Sentenza n. 276 del 1974
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SENTENZA N. 276

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 24, 98, 99, 100, 101, 103 e seguenti del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), promossi con ordinanze emesse il 18 marzo, il 6 maggio e il 6 luglio 1972 dal tribunale di Roma in sei procedimenti civili vertenti tra l'Esattoria comunale delle imposte dirette di Randazzo, Gasperoni Alberto, l'Esattoria delle imposte dirette di Ortona, Monteduro Nicola, Castellano Giovanni, la società Costruzioni Cassia contro Ghella Giovanni ed altri, iscritte al n. 376 del registro ordinanze 1972 e ai nn. 102, 103, 152, 153 e 154 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3 del 3 gennaio 1973, n. 126 del 16 maggio 1973 e n. 169 del 4 luglio 1973.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Castellano Giovanni;

udito nell'udienza pubblica del 6 novembre 1974 il Giudice relatore Guido Astuti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento relativo al fallimento di Giovanni Ghella, l'Esattoria comunale delle imposte dirette di Randazzo proponeva istanza tardiva per la ammissione di un proprio credito. Chiusosi il fallimento con sentenza omologativa del concordato, in forza del quale Domenico Ghella e la soc. Salpe divenivano garanti ed assuntori del concordato stesso, il procedimento relativo alla insinuazione tardiva era dichiarato interrotto. Riassunto dall'Esattoria, con istanza al giudice delegato, il procedimento per l'insinuazione tardiva, il tribunale di Roma, accogliendo le eccezioni proposte da Giovanni e Domenico Ghella, costituitisi in giudizio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 24, 98 e seguenti, 101 e 103 e seguenti del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione.

Identiche questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dallo stesso tribunale di Roma in altri cinque procedimenti civili, tutti dipendenti dal fallimento di Giovanni Ghella, e vertenti tra quest'ultimo e Alberto Gasperoni, Nicola Monteduro, Giovanni Castellano, la società Costruzioni Cassia e l'Esattoria delle imposte dirette di Ortona.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le sei ordinanze elencate in epigrafe, di identico contenuto, il tribunale civile di Roma - sezione fallimentare, ha sollevato, accogliendo istanze di parte, la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, degli artt. 24, 98 e seguenti, 101, 103 e seguenti del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, ecc.), "nella parte in cui consentono la riassunzione davanti al giudice fallimentare dei procedimenti di opposizione allo stato passivo, di insinuazione tardiva di crediti, e delle domande di rivendica, restituzione e separazione di cose mobili, interrotti a seguito dell'omologazione del concordato, e regolano il successivo svolgimento dei giudizi così riassunti".

I giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Le ordinanze di rimessione impugnano, per il tramite delle norme denunciate, il diritto vivente, ossia il "sistema giurisprudenziale" formatosi, nel difetto di espresse disposizioni della vigente legge fallimentare, circa la disciplina dei giudizi derivanti dal fallimento, interrotti per effetto della chiusura dello stesso, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato. In base a tale sistema, la giurisprudenza riconosce tanto al creditore che aveva promosso il giudizio, quanto al debitore ritornato in bonis, ed all'assuntore o garante del concordato, la facoltà di riassumere il processo interrotto, ovvero, scaduto il termine di legge per la riassunzione, di iniziare un nuovo procedimento, sempre davanti al tribunale fallimentare. Nel primo caso continua ad applicarsi il rito speciale, nel secondo invece si ritiene che debba seguirsi il rito ordinario.

Le ordinanze prospettano la incostituzionalità di questo sistema, sotto un triplice profilo. Esso contrasterebbe con l'art. 24 della Costituzione, per la limitazione del diritto di difesa conseguente alla "ultrattività del sistema speciale fallimentare pur dopo la chiusura della procedura concorsuale"; con l'art. 25, per la sottrazione dei processi al giudice naturale, causa la persistente competenza del tribunale fallimentare; con l'art. 3, per la disparità di trattamento che deriverebbe dall'essere rimessa alla libera scelta di una delle parti private interessate l'alternativa tra la prosecuzione del giudizio col rito speciale, e l'instaurazione di un nuovo giudizio col rito ordinario.

3. - La questione non é fondata. Il sistema di diritto vivente, elaborato dalla giurisprudenza, corrisponde ai criteri cui si informa la disciplina della materia fallimentare, e non contrasta con principi o precetti costituzionali.

