SENTENZA N. 100
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 15 dicembre 1972, n. 773 (che ha sostituito l'art. 304 del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1973 dal pretore di Tione nel procedimento penale a carico di Crea Giuseppa, iscritta al n. 389 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 del 14 novembre 1973.
Udito nella camera di consiglio del 6 marzo 1975 il Giudice relatore Nicola Reale.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 4 luglio 1973 nel corso di procedimento penale a carico di Crea Giuseppa (imputata del reato di cui all'art. 570 cod. pen. per essersi sottratta agli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge, abbandonando il domicilio domestico) il pretore di Tione ha sollevato - in riferimento all'art. 24 Cost. - questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 15 dicembre 1972, n. 773, che ha sostituito il precedente testo dell'art. 304 c.p.p., nella parte in cui prescrive che la comunicazione giudiziaria sia effettuata per posta in piego chiuso e raccomandato con ricevuta di ritorno, consentendo la notifica nei modi ordinari ad opera dell'ufficiale giudiziario solo nell'ipotesi in cui l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario.
2. - L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata ma non vi é stata costituzione di parte né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Il giudice a quo, premesso che nella fattispecie la copia della comunicazione giudiziaria era stata consegnata in via di notifica all'imputata, persona offesa dal reato nel procedimento penale in questione ed osservato che, in base alle norme (art. 37 cpv. del r.d. 18 aprile 1940, n. 689, e art. 1 e seguenti del r.d. 21 ottobre 1923, n. 2393) che disciplinano la notificazione degli atti giudiziari per mezzo del servizio postale, la notifica così eseguita sarebbe da considerarsi valida in quanto esse non vietano, a differenza dell'art. 169 c.p.p., che la notifica di atti diretti all'imputato sia eseguita mediante consegna alla persona offesa dal reato, ha ravvisato nella norma dell'art. 3 della legge 15 dicembre 1972, n. 773, che ha sostituito il precedente testo dell'art. 304 c.p.p., una violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.
Ciò in quanto essa consentirebbe che la notifica della comunicazione giudiziaria sia effettuata per mezzo dell'ufficiale giudiziario solo nel caso in cui l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario.
La questione non é fondata.
2. - L'invio per posta in piego chiuso della comunicazione giudiziaria risponde all'esigenza di assicurare la maggiore riservatezza possibile a favore del destinatario della comunicazione stessa, come si ricava dai lavori preparatori della legge n. 773 del 1972 e dalla stessa formulazione della norma, che dispone espressamente che la predetta comunicazione sia recapitata, appunto, in piego chiuso e raccomandato. Si é voluto così ovviare agli inconvenienti manifestatisi sotto il vigore della precedente disciplina che, prevedendo per tali notificazioni i modi ordinari, aveva in pratica determinato la trasformazione dell'istituto da strumento di difesa dell'indiziato in mezzo che poteva pregiudicare la sua sfera di riservatezza ed intaccare la sua onorabilità.
Né si comprende come la norma impugnata possa dar luogo alle censure formulate nell'ordinanza di rimessione. Invero, l'asserita inapplicabilità del divieto stabilito nel quarto comma dell'art. 169 c.p.p. alle notificazioni effettuate per mezzo del servizio postale é tutt'altro che sicura in quanto, come non si é mancato di rilevare, il predetto divieto (che trova la sua ragion di essere nella considerazione che la persona offesa dal reato potrebbe, per svariate ragioni connesse al suo interesse nel processo, non far pervenire la copia al destinatario) non può modificarsi o addirittura venir meno a seconda che, in riferimento al medesimo processo, si segua l'uno o l'altro dei vari tipi di notificazione. Onde potrebbe non infondatamente opinarsi che la notificazione di un atto diretto all'imputato, effettuata mediante consegna di una copia dell'atto alla persona offesa dal reato, sia in ogni caso nulla.
Si può, comunque, osservare che, anche quando la notifica debba eseguirsi per mezzo del servizio postale, vi é la possibilità di evitare che la copia dell'atto diretta all'indiziato sia ricevuta dalla parte offesa. E ciò avvalendosi di un'apposita norma del regolamento postale, o sin dall'inizio, ove si profili un'eventualità del genere, o successivamente alla notifica irregolarmente eseguita, disponendosene una seconda in via di rinnovazione ex art. 189 del codice di procedura penale.
Trattasi dell'art. 37, comma secondo, del r.d. 18 aprile 1940, n. 689, contenente il regolamento di esecuzione del codice postale (il quale resta in vigore non ostante l'emanazione del nuovo testo unico in materia postale approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, fino alla emanazione del nuovo regolamento, ai sensi dell'art. 2 del predetto d.P.R.) che consente che sui plichi raccomandati sia aggiunta in riferimento al destinatario, la dicitura "a lui solo" o altra equivalente, espressamente prevedendo che, in tal caso, i plichi non possano essere consegnati ad altri che a lui medesimo.
Il denunziato contrasto con l'art. 24 della Costituzione é quindi insussistente, mentre sarebbe proprio il ricorso generalizzato alla notificazione nei modi ordinari per l'atto in questione che, come già l'esperienza ha dimostrato, potrebbe comportare una inammissibile violazione della sfera di riservatezza personale dell'indiziato, la quale non é priva, a sua volta, di rilievo costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 15 dicembre 1972, n. 773 (che ha sostituito il testo dell'art. 304 del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, dal pretore di Tione con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 29 aprile 1975.