Sentenza n. 121 del 1975
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SENTENZA N. 121

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, secondo comma, della legge 20 marzo 1954, n. 72 (trattamento di quiescenza degli appartenenti alla disciolta milizia volontaria per la sicurezza nazionale e sue specialità), promosso con ordinanza emessa il 5 dicembre 1972 dalla Corte dei conti - sezione IV pensioni militari - sul ricorso di Svigelj Vittorio Giuseppe ed altri contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 37 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 69 del 13 marzo 1974.

Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 1975 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 5 febbraio 1972 (pervenuta a questa Corte il 28 gennaio 1974) emessa dalla Corte dei conti - sezione IV giurisdizionale - nel giudizio promosso contro il Ministero della difesa da Svigelj Vittorio Giuseppe - già 1 caposquadra in servizio permanente effettivo della disciolta m.v.s.n. - (giudizio poi proseguito dalla vedova Kodric Maria e dai figli superstiti Svigelj Giuseppe e Mario), é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma secondo, della legge 20 marzo 1954, n. 72, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui tale norma concede agli ex appartenenti alla m.v.s.n. l'aumento di cinque anni sui servizi effettivamente prestati tanto agli effetti del raggiungimento del periodo minimo necessario per acquisire il diritto a pensione quanto ai fini della liquidazione della pensione stessa e non anche ai fini della liquidazione dell'indennità una tantum prevista dal precedente art. 3 della medesima legge.

Si osserva nell'ordinanza che la norma denunciata detta una disciplina legislativa differenziata tra soggetti che son venuti in concreto a trovarsi nell'identica situazione oggettiva di disagio allorché tutti sono stati costretti a interrompere l'intrapresa carriera dopo lo scioglimento della m.v.s.n. disposto nel 1943 alla fine del secondo conflitto mondiale.

D'altra parte lo stesso legislatore, in altre occasioni e per casi in tutto simili a quello in esame, ha previsto l'aumento di cinque anni oltre che per il raggiungimento del servizio minimo richiesto per la pensione ed ai fini della liquidazione della pensione stessa, anche per la determinazione della indennità una tantum (cfr. art. 1, comma secondo, d.l.C.P.S. 5 agosto 1947, n. 837, sul "collocamento a riposo dei dipendenti dello Stato e degli enti locali che non ottemperino all'obbligo di rinnovare il giuramento alla Repubblica; l'art. 67 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, sull'esodo volontario dei dirigenti e del personale delle carriere direttive dello Stato; ed, infine, quali esempi normativi più pertinenti, l'art. 6, comma secondo, della legge 20 ottobre 1949, n. 808, e l'art. 6, comma secondo, della legge 11 gennaio 1951, n. 31, riguardanti rispettivamente provvedimenti in favore delle disciolte milizie nazionali della strada e dei porti).

Conclude, pertanto, l'ordinanza per l'incostituzionalità della norma denunciata.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte nessuno si é costituito.

Considerato in diritto

1. - La Corte é chiamata a decidere se sia in contrasto col principio di uguaglianza, enunciato dall'art. 3 Cost., la norma contenuta nell'art. 4, comma secondo, della legge 20 marzo 1954, n. 72, sul "trattamento di quiescenza degli appartenenti alla disciolta milizia volontaria per la sicurezza nazionale e sue specialità" nella parte in cui essa non estende anche agli effetti della liquidazione dell'indennità una tantum, prevista dal precedente art. 3 della stessa legge, la maggiorazione di 5 anni sui servizi effettivamente prestati riconosciuta utile, invece, sia ai fini del raggiungimento del periodo minimo necessario per acquistare il diritto a pensione, sia per la liquidazione della pensione.

La questione é fondata

A questa conclusione la Corte perviene ponendo a raffronto l'indicato trattamento di quiescenza stabilito per la milizia ordinaria con quello precedentemente dettato dal legislatore nei riguardi del personale appartenente alle disciolte milizie nazionali della strada e portuaria.

Trattasi delle norme, esattamente richiamate dall'ordinanza di rimessione, contenute nell'art. 6, comma secondo, della legge 20 ottobre 1949, n. 808, e nell'identico articolo della legge 11 gennaio 1951, n. 31, con le quali si stabilì che al personale collocato in congedo d'autorità a decorrere dal 1 gennaio 1947, che non avesse raggiunto il minimo di servizio necessario alla liquidazione della pensione, anche tenuto conto della maggiorazione di cinque anni, veniva "corrisposta una indennità una volta tanto pari a tante mensilità dell'ultimo stipendio o paga e degli altri assegni pensionabili quanti sono gli anni di servizio prestati, aumentati di cinque anni".

Ora é evidente che la differenza di trattamento normativo sopra indicato non appare ragionevolmente giustificabile ed é fonte di illegittima discriminazione giacché identica era nell'ordinamento del tempo la posizione giuridica del personale della milizia ordinaria e di quello delle milizie speciali, personale che, sebbene inquadrato in organici separati e diversamente impiegato, era tutto considerato facente parte delle forze armate dello Stato; identico era inoltre il loro vincolo con il cessato regime e che rappresentò il motivo del comune provvedimento dello scioglimento delle milizie dopo gli avvenimenti politico-militari della seconda guerra mondiale (r.d.l. 6 dicembre 1943, n. 16/P); assolutamente simile, infine, la situazione di disagio in cui detto personale venne a trovarsi per effetto dei provvedimenti di collocamento in congedo d'autorità.

La perfetta identità delle situazioni poste a raffronto postula l'esigenza dell'uniformità del loro trattamento normativo e va pertanto dichiarata l'incostituzionalità della norma denunciata nella parte in cui non estende al personale già appartenente alla milizia ordinaria e sue specialità, anche agli effetti della liquidazione dell'indennità una tantum, il beneficio della maggiorazione di cinque anni di servizio utile concesso, invece, al personale delle disciolte milizie nazionali della strada e portuaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma secondo, della legge 20 marzo 1954, n. 72, sul "trattamento di quiescenza degli appartenenti alla disciolta milizia volontaria per la sicurezza nazionale e sue specialità", limitatamente alla parte in cui non estende, anche agli effetti della liquidazione dell'indennità una tantum, l'aumento di cinque anni di servizio utile (in aggiunta ai servizi effettivamente prestati) per coloro che non raggiungano il periodo minimo necessario per acquistare il diritto a pensione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 21 maggio 1975.