Sentenza n.147 del 1975
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SENTENZA N. 147

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del r.d.l. 4 maggio 1942, n. 434 (imposta sul valore netto globale delle successioni), convertito in legge 18 ottobre 1942, n. 1220; dell'art. 6 del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 90 (modificazioni delle imposte sulle successioni e sulle donazioni); e dell'art. 8 della legge 12 maggio 1949, n. 206 (modificazioni alle leggi in materia d'imposta sulle successioni e sulle donazioni), promosso con ordinanza emessa il 17 novembre 1972 dal tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Giaconia Letizia ed altri e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 18 aprile 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 1975 il Giudice relatore Angelo De Marco;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza 17 novembre 1972, pronunciata nel corso del giudizio promosso dalla sig.ra Letizia Giaconia ved. Airoldi ed altri contro l'Amministrazione delle finanze dello Stato, il tribunale di Palermo, accogliendo analoga istanza degli attori, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del r.d.l. 4 maggio 1942, n. 434, istitutivo della imposta sul valore netto globale delle successioni, convertito nella legge 18 ottobre 1942, n. 1220, dell'art. 6 del decreto luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 90 (modificazioni delle imposte sulle successioni e sulle donazioni), e dell'art. 8 della legge 12 maggio 1949, n. 206 (modificazioni alle leggi in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni).

Secondo l'ordinanza di rinvio, infatti, le norme denunziate sarebbero in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto:

a) soggetti passivi dell'imposta sono gli eredi ed i legatari e presupposto di essa é il loro arricchimento, mentre l'imposta non é commisurata a tale arricchimento, ma al valore netto globale dell'asse ereditario;

b) conseguentemente, i singoli eredi o legatari, pur ereditando beni di egual valore, pagano un'imposta di ammontare differente, ancorché rivelino identica capacità contributiva, a seconda del valore complessivo del patrimonio del de cuius, con evidente violazione del principio di eguaglianza, in forza del quale a parità di valore dei beni deve corrispondere parità della relativa imposta.

Dopo gli adempimenti di legge, il giudizio, come sopra promosso, viene ora alla cognizione della Corte.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con l'atto di intervento, chiede che la proposta questione venga dichiarata infondata.

Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, infatti, all'istituzione dell'imposta sul valore globale netto delle successioni si é pervenuti attraverso una scelta politica che ha per presupposti un sistema tributario a carattere progressivo e la presunzione che l'accrescimento del patrimonio del de cuius sia il frutto di una evasione legittima o illegittima, parziale o totale dei carichi tributari che gravano sui redditi.

Sull'asse ereditario, pertanto, viene a gravare l'onere di un debito del de cuius, che ha un evidente carattere reale, mentre carattere personale hanno soltanto, non le quote di ripartizione tra eredi e legatari di quell'onere reale, ma le autonome imposte su dette quote gravanti, aventi carattere personale.

Ne consegue che non possono invocarsi né l'art. 3, né l'art. 53 della Costituzione, applicabili soltanto nel caso di imposte a carattere personale.

Anche le parti private hanno depositato un'ampia memoria a sostegno delle tesi sostenute nell'ordinanza di rinvio, ma tale memoria non può essere presa in considerazione, data la tardività di costituzione di dette parti.

Considerato in diritto

1. - Come si é riferito in narrativa, con l'ordinanza di rinvio viene denunziata a questa Corte l'imposta sul valore netto globale delle successioni, istituita con il r.d.l. 4 maggio 1942, n. 434, convertito nella legge 18 ottobre 1942, numero 1220, e confermata, con l'adeguamento delle aliquote, dall'art. 6 del d.lgt. 8 marzo 1945, n. 90, e dall'art. 8 della legge 12 maggio 1949, n. 206.

Nell'applicazione di tale imposta può infatti accadere che, in relazione all'ammontare globale dell'asse ereditario, singole quote ereditarie di eguale entità vengano gravate, in concreto, di imposte di ammontare diverso, con palese violazione, secondo il giudice a quo, sia del principio di eguaglianza sia di quello della capacità contributiva, sanciti rispettivamente dagli artt. 3 e 53 della Costituzione.

2. - É necessario anzitutto stabilire quale sia la natura di questo tributo che, in periodo di guerra, ai fini soprattutto di un maggior gettito tributario - come fu affermato nella relazione del Ministro per le finanze alla Camera - é entrato nel nostro sistema fiscale e successivamente é stato confermato con le citate leggi n. 90 del 1945 e n. 206 del 1949 e, sia pure con una parzialmente diversa disciplina, ha trovato ulteriore conferma nel d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, in sede di riforma tributaria.

Secondo la su detta relazione alla Camera e la più autorevole dottrina, tale tributo ha carattere prevalentemente reale, in quanto colpisce globalmente l'asse ereditario, restando nettamente separato e distinto - come espressamente dispone l'art. 4 del d.l. n. 434 del 1942 - dall'altra imposta, a carattere personale, che colpisce le eredità e i legati a norma del r.d. n. 3270 del 1923 e successive modificazioni.

Senonché, anche se l'importo dell'imposta reale (art. 1, ultimo comma, del d.l. n. 434 del 1942) viene detratto dal valore globale dell'asse ereditario - il quale pertanto viene considerato al netto ai fini della determinazione delle quote da assoggettare all'imposta personale - non può negarsi che in definitiva entrambe le imposte vengono a gravare sugli eredi. Né può contestarsi che a seconda del valore globale dell'asse possono verificarsi quelle particolari situazioni, poste in rilievo nell'ordinanza di rinvio, nelle quali sembrano ravvisarsi gli estremi della violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione che sono stati denunziati alla Corte.

 

É dunque necessario stabilire su quale piano giuridico possa trovare fondamento quel concorso di tributi, come sopra esposto, gravante, sia pure sotto diversi aspetti, sostanzialmente sugli stessi soggetti.

La Corte ritiene che la funzione di tale disciplina possa ravvisarsi nella finalità di operare un prelievo adeguato alla capacità contributiva riferita al complesso del patrimonio che cade nella successione.

Risponde ai principi consacrati nell'art. 42 della Costituzione che l'asse ereditario sia assoggettato, in conformità anche con l'art. 53 della Costituzione, ad un'imposta progressiva - a carattere prevalentemente reale - a prescindere dall'imposta personale sulle eredità, quote e legati, prevista dal r.d. n. 3270 del 1923 e successive modificazioni. Né le norme impugnate possono ritenersi costituzionalmente illegittime per il fatto che il cumularsi delle due imposte, a seconda del valore dell'asse, può far si che quote di eredità di eguale valore siano gravate da imposte di ammontare differente. Non é irrazionale, infatti, avere ritenuto diverse, agli effetti tributari, successioni ereditarie per quote dello stesso valore da assi di valore diverso e non vi é quindi violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Né d'altra parte può ravvisarsi violazione del principio della capacità contributiva, in quanto nelle imposte a carattere reale la capacità contributiva é data dal valore del bene tassato e non dal patrimonio del soggetto o dei soggetti ai quali il bene appartiene.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del r.d.l. 4 maggio 1942, n. 434 (imposta sul valore netto globale delle successioni), convertito nella legge 18 ottobre 1942, n. 1220, dell'art. 6 del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 90 (modificazioni delle imposte sulle successioni e donazioni), e dell'art. 8 della legge 12 maggio 1949, n. 206 (modificazioni alle leggi in materia di imposta sulle successioni e donazioni), sollevata dal tribunale di Palermo con ordinanza 17 novembre 1972, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 19 giugno 1975.