SENTENZA N. 271
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 636, terzo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 16 maggio 1972 dal pretore di Sant'Angelo dei Lombardi nel procedimento penale a carico di Maiorano Saverio, iscritta al n. 263 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 13 settembre 1972.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 2 ottobre 1974 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento a carico di Maiorano Saverio, imputato del reato previsto dall'art. 636 del codice penale, che punisce l'introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e il pascolo abusivo, il pretore di Sant'Angelo dei Lombardi ha proposto, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, questione di legittimità costituzionale del citato art. 636, terzo comma, con riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Ritiene il pretore che la disposizione in esame, che punisce in maniera uniforme e indiscriminata sia l'ipotesi che il pascolo sia effettivamente avvenuto sia quella che il fondo sia stato danneggiato dalla introduzione o dall'abbandono degli animali, contrasti con il principio di eguaglianza, perché prevede il medesimo regime sanzionatorio per due ipotesi che lo stesso legislatore ha nettamente distinte nei primi due commi del art 636, in funzione della ricorrenza o meno del dolo specifico, consistente nel fine del colpevole di fare pascolare gli animali nel fondo.
L'ordinanza é stata ritualmente notificata comunicata e pubblicata.
Nel giudizio dinanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale chiede che la Corte dichiari infondata la questione di legittimità dell'art. 636, terzo comma, del codice penale.
osserva l'Avvocatura che, mentre nell'ipotesi prevista nel primo comma dell'art. 636 é sufficiente il dolo generico e cioè la volontà di introdurre e abbandonare animali in gregge o in mandria nel fondo altrui, nella fattispecie prevista dal secondo comma, é necessario il dolo specifico, consistente nel fine del colpevole di fare pascolare gli animali abusivamente introdotti o abbandonati nel fondo. Si tratta di due ipotesi di reati di pericolo, delle quali la seconda é colpita da una più grave sanzione in considerazione della maggiore gravità della fattispecie sotto il profilo soggettivo.
La disposizione impugnata, che prevede due circostanze aggravanti relative ad entrambi i titoli delittuosi previsti nei commi precedenti, prende, invece, in esame l'elemento oggettivo del danno, considerato dal legislatore in modo preminente e tale, comunque, da annullare la differenziazione basata sulle caratteristiche del dolo.
Tale valutazione, secondo l'Avvocatura, non é priva di razionalità e trova il suo fondamento nel carattere oggettivo delle aggravanti che riguardano le modalità dell'azione e il danno derivante dal reato.
All'udienza di discussione, la difesa- dello Stato si é riportata alle deduzioni scritte.
Considerato in diritto
L'art. 636 del codice penale punisce, nel primo comma, l'introduzione o l'abbandono di animali nel fondo altrui e prevede, nel secondo comma, una pena maggiore quando l'introduzione o l'abbandono avvenga allo scopo di farli pascolare. Nel terzo ed ultimo comma, lo stesso articolo prevede poi una pena ancora maggiore per il caso che il pascolo avvenga o il fondo sia stato altrimenti danneggiato dagli animali ivi introdotti o abbandonati, senza però più differenziare i due casi tenuti distinti e diversamente puniti nei primi due commi sotto il profilo della assenza o della concorrenza del fattore intenzionale circa lo scopo di far pascolare gli animali sul fondo altrui.
Questa mancata differenziazione é parsa al giudice a quo lesiva del principio di eguaglianza, sembrandogli più logico e più giusto che le pene fossero graduate su quattro diverse situazioni giuridiche consistenti: la prima nella semplice introduzione degli animali, la seconda nella introduzione, allo scopo di farli pascolare, la terza nella semplice introduzione che abbia prodotto danno e la quarta nella introduzione col fine di pascolo e che abbia pure prodotto danno.
La questione non é fondata.
Va ricordato innanzi tutto come sia fermo nella giurisprudenza della Corte (sentenza 208 del 1973, 18 del 1973, 157 del 1972 e 109 del 1968) il principio che la valutazione della congruenza tra reato e pena appartiene alla politica legislativa e nessun sindacato di legittimità costituzionale può essere perciò su di essa esercitato, tranne non comporti disparità talmente rilevanti da apparire non suscettibili di una qualsiasi giustificazione.
Nel caso, poi, non solo non si é in presenza di tali squilibri, ma non si rinviene nemmeno alcun aspetto di illogicità nella unificazione che, nel terzo comma, subiscono le due ipotesi di reato di cui ai primi due commi dell'art. 636 del codice penale, perché tale unificazione é giustificata in rapporto all'evento aggravante che all'azione delittuosa, consistente nella introduzione degli animali sul fondo altrui, con o senza l'intento di farli ivi pascolare, si sia aggiunto un effettivo danno causato o dal pascolo o anche soltanto dal calpestio e lo spostamento degli animali sul fondo.
Va infine aggiunto, per puro scrupolo di completezza, che non ha qui nessuna importanza l'argomento, che al giudice a quo sembra risolvente, che cioè nel terzo comma sia configurata, secondo un'opinione, che si dice corrente, un'aggravante e non una figura autonoma di reato, perché in questa sede rileva la concretezza della sanzione e non il meccanismo giuridico in base al quale il legislatore ha ritenuto di potervi pervenire.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 636, terzo comma, del codice penale, proposta con l'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1974.