La chiusura del fallimento, per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato, determina bensì l'interruzione dei giudizi pendenti di opposizione allo stato passivo, di ammissione tardiva di crediti, di rivendicazione, restituzione o separazione di cose mobili: ma i creditori ed i terzi riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore restituito in bonis, nonché verso gli eventuali assuntori o garanti del concordato (cfr. art. 120, secondo comma, della legge fallimentare). Ne consegue necessariamente la facoltà di riassumere i processi interrotti, nel termine perentorio di legge, nei confronti del debitore come di coloro che abbiano assunto o garantito gli obblighi del concordato; e ne consegue altresì, quando siasi verificata la estinzione del processo per mancata riassunzione entro il termine, la possibilità di promuovere un nuovo giudizio, dal momento che la perenzione dell'istanza e del processo non comporta prescrizione o estinzione del diritto di azione. Poiché trattasi di azioni dipendenti dal fallimento, appare non contestabile, anche dopo il concordato, la competenza del tribunale fallimentare, sancita dall'art. 24 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267; ed é coerente ai principi che riassumendosi il giudizio interrotto questo debba continuare con il medesimo rito, mentre instaurando un nuovo giudizio dovrà invece applicarsi il rito ordinario.

4. - Il riconoscimento della permanente competenza funzionale del tribunale fallimentare non integra contrasto con il principio sancito dall'art. 25 della Costituzione, giacché per le azioni di cui qui si discorre detto tribunale é il giudice precostituito in via generale dalla legge, e ciò, in conformità di consolidata giurisprudenza, é sufficiente per escludere la violazione della norma costituzionale. Va peraltro aggiunto che le azioni in questione conservano natura fallimentare anche dopo l'omologazione del concordato e la chiusura del fallimento, data la connessione del concordato e della sua esecuzione con la procedura concorsuale sottostante; né si può ravvisare sottrazione al giudice naturale nemmeno per quanto concerne gli eventuali assuntori o garanti del concordato, in correlazione con gli obblighi ad essi incombenti per l'esecuzione del concordato stesso nei confronti di tutti i creditori.

Questa Corte ha già avuto occasione di dichiarare più volte che il precetto costituzionale circa il diritto alla tutela giudiziaria non impone che questa debba essere sempre accordata nella stessa misura e con le stesse modalità di procedimento; e che, in particolare, la normativa speciale prevista dalla legge per i giudizi di competenza del tribunale fallimentare ha una logica giustificazione in rapporto alle esigenze e finalità della procedura concorsuale, - perduranti anche in ordine all'esecuzione del concordato - , e non comporta, di regola, una sostanziale menomazione della tutela giurisdizionale, configurabile come violazione della garanzia fornita dall'art. 24 della Costituzione. Ciò appare incontestabile anche rispetto ai giudizi interrotti per effetto della chiusura del fallimento: dopo l'omologazione del concordato gli organi fallimentari conservano precise funzioni e responsabilità in or dine alla esecuzione degli obblighi da esso derivanti, sia per il fallito restituito in bonis, sia anche per gli assuntori o garanti del concordato, egualmente soggetti al controllo del tribunale, cui compete di sorvegliare l'adempimento degli obblighi, con il potere di pronunziare la risoluzione o l'annullamento del concordato stesso.

Non sussiste nemmeno la prospettata violazione del principio di eguaglianza, perché la facoltà di riassumere tempestivamente una causa fallimentare interrotta a seguito della d omologazione del concordato é offerta dal vigente sistema, in regime di perfetta parità, a tutte le parti interessate, così come, verificatasi l'estinzione di quel processo, rimane a tutte la possibilità di riproporre la stessa domanda in un nuovo giudizio, e rispettivamente di proporre domanda di accertamento negativo sul medesimo oggetto. Ed é superfluo aggiungere che tale libertà di iniziativa si verifica sempre, in egual misura per ambo le parti, in ogni ipotesi di interruzione o di successiva estinzione del processo, in base alle disposizioni degli artt. 299 e seguenti del codice di procedura civile, potendo ciascuno prevenire la parte avversa con la propria iniziativa, o riparare alla sua inerzia processuale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 24, 98 e seguenti, 101, 103 e seguenti del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), "nella parte in cui consentono la riassunzione davanti al giudice fallimentare dei procedimenti di opposizione allo stato passivo, di insinuazione tardiva di crediti, e di rivendica, restituzione e separazione di cose mobili, interrotti a seguito dell'omologazione del concordato, e regolano il successivo svolgimento dei giudizi così riassunti", sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1974