Sentenza n. 26 del 1975
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SENTENZA N. 26

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

ha pronunciato la seguente,

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 131 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Testo unico delle leggi sulle imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 10 dicembre 1973 dal tribunale di Oristano nel procedimento penale a carico di Mele Salvatore e Podda Gina, iscritta al n. 75 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 82 del 27 marzo 1974.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 febbraio 1975 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel procedimento penale a carico di Salvatore Mele e della di lui moglie Gina Podda imputati del reato di cui agli artt. 17 e 243 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (che approva il testo unico delle leggi sulle imposte dirette), per avere omesso di presentare all'amministrazione finanziaria le rispettive denuncie dei redditi prodotti nel 1968, il tribunale di Oristano, con ordinanza del 10 dicembre 1973, ha sollevato, in riferimento all'art. 29 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 131 del testo unico "nella parte in cui fa obbligo al marito di denunciare i redditi prodotti dalla moglie non legalmente separata".

Considerata rilevante la questione perché a sensi dell'articolo 131 l'imputata Podda avrebbe dovuto essere assolta e però di tale norma sarebbe dubbia la costituzionalità, il giudice a quo, circa la ricorrenza della non manifesta infondatezza, ha osservato: che solo il marito é personalmente gravato dall'obbligo della moglie, e su questa può al massimo incombere, secondo un'interpretazione per altro opinabile, dell'art. 207, lett. c, dello stesso testo unico, una mera rispondenza patrimoniale in caso di esecuzione; che solo sul marito ed al limite anche sul marito che sia privo di redditi personali, grava l'obbligo di denunciare con la dichiarazione unica i redditi della moglie; che solo il marito resta esposto alle sanzioni penali per il caso di omissione di detta denuncia, e tali sanzioni per effetto del cumulo non solo variano per quantità (stante l'evidente influenza, ai sensi dell'art. 133 c.p., dell'entità del reddito non dichiarato ai fini della determinazione della pena), ma anche per specie (come accade quando in ragione del cumulo e solo per effetto di esso il marito superi il reddito di sei milioni dichiarando, di guisa che, omettendone la denuncia unica, resta esposto oltre che all'ammenda, alla congiunta pena dell'arresto); che il marito, qualora non denunci il provento di una attività lavorativa della moglie, che la stessa gli abbia nascosto, e sia chiamato a rispondere penalmente dell'omessa dichiarazione di tale reddito, difficilmente può ottenere una formula assolutoria perché il fatto non costituisce reato, dal momento che dalla intimità permanente di vita e di interessi che si presume egli abbia con il coniuge sorgerà nel giudice la certezza che egli fosse al corrente della attività della moglie.

Ciò posto, il tribunale di Oristano ha ricordato che il legislatore, introducendo con l'art. 2 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3062, il criterio del cumulo tra i redditi del marito e quelli della moglie non legalmente separata, partì dalla considerazione che é la famiglia la vera unità economica che riceve redditi e ne gode, ma che, occorrendo per i redditi afferenti ad un tale soggetto impersonale individuare una persona fisica che si atteggiasse quale centro delle responsabilità fiscali insorgenti, ritenne che fosse opportuno economicamente e giuridicamente fare carico delle relative imputazioni al capofamiglia; ed ha quindi osservato che "la polarizzazione dell'onere fiscale sulla persona del marito capofamiglia origina... da esigenze estranee all'istituto della famiglia, nel senso cioé che essa certamente non fu dalla legge finalizzata a garantire l'unità familiare".

Il giudice a quo ha precisato, inoltre, che la circostanza che il marito debba pagare in proprio le imposte originanti dai redditi prodotti dalla moglie e, una volta che le abbia pagate possa agire in via di regresso contro di lei, ponga in essere elementi di potenziale compromissione dell'unità familiare che non si rafforza con l'insorgere di controversie economiche tra i suoi componenti.

Ed ha concluso nel senso sopra ricordato.

Comunicata, notificata e pubblicata l'ordinanza, davanti a questa Corte non si é costituita alcuna delle parti.

Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri che, rappresentato dall'Avvocato generale dello Stato, ha chiesto a questa Corte di voler dichiarare la non fondatezza della questione.

Precisato, anzitutto, che il legislatore del 1958 ha voluto colpire con l'imposta complementare i redditi afferenti al nucleo familiare, la difesa dello Stato ha precisato che logicamente il marito é configurato come centro di riferimento principale agli effetti tributari, non diversamente da quel che era previsto nell'ambito dell'imposta di ricchezza mobile (essendo stabilito che spetta al lavoratore, quale capo di famiglia numerosa, di far valere le ragioni di esenzione dal tributo, che gli competano) e non diversamente da quel che é dettato per l'imposta sul reddito delle persone fisiche (art. 4 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597).

