Sentenza n. 126 del 1975
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SENTENZA N. 126

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1973 dalla Corte d'appello di Milano nel procedimento civile vertente tra il fallimento della società Immobiliare Sforza e Oldrini Gianmauro ed altro, iscritta al n. 319 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973.

Udito nella camera di consiglio del 20 febbraio 1975 il Giudice relatore Michele Rossano.

Ritenuto in fatto

Con sentenza 25 novembre 1971-14 febbraio 1972 il tribunale di Milano - in accoglimento dell'opposizione proposta dal creditore Gianmauro Oldrini e nel contraddittorio del curatore e del creditore istante Mario Rotondi - dichiarò la nullità della sentenza 9 dicembre 1969 dichiarativa del fallimento della s.a.s. Immobiliare Sforza e del socio accomandatario Giovanni, detto Gianluca Tondani, avendo accertato la nullità della notificazione del ricorso del Rotondi al debitore e la mancata comparizione del debitore medesimo davanti al giudice, in camera di consiglio, all'udienza fissata per la trattazione del ricorso.

Avverso tale sentenza proposero appello il curatore del fallimento ed il creditore istante, con atti notificati all'opponente il 17 ed il 18 marzo 1972.

La Corte di appello di Milano - riunite le due cause - ha sollevato, di ufficio, con ordinanza 10 aprile-24 maggio 1973 la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge sul fallimento) - in relazione all'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione - in quanto la detta norma limita l'obbligo della notificazione della opposizione al curatore e al creditore richiedente, con esclusione del fallito, quando l'opposizione sia proposta da un qualunque interessato.

Ha osservato che il diniego della legittimazione passiva al fallito, nel giudizio di opposizione instaurato da qualunque interessato contro la sentenza dichiarativa di fallimento, appare in contrasto con il principio del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione in quanto il debitore, che é partecipe necessario della fase anteriore alla dichiarazione di fallimento, deve essere sempre riconosciuto, anche in sede di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento, quale uno dei legitimi contradictores, alla pari del curatore e del creditore istante, avuto riguardo agli effetti che la emananda pronuncia arreca nei suoi confronti.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 249 del 26 settembre 1973.

Nel giudizio davanti a questa Corte non si sono costituite le parti e non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Nel corso del giudizio in grado di appello contro la sentenza 25 novembre 1971-14 febbraio 1972 del tribunale di Milano - che aveva dichiarato la nullità della sentenza 9 dicembre 1969 dichiarativa del fallimento della Società Immobiliare Sforza di Gianluca Tondani e C., nonché del socio accomandatario Giovanni Tondani, in accoglimento dell'opposizione proposta dal creditore Gianmauro Oldrini, e nel contraddittorio del curatore e del creditore istante Mario Rotondi - la Corte di appello di Milano, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale "dell'art. 18, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge sul fallimento), in relazione all'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto limita l'obbligo della notificazione dell'opposizione al curatore e al creditore richiedente, con esclusione del fallito, quando l'opposizione sia proposta da qualunque interessato".

2. - La questione non é fondata.

L'art. 18, primo comma, della legge fallimentare, secondo cui il debitore può proporre opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento nel termine di quindici giorni dall'affissione della sentenza, gli riconosce la legittimazione ad un'autonoma azione a tutela dei suoi diritti, in conseguenza degli effetti che la dichiarazione di fallimento produce nei suoi confronti e sul suo patrimonio. Scaduto il termine, che ha carattere perentorio, la sua attività processuale deve essere contenuta nei limiti consentiti dalla struttura del processo, che può concludersi con la revoca della sentenza dichiarativa di fallimento o con il rigetto della opposizione e nel quale la legge designa, come legittimi contraddittori, il debitore, qualunque interessato che non abbia richiesto il fallimento e il curatore, in quanto organo che per legge ha la rappresentanza in giudizio del fallimento.

Per tale struttura la scadenza del termine preclude che il debitore possa spiegare intervento ai sensi dell'art. 105, primo comma, del codice di procedura civile per far valere un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo, che implica la legittimazione ad una azione autonoma che potrebbe essere spiegata in separato giudizio, l'azione cioé preclusa per la scadenza del termine e diretta alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento. Escluso pertanto che il debitore possa intervenire nel giudizio di opposizione proposto da altri deducendo l'interesse alla revoca del fallimento, non può peraltro escludersi la proponibilità della questione concernente l'intervento del debitore ai sensi del secondo comma dell'art. 105 del codice di procedura civile "per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse": l'interesse contrario alla revoca del fallimento, cioé al rigetto dell'opposizione, che può trovare fondamento razionale nella legittimazione del debitore a chiedere la dichiarazione del suo fallimento (art. 6 legge fallimentare). Ma per la proponibilità di tale questione non é richiesta la notificazione al debitore stesso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma terzo, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), proposta dalla Corte di appello di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1975

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 28 maggio 1975.