perché la legge prevedeva l'apprestamento dei mezzi occorrenti, mediante l'aumento dei contributi degli iscritti, sia pure a seguito di una autorizzazione ministeriale.

Ciò posto, va rilevato che il problema di costituzionalità si puntualizza sulla possibilità di fornire una giustificazione razionale alla contribuzione che la Cassa, al pari degli altri organismi similari, era chiamata ad apportare al bilancio dell'INPS per incrementare il "fondo sociale". Ma la risposta é già nell'ordinanza, dove si afferma che "l'INPS e la Cassa di previdenza perseguono, ciascuno per i propri iscritti, la medesima finalità previdenziale". Ed é infatti, proprio in questa identità di fini che va ricercata la ragione che legittima l'onere imposto, in un sistema che, distaccandosi da una concezione puramente contributiva della previdenza, si manifesta sempre più sensibile a motivi di solidarietà sociale.

3. - Ma l'ordinanza, collegandosi proprio a questi motivi, che qui si indicano come validi per giustificare l'imposizione sostiene che il sacrificio economico per solidarietà sociale dovrebbe gravare equamente su tutta la collettività e non solo su quelle categorie di cittadini iscritti a fondi sostitutivi della previdenza sociale, e conclude che la legge, così disponendo, violerebbe gli artt. 2 e 3 della Costituzione.

Tali argomentazioni sono prive di ogni consistenza.

Innanzi tutto va osservato che il fondo sociale é stato posto dalla legge istitutiva a carico della collettività, e cioé dello Stato, - cui é stato accollato l'intero onere a far tempo dal 1 gennaio 1976 - e che, solo per un periodo di tempo limitato, dal 1965 al 1970, é stato richiesto il temporaneo ausilio degli enti previdenziali in genere, INPS compreso, mediante l'imposizione di un contributo che, oltre ad essere temporaneo, non sembra fosse insopportabile per il suo ammontare.

Inoltre, non é necessario che a siffatte necessità della collettività nazionale si provveda sempre ed esclusivamente con i mezzi della finanza pubblica, dovendosi ritenere che possano anche chiedersi prestazioni speciali ad organismi particolari o a particolari categorie di cittadini, oggettivamente individuate per le loro caratteristiche di appartenenza a gruppi che, sulla base di una congrua valutazione, risultino prossimi per composizione e per interessi a quelli di coloro cui si rivolge, in un determinato momento, l'attenzione e la cura del legislatore.

4. - L'ordinanza denunzia altresì la violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione, assumendo che, se gli enti previdenziali dovevano essere chiamati a concorrere alla costituzione del fondo sociale, nessuno di essi doveva esserne escluso: invece, nell'ultimo comma dell'art. 3 della legge 903, sono esonerati dal contributo, i regimi di pensione dei dipendenti delle Amministrazioni dello Stato, delle Casse di previdenza amministrate dal Ministero del tesoro, e i fondi speciali amministrati da enti pubblici territoriali e da istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.

Ma la scelta degli onerati, come quella degli enti esclusi dalla contribuzione, operata dal legislatore nella sua discrezionalità, non appare ingiustificata sul piano razionale, tanto da consentire alla Corte di scendere ad un esame di merito.

La circostanza che tale scelta é limitata agli Enti, Casse e Gestioni esercenti forme obbligatorie di previdenza, secondo si é già detto innanzi, trova la sua ragion d'essere proprio nel fatto che la loro azione é sostitutiva di quella specifica dell'INPS nel campo della assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti. In questa prospettiva unitaria, si spiega perché, nei confronti di alcune categorie di lavoratori, tutte rientranti nel campo di azione assegnato al massimo Istituto previdenziale, e distinto solo per aspetti di autonomia organizzativa, la legge abbia creduto di accomunare quegli organismi sostitutivi nell'opera e nello sforzo che l'INPS era in modo preminente chiamato a compiere per la costituzione del fondo sociale, in attuazione dell'art. 38, primo comma, della Costituzione.

5. - Da ultimo, l'ordinanza denunzia le norme impugnate anche con riferimento all'art. 53 della Costituzione, in quanto esse avrebbero colpito enti e fondi previdenziali aziendali anche deficitari, e, quindi, indipendentemente da ogni valutazione della loro capacità contributiva.

Ma nemmeno questa censura ha fondamento: innanzi tutto, perché non mancava nella legge un meccanismo di adeguamento dell'onere contributivo alla situazione patrimoniale di tali organismi, costituito dalla richiesta di esonero, da proporsi al Ministero del lavoro, la cui decisione non era certo sottratta ai comuni controlli, anche giurisdizionali; inoltre perché, in definitiva, colpiti dalla contribuzione al fondo, erano gli iscritti a quegli enti previdenziali, nei cui confronti veniva dalla legge autorizzato, con garanzie di speciale procedura, un aumento dei contributi.

Né potrebbe sostenersi che la censura sarebbe fondata, quanto al trasferimento dell'onere agli iscritti, a causa della mancanza di ogni valutazione di una loro capacità contributiva, in quanto deve presumersi che essa sia stata operata dalla legge e con risultato affermativo, trattandosi di appartenenti ad aziende o istituti che assicurano ai propri dipendenti un trattamento pensionistico ordinariamente superiore a quello dei dipendenti pubblici e a cui un onere di percentuale modesta (2 %) e di durata limitata nel tempo poteva perciò essere imposto.

Concludendo, tutte le questioni di costituzionalità proposte con l'ordinanza di rinvio non sono fondate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma primo, lettera h, e 5, comma secondo, della legge 21 luglio 1965, n. 903, sulla riforma della previdenza sociale, nonché dell'art. 2 della legge 18 marzo 1968, n. 238, contenente norme di proroga e di integrazione della precedente; questioni proposte con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 38, 2, 3 e 53 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1975.