Tale situazione tributaria del marito si armonizza con la posizione giuridica che l'istituto della famiglia riserva al marito (art. 144 c.c.), e con la funzione sociale (anche se pubblica) della famiglia (che a codesto fine ha il dovere di adeguare la sua attività e la sua organizzazione interna), e soprattutto é giustificata dall'esigenza che in concreto sia assicurato il soddisfacimento dell'obbligazione tributaria.

Anche ammesso che il trattamento giuridico del marito nei confronti della moglie sia differenziato, pur dovendosi riconoscere che la disciplina di cui all'art. 131 é estranea ad ogni finalità di tutela dell'unità familiare, la situazione del marito non può essere considerata come una situazione di pregiudizio dei suoi interessi rispetto a quelli del coniuge, atteso che detto pregiudizio - come si é detto - non appare rilevante in quanto lo si colleghi all'esigenza che l'obbligazione tributaria venga concretamente soddisfatta.

L'art. 29 della Costituzione, poi, ha voluto vincolare il legislatore ordinario a conservare l'assetto familiare, qual é apprezzato tradizionalmente dalla coscienza comune del nostro popolo, cioé come ordinamento giuridico originario.

Il principio, ivi affermato, dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi deriva dall'altro postulato della parità sociale di cui all'art. 3: e non pare che la dignità sociale di uno dei coniugi sia colpita dall'accertamento di talune responsabilità, in campo tributario, in capo ad uno solo di essi (il marito), a carico del quale l'ordinamento giuridico stabilisce anche una serie di doveri di natura morale e materiale nei confronti della moglie e dei figli (artt. 145 e 147 c.c.): il marito é in effetti configurato come organo su cui poter unitariamente concentrare le obiettive esigenze organizzative, di governo e di indirizzo della gestione patrimoniale della famiglia. Né da tale situazione giuridica esce sminuita la figura della moglie, sia sotto il profilo materiale che sotto quello etico.

Non può, quindi, dirsi che l'art. 131 sia lesivo dell'unità familiare.

Né può ritenersi che lo sia quando la moglie taccia al marito proventi di proprie attività autonome che gli abbia nascoste: in tale caso il rapporto matrimoniale deve ritenersi di per sé minato in precedenza e comunque il fatto dell'occultamento dei redditi da parte della moglie non determina necessariamente una vera rottura con l'altro coniuge.

Anzi l'unità familiare, dalla disciplina dell'art. 131, esce rafforzata, riconoscendo tale normativa nel marito il punto di riferimento costante anche se non esclusivo per l'imputazione tributaria: sono, infatti, realizzati dei limiti (sul piano delle responsabilità patrimoniali) rivolti proprio a tutelare l'unità familiare.

Ha concluso, infine, l'Avvocatura dello Stato osservando che non é infrequente nella materia tributaria che soggetti diversi dal titolare del reddito - responsabile patrimonialmente - siano sottoposti ad obblighi e sanzioni, in quanto si trovino in una particolare relazione con il reddituario e con il soggetto nel cui interesse é compiuto il singolo atto economico.

All'udienza del 5 febbraio 1975 il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni ha insistito nelle precedenti ragioni e richieste, precisando che nel presente giudizio non si discute circa la legittimità costituzionale del cumulo dei redditi del marito e della moglie ai fini della determinazione dell'imposta complementare, sibbene e solamente sull'art. 131 del t.u. in relazione al precedente art. 17, nella parte in cui prevede l'obbligo della dichiarazione unica a carico del marito e non anche della moglie; e che, quindi, una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma denunciata non inciderebbe sul principio del cumulo.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe il tribunale di Oristano solleva, in riferimento all'art. 29 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 131 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (che approva il testo unico delle leggi sulle imposte dirette) "nella parte in cui fa obbligo al marito di denunciare i redditi propri della moglie non legalmente separata".

2. - Per intendere quali siano i termini della questione, occorre rifarsi brevemente ai fatti di causa che sono stati in precedenza esposti o che risultano dagli atti e che qui vengono richiamati ed integrati.

Nei confronti di due coniugi che avevano omesso di presentare le dichiarazioni dei redditi al 31 marzo 1969, nelle quali, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, avrebbero dovuto dichiarare i redditi conseguiti nell'anno 1968 da un negozio di generi alimentari, la cui attività avevano esercitato quali soci di fatto, é stata accertata, con separati verbali trasmessi alla Procura della Repubblica di Oristano, la violazione del disposto dell'art. 17 del detto testo unico.

Tratti a giudizio del tribunale di Oristano i due coniugi, quali imputati del reato di cui agli artt. 17 e 243 del ripetuto testo unico, i procedimenti sono stati riuniti per connessione oggettiva. Dopodiché, al dibattimento, il tribunale, mentre ha implicitamente dato atto che il marito aveva provveduto all'oblazione, ha espressamente rilevato che la moglie non aveva fatto altrettanto.

