SENTENZA N. 82
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 622, ultimo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 giugno 1974 dal tribunale di Brindisi sull'incidente di esecuzione proposto da Grimaldi Alberto, iscritta al n. 432 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 289 del 6 novembre 1974.
Visto l'atto di costituzione di Grimaldi Alberto;
udito nell'udienza pubblica del 22 gennaio 1975 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;
uditi gli avvocati Aldo Sandulli ed Elio Fazzalari, per il Grimaldi.
Ritenuto in fatto
Con decreto del 22 marzo 1972 il procuratore della Repubblica di Firenze ordinava il sequestro in tutto il territorio nazionale del film "Nanà 70" ravvisando in esso un contenuto osceno. Con sentenza del 12 febbraio 1974 il tribunale di Brindisi, escluso il carattere di oscenità del film, assolveva Grimaldi Alberto, rappresentante legale della s.p.a. PEA distributrice in Italia della suddetta pellicola dall'imputazione di cui all'art. 528 del codice penale, perché il fatto non costituisce reato, ordinando nel contempo il dissequestro e la restituzione del film. Avverso tale sentenza proponeva appello il p.m. ed il film non veniva restituito all'avente diritto avendo il tribunale ritenuto che, ai sensi degli artt. 622, ultimo comma, del codice di procedura penale e 240, comma secondo, n. 2, del codice penale, non possa disporsi la restituzione, prima della sentenza definitiva di proscioglimento, di cose sequestrate delle quali va ordinata la confisca in caso di condanna.
Il Grimaldi perciò con istanza del 6 aprile 1974 sollevava incidente di esecuzione insistendo nella propria richiesta ed eccependo, tra l'altro, l'incostituzionalità dell'art. 622, ultimo comma, del codice di procedura penale, per contrasto con gli artt. 21, 27 e 33 della Costituzione.
L'eccezione é stata accolta dal tribunale di Brindisi che con ordinanza 10 giugno 1974 ha in primo luogo osservato che la libera circolazione di un'opera del pensiero può essere ritardata solo per il tempo indispensabile ad assicurare in via preventiva sufficienti garanzie alla tutela del buon costume (art. 21 Cost.) e deve conseguentemente ritenersi contrario al precetto costituzionale qualunque ritardo alla libera circolazione dell'opera che si verifica dopo la pronuncia di una sentenza che, sia pure in via non definitiva, accerta l'inesistenza di un contrasto tra l'opera suddetta ed il buon costume.
Il mantenimento del sequestro di un'opera del pensiero anche dopo una sentenza non definitiva di proscioglimento equivale ad una pronunzia di colpevolezza a carico dell'imputato che si pone in contrasto col disposto dell'art. 27, comma secondo, della Costituzione.
La norma denunziata, comporterebbe, infine, la violazione dell'art. 33, comma primo, della Costituzione in tutti quei casi in cui si é in presenza di un'opera cinematografica alla quale l'autorità giudiziaria abbia riconosciuto, anche in modo non definitivo, valore artistico o scientifico.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito il Grimaldi Alberto rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Sandulli e Elio Fazzalari, i quali, nelle deduzioni depositate in cancelleria il 24 luglio 1974 ed in una successiva memoria del 4 gennaio 1975, sostengono la fondatezza della proposta questione e chiedono che la Corte voglia dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma impugnata.
Sostiene la difesa del Grimaldi che il film, quale opera dell'ingegno, gode di una particolare tutela costituzionale privilegiata (artt. 2, 21 e 33 Cost.) e non può essere annoverato tra le cose che possono formare oggetto di confisca obbligatoria. L'opera dell'ingegno é, come il suo autore, immune da mende fino a quando non ne sia accertata l'oscenità con sentenza passata in giudicato.
Il film, quale opera di pensiero, può essere tenuto sotto sequestro soltanto nella misura in cui serve strettamente all'esigenza del processo a norma dell'art. 337 del codice di procedura penale.
Il sequestro di tutti gli esemplari sarebbe quindi un modo abnorme e illecito di punire l'opera e l'autore prima di averli condannati.
