Sentenza n.151 del 1975
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SENTENZA N. 151

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 156 del codice penale, promossi con ordinanze emesse il 20 giugno e il 27 novembre 1973 dal pretore di Bologna nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Santerini Gino e di Moro Silvano, iscritte al n. 439 del registro ordinanze 1973 e al n. 66 del registro ordinanze 1974 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 del 6 febbraio 1974 e n. 75 del 20 marzo 1974.

Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 1975 il Giudice relatore Enzo Capalozza.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento penale nei confronti di Gino Santerini per lesioni colpose lievi in danno di Rosetta e Mario Pupilli, la prima e gli eredi del secondo rimettevano la querela.

Con ordinanza 20 giugno 1973, il pretore di Bologna, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 cpv. della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 156 del codice penale, nella parte in cui non consente agli eredi del querelante di esercitare il diritto di remissione.

Osserva il pretore che gli eredi suddetti, in caso di proscioglimento del querelato (salvo che per i motivi tassativamente indicati dagli artt. 382 e 482 del codice di procedura penale), devono subire gli effetti della condanna sia alle spese anticipate dallo Stato, sia, se vi é stata domanda, alla rifusione di quelle sostenute dall'imputato, sia, infine, se vi é colpa grave, al risarcimento dei danni derivati a quest'ultimo, anche quando, rendendosi conto dell'infondatezza della richiesta avanzata dai loro de cuius con la querela, intendano evitare il costo di una spesso complessa procedura, nella quale sarebbero coinvolti pur se si determinassero ad accettare l'eredità con il beneficio d'inventario.

Da tutto ciò deriverebbe la duplice violazione del diritto di difesa, da intendere anche come mezzo per elidere possibili appesantimenti della posizione debitoria, e del principio di eguaglianza per l'irragionevolezza e l'iniquità del divieto posto agli eredi, reso più grave in presenza di fatti nuovi che avrebbero potuto indurre alla remissione lo stesso querelante.

2. - Analoga questione, in riferimento ai medesimi precetti costituzionali, é stata promossa dallo stesso pretore, con ordinanza 27 novembre 1973, nel procedimento penale a carico di Silvano Moro, per lesioni colpose lievi, a seguito della remissione della querela da parte degli eredi del querelante.

3. - Nessuno si é costituito dinanzi a questa Corte né vi é stato intervento della Presidenza del consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - É stato denunziato a questa Corte l'art. 156 del codice penale, nei limiti in cui, disponendo che "il diritto di remissione si estingue con la morte della persona offesa dal reato", non ne consente l'esercizio agli eredi di essa.

2. - Le due ordinanze in epigrafe sollevano la medesima questione e, pertanto, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

3. - Si assume che la norma violi gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione: il primo per la irragionevolezza e l'iniquità del divieto; l'altro per la lesione del diritto di difesa, ove questa si intenda anche come "mezzo per elidere possibili appesantimenti della posizione debitoria".

4. - Sussiste il contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

É significativo che già in sede di lavori preparatori del codice vigente (vedasi relazione al re, n. 78) siano state sollevate obiezioni e critiche circa l'intrasmissibilità del diritto di remissione.

La norma censurata comporta, da un lato, l'obbligo, per gli eredi, di sottostare al pagamento delle spese processuali e all'eventuale risarcimento del danno (artt. 382 e 482 del codice di procedura penale), senza possibilità alcuna di sottrarvisi; e dall'altro, l'impossibilità di impedire la prosecuzione dell'azione penale pur se una diversa e, magari, più approfondita valutazione delle circostanze e delle prove - acquisite sia prima che dopo la morte del de cuius - li abbia convinti a decidere in conseguenza.

É da osservare, inoltre, che l'art. 156 cod, pen., escludendo la facoltà di rimettere la querela quando sia venuto meno il soggetto, alla valutazione del quale la legge ha attribuito il diritto di proporre la querela e di rimetterla, si pone in contraddizione con la logica stessa dell'istituto, giacché preclude agli eredi quella stessa facoltà di valutazione che avrebbe potuto essere esercitata dal de cuius, anche nell'ipotesi in cui tutti consentano alla remissione.

Resta assorbito l'altro profilo di illegittimità (art. 24, secondo comma, Cost.).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 156 del codice penale, nella parte in cui non attribuisce l'esercizio del diritto di remissione della querela agli eredi della persona offesa dal reato, allorché tutti vi consentano.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1975.