Di fronte al quesito se questo coniuge fosse responsabile relativamente al reato ascrittogli, il tribunale ha ritenuto che allo stato della legislazione, per il disposto dell'art. 131 del t.u. secondo il quale i redditi della moglie avrebbero dovuto essere dichiarati dal marito, si sarebbe dovuto pronunciare per l'assoluzione dell'imputata.

Senonché, ai fini della emittenda sentenza, é apparsa rilevante la preventiva decisione della questione di legittimità costituzionale della norma da ultimo ricordata in parte qua.

3. - Il tribunale di Oristano ha rivolto la propria attenzione sopra un punto della materia tributaria di indubbio interesse, sul cumulo cioé dei redditi della moglie, che non sia legalmente ed effettivamente separata, con quelli del marito, mettendo in evidenza, a proposito di tale fenomeno, solo le conseguenze ed implicazioni che dalla sua verificazione si sarebbero potute avere, in tema di imposta complementare progressiva sul reddito, in ordine all'individuazione del soggetto passivo dell'imposta ed alle conseguenti sue responsabilità.

Ciò ha fatto, ponendo in rilievo dati e profili integranti una disparità di trattamento del marito nei confronti della moglie ed assumendo come parametro, per la valutazione della legittimità costituzionale della norma denunciata, l'art. 29 della Costituzione secondo cui "il matrimonio é ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".

La questione perciò si presenta ben individuabile e circoscritta nella sua portata.

Si riferisce direttamente alla normativa vigente al tempo in cui l'imputata avrebbe commesso il reato ascrittole e cioé alla disciplina legislativa portata dal testo unico delle leggi sulle imposte dirette e segnatamente a quella concernente - come si é accennato - l'imposta complementare progressiva sul reddito delle persone fisiche (e non anche alle disposizioni risultanti dalla legge 9 ottobre 1971, n. 825, di delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria, e dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, sulla istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche); ha per oggetto la risposta al quesito se sia costituzionalmente illegittimo che il marito debba denunciare, con la dichiarazione unica annuale, anche i redditi della moglie che non sia legalmente separata; ed é posta in riferimento all'art. 29 della Costituzione esclusivamente sotto il profilo indicato e non già sotto quello delle conseguenze del cumulo in relazione alla concreta determinazione quantitativa dell'imposta. E tale questione non tocca lo stesso art. 29 sotto altri aspetti e, neppure implicitamente o indirettamente, altre disposizioni, quali l'art. 3, che é espressione dell'esigenza di tutela e garanzia dell'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, l'art. 31 per il quale "la Repubblica agevola con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi", e l'art. 53, secondo cui "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva" e, "il sistema tributario é conformato a criteri di progressività", disposizioni codeste, ed in special modo l'ultima, a cui, a proposito della normativa abrogata ed ancor di più - stante l'accentuata progressività dell'imposta sul reddito delle persone fisiche - a quella oggi vigente, in ipotesi si sarebbe potuto ricollegare il dubbio di costituzionalità odiernamente sottoposto a questa Corte.

4. - I riferimenti sopra effettuati ai fatti della causa, complessivamente valutati, non consentono che la Corte possa esaminare nel merito la questione. Vari e concorrenti sono infatti i profili e gli elementi che inducono a doverla ritenere inammissibile.

C'é, anzitutto da rilevare, siccome risulta dalla stessa ordinanza, la non rigorosa identità tra l'oggetto della denuncia e della contestazione ed il fatto-reato per cui in concreto il tribunale si é domandato se l'imputata fosse o meno colpevole, e sostanzialmente l'esistenza di evidenti perplessità sulla ipotesi di illecito penale a cui riportare il comportamento dell'imputata stessa.

D'altra parte non dovrebbe essere trascurata la circostanza che sia pure in relazione all'oggetto della denuncia e della contestazione non sarebbe mancata - così come emerge immediatamente dagli atti - l'oblazione da parte dell'imputata.

E infine, e conclusivamente, non può non rilevare la circostanza che, tenuto conto dei sopra precisati termini della questione, ove di questa dovesse essere accertata la fondatezza, una dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 131 del t.u. sul punto in cui, in relazione al precedente art. 17, fa obbligo al marito di denunciare con la dichiarazione unica i redditi della moglie non legalmente ed effettivamente separata, non gioverebbe ai fini della decisione della causa all'esame del tribunale di Oristano per ciò che dall'accoglimento della questione non deriverebbe, come erroneamente ritiene il giudice a quo, una responsabilità penale della moglie per avere omesso la denuncia in un tempo nel quale a tale adempimento per legge essa non era tenuta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 131 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette) sollevata, in riferimento all'art. 29 della Costituzione, dal tribunale di Oristano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI -  Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE -  Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO

 

Depositata in cancelleria il 6 febbraio 1975.