In conclusione, secondo la difesa, l'opera dell'ingegno può divenire oggetto di misura repressiva soltanto se ed in quanto - dopo una sentenza definitiva di condanna del suo autore - sia riconosciuta "corpo di reato del quale debba essere disposta la confisca".
L'interpretazione data dalla giurisprudenza al combinato disposto degli artt. 622 c.p.p. e 240, n. 2, c.p. sarebbe altresì in contrasto con l'art. 27 Cost. che enuncia il principio della non colpevolezza dell'imputato sino alla condanna definitiva.
I motivi d'incostituzionalità anzi svolti sono ancor più appariscenti nel caso in esame in cui il film sottoposto a sequestro é già stato ritenuto non osceno con sentenza di proscioglimento in primo grado.
Caduto pertanto il sospetto di oscenità formulato dal p.m. ogni ulteriore ostacolo alla libera diffusione del film si risolverebbe nella violazione dell'art. 21 della Costituzione.
L'affermazione che, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., il sequestro debba essere mantenuto in quanto, a seguito dell'impugnazione del p.m., la sentenza di proscioglimento potrebbe essere riformata conduce infatti ad una conclusione - inaccettabile sul piano costituzionale - di lasciare prevalere, ai fini della circolazione dell'opera del pensiero, il sospetto (tradotto in accusa) del p.m. sul giudizio (sia pure non definitivo) di un giudice.
Conclude pertanto la difesa chiedendo che la Corte voglia dichiarare l'incostituzionalità delle norme impugnate quanto meno nella parte in cui legittimino il mantenimento del sequestro di un film perfino dopo una sentenza non definitiva di proscioglimento.
Considerato in diritto
1. - Il problema posto alla Corte dal tribunale di Brindisi é se il sequestro di tutte le copie di un film sull'intero territorio nazionale, che il pubblico ministero suole ordinare quando promuove procedimento penale per spettacolo osceno ai sensi dell'art. 528 del codice penale, debba o non restare operante anche dopo una sentenza di primo grado che abbia escluso il carattere di oscenità dell'opera filmistica. La norma su cui si appuntano le censure di incostituzionalità, in riferimento agli artt. 21, 27 e 33 Cost., é quella contenuta nell'art. 622, ultimo comma, del codice di procedura penale, la quale, secondo l'interpretazione ormai consolidata datane dalla giurisprudenza, é intesa nel senso che non possa procedersi alla restituzione di un film sequestrato prima della sentenza definitiva di proscioglimento, dovendo il film considerarsi cosa di cui va ordinata la confisca (ex art. 240, comma secondo, n. 2, cod. pen.) allorché successivamente intervenga sentenza di condanna.
Sulla base di siffatta interpretazione della norma impugnata la Corte é pertanto chiamata ad esprimere il proprio giudizio di legittimità costituzionale anzitutto in riferimento alle disposizioni contenute nell'art. 21 Cost., le quali proclamano il fondamentale diritto di tutti a manifestare liberamente il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione - tra i quali rientra innegabilmente anche l'opera cinematografica - e nel contempo enunciano anche espressamente il divieto di spettacoli contrari al buon costume, demandando alla legge il compito di stabilire provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le violazioni.
2. - É noto che la proiezione dei film non é libera. Un controllo preventivo alla loro diffusione é infatti previsto dalla legge 21 aprile 1962, n. 161: questa subordina la circolazione dell'opera cinematografica ad un nulla osta amministrativo rilasciato dal Ministro competente previo parere di apposite commissioni, presiedute da magistrati, che hanno appunto il compito di visionare il film.
La stessa legge contempla poi la possibilità di sequestro sia del film che non é stato sottoposto alla prescritta revisione, sia di quello a cui il nulla osta é stato negato.
Sul piano della tutela penale e sempre nell'interesse del bene collettivo del buon costume un ulteriore mezzo di prevenzione é costituito dal sequestro del film che il pubblico ministero può disporre ex art. 337 cod. proc. pen. sulla base di un semplice sospetto di oscenità dell'opera. Sebbene non previsto da alcuna specifica disposizione di legge questo sequestro, secondo una prassi ormai in atto, coinvolge tutte le copie del film che sono in proiezione sul territorio nazionale. L'estensione di efficacia di siffatta misura si suole giustificare non già in relazione ad esigenze probatorie processuali - per le quali sarebbe sufficiente il sequestro di una o più copie soltanto della pellicola - bensì per esigenze cautelari, volte ad impedire che con la potenzialità offensiva di numerose copie della pellicola contemporaneamente proiettate in luoghi diversi vengono a perpetrarsi più violazioni del medesimo precetto penale.
ora é di tutta evidenza che se il diritto di manifestare e divulgare il proprio pensiero mediante la proiezione di un film può essere in via preventiva e provvisoria compresso mediante l'indicata misura per la tutela del buon costume fin tanto che il giudice non abbia dissipato il sospetto di oscenità prospettato dal p.m., nessun motivo sussiste per tener fermi gli effetti limitativi di tale mezzo di cautela quando sia in prosieguo intervenuto l'accertamento giudiziale che esclude l'oscenità dell'opera.
Il sequestro, infatti, quale strumento di prevenzione diretto a tutelare il buon costume, può trovare fondamento costituzionale nell'art. 21, u.c., Cost. quando venga disposto prima di una sentenza di proscioglimento oppure quando sia tenuto fermo in caso di sentenza di condanna, ma non ha più ragione d'essere e va quindi revocato se la decisione emessa dal giudice, sebbene gravata d'appello, abbia accertato l'assenza di antigiuridicità nella condotta dell'imputato e la non oscenità del bene sequestrato. In presenza di una decisione del genere cade il fumus boni iuris dell'accusa; viene meno l'esigenza di tutela del buon costume e, cessati i presupposti che giustificarono l'adozione della misura cautelare, sorge l'obbligo di restituire tutte le copie del film sequestrato - salvo naturalmente quelle necessarie per finalità processuali degli ulteriori gradi di giudizio - non essendo più giustificabile il ritardo della concreta attuazione del diritto di manifestazione del pensiero che la Costituzione annovera tra i fondamentali diritti dei cittadini in quanto costituisce uno dei cardini del nostro sistema democratico.
Conservare lo stato di sequestro anche dopo la sentenza di proscioglimento in relazione alla possibilità di una riforma di detta sentenza e di definitiva condanna del film con conseguente applicazione della misura di sicurezza della confisca, significa attribuire alla semplice impugnazione del rappresentante dell'accusa una forza superiore alla valutazione di non oscenità dell'opera espressa dal giudice; significa altresì snaturare la funzione del sequestro trasformandolo da misura preventiva cautelare in strumento di provvisoria esecuzione dell'eventuale futuro provvedimento di confisca.
Conseguenze queste che non sono accettabili sia sul piano logico che giuridico in quanto il film, quale opera del pensiero, non può essere annoverato tra le cose di cui debba, in ogni caso, essere ordinata la confisca a norma dell'art. 240, n. 2, cod. pen. (cose delle quali "la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o alienazione costituisce reato"), non avendo in sé quel connaturale carattere di illiceità che la norma richiede per l'obbligatoria adozione di tale misura. L'illiceità di un film non può basarsi sul mero sospetto di oscenità da parte del p.m. ma va accertata con una definitiva sentenza di condanna, per effetto della quale soltanto può essere adottata e posta in esecuzione la confisca del film.
Alla stregua delle considerazioni anzi svolte deve pertanto ritenersi in contrasto con l'art. 21 Cost. la norma impugnata nella parte in cui, secondo l'interpretazione vivente, essa impedisce la restituzione di un film sequestrato agli aventi diritto nel caso in cui con sentenza non definitiva, perché impugnata dal p.m., sia stata dai giudici esclusa l'oscenità dell'opera. Pronuncia questa che dispensa la Corte dalla disamina degli ulteriori profili d'incostituzionalità prospettati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 622, ultimo comma, del codice di procedura penale, limitatamente alla parte in cui - in ipotesi di sentenza di proscioglimento per mancanza di oscenità, impugnata dal pubblico ministero - non impone la restituzione del film sequestrato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale Palazzo della Consulta, il 21 marzo 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 27 marzo 1975.