Sentenza n. 240 del 1974
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SENTENZA N. 240

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 4 gennaio 1951, n. 28 (Ratifica, con modificazioni, del decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 1236, concernente il riordinamento della Scuola nazionale di danza in Roma), promosso con ordinanza emessa l'11 aprile 1972 dal pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Davidson Gloria, iscritta al n. 202 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972.

Udito nella camera di consiglio del 30 maggio 1974 il Giudice relatore Vezio Crisafulli.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa l'11 aprile 1972, nel corso di un procedimento penale a carico di Davidson Gloria, il pretore di Padova ha sollevato, in riferimento all'art. 33 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 4 gennaio 1951, n. 28, di "Ratifica, con modificazioni, del decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 1236, concernente il riordinamento della Scuola nazionale di danza in Roma".

La norma impugnata, richiedendo il conseguimento di un titolo di abilitazione per l'insegnamento in forma professionale della danza, inciderebbe, infatti, secondo l'avviso del giudice a quo, sia pure indirettamente, nella libertà, costituzionalmente garantita senza alcun limite, di insegnamento artistico.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione della compatibilità dell'art. 3 della legge 4 gennaio 1951, n. 28, che subordina l'esercizio della professione di maestro di danza (e l'assunzione del titolo relativo) al possesso del diploma rilasciato dall'Accademia nazionale di danza o da un istituto pareggiato, con l'art. 33, primo comma, Cost., che proclama libero l'insegnamento di arte e scienza, é identica a quella già dichiarata non fondata da questa Corte con la sentenza n. 114 del 1957. Tuttavia, anche alla luce dei successivi sviluppi della propria giurisprudenza sul medesimo tema o su argomenti connessi (sentenze n. 36 del 1958, n. 24 del 1965, n. 195 del 1972), la Corte, dopo rinnovato esame del problema, ritiene ora di dover giungere a diversa conclusione.

2. - L'Accademia nazionale di danza deriva dalla "Scuola di danza", con annesso corso di perfezionamento per la formazione di maestri e compositori di danza, istituita presso la R. Accademia d'arte drammatica in Roma dalla legge 22 febbraio 1940, n. 165: la quale prevedeva, bensì, atte stati e diplomi, distinti questi ultimi in diploma di danzatore e diploma di maestro e compositore di danza, senza peraltro che a tali titoli (conseguiti a conclusione dei vari cicli di studio) fosse riconosciuto valore abilitante all'esercizio delle professioni rispettive. Né questa situazione di libertà veniva a subire mutamenti per effetto del successivo decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 1236, che, nel riordinare la Scuola, C mutandone fra l'altro la originaria denominazione in quella attuale, teneva espressamente ferma, nel primo comma del suo art. 20, la normativa allora vigente che non fosse in contrasto con quanto in esso disposto.

Soltanto in sede di ratifica del decreto del 1948, nella legge del 1951, compare la norma dell'art. 3 - denunciata nell'ordinanza del pretore di Padova - che conferisce al diploma rilasciato dall'Accademia o da istituti pareggiati (che non risulta siano mai stati istituiti) valore condizionante dell'uso del titolo di maestro di danza e abilitante all'esercizio della relativa professione.

Un correttivo temporaneo era tuttavia rappresentato dalle disposizioni transitorie degli artt. 4 e 5: per la prima delle quali alla mancanza di diploma suppliva l'aver insegnato per almeno tre anni "in accademie o scuole di danza dipendenti dallo Stato o da enti pubblici"; mentre con la seconda si ammettevano coloro che alla data di pubblicazione della legge esercitassero privatamente la professione di maestro di danza al conseguimento di un giudizio di idoneità, per titoli "e se ritenuto necessario in seguito ad esami", emesso da una commissione nominata dal Ministro per la pubblica istruzione, composta in prevalenza da elementi del corpo docente dell'Accademia nazionale di danza.

La riapertura dei termini di cui sopra é stata poi disposta una tantum dalla legge 18 marzo 1958, n. 297, in favore sia di coloro che, essendo cittadini italiani, alla data di pubblicazione della precedente legge del 1957 esercitassero di fatto la professione di maestro di danza, sia di coloro che la esercitassero "comunque" alla data di pubblicazione della nuova legge (e cioè abusivamente, come deve ritenersi a norma dell'art. 3 di quella del 1951).

Esauritasi anche questa seconda fase transitoria, il diploma dell'Accademia esplica ormai in pieno, ed in modo praticamente esclusivo, il valore di titolo abilitante all'esercizio professionale dell'insegnamento, potendovisi derogare, a norma dell'art. 8 della legge del 1958 poc' anzi rammentata, unicamente con il rilascio "in via eccezionale" del diploma per "chiara fama" ad artisti italiani e stranieri, da parte del Ministero della pubblica istruzione, purché su proposta del "collegio dei professori dell'Accademia... presieduto dalla direttrice".

3. - Ciò premesso, la disposizione dell'art. 3 della legge del 1951, riguardata nel contesto della normativa entro cui é inquadrata e da cui riceve il suo concreto significato, della quale si sono qui ricordate le linee principali, si rivela incompatibile con il principio della libertà d'insegnamento, consacrato nel primo comma dell'art. 33 Cost., al quale fa riscontro, nel terzo comma, il connesso principio pluralistico della libertà di scuola.

Subordinando, infatti, esclusivamente al possesso di un particolare titolo scolastico-professionale un insegnamento artistico, anche se esplicato nell'ambito meramente privato e senza tendere al riconoscimento di alcun valore legale dei risultati conseguiti, la disposizione in oggetto, con l'incidere - direttamente - sulla libertà professionale, viene altresì a determinare, indirettamente, ingiustificate limitazioni alla libertà di arte e scienza e del relativo insegnamento. L'una e l'altra libertà sono affermate congiuntamente, in unico contesto, dall'art. 33 e sono, in realtà, strettamente tra loro connesse, giacché la seconda, anche se suscettibile di atteggiarsi diversamente in funzione dei diversi tipi e gradi di insegnamento, rappresenta pur sempre - massimamente nel campo dell'arte - quasi una prosecuzione ed espansione della prima. Di guisa che sarebbe altrettanto assurdo e contrastante con il principio dell'art. 33, primo comma, precludere l'attività professionale di un musicista, di un coreografo, di un regista o di un attore, sol perché sprovvisto di un diploma legale, quanto impedirgli di formarsi quel che, nell'uso comune si chiama appunto, una sua scuola, insegnando, se ne ha la vocazione, l'arte nella quale é esperto a coloro che liberamente lo desiderino per i motivi più svariati (o perché ne condividono gli indirizzi estetici o perché ne apprezzano particolarmente la capacità o perché ne ritengono i metodi più congeniali al proprio temperamento, e via dicendo). E del resto, corsi liberi a diverso livello - talora propedeutici ed informativi, più spesso di perfezionamento ed alta specializzazione - con sempre maggior frequenza si tengono, nel nostro come in ogni altro paese del mondo, da artisti di qualsiasi nazionalità, ai quali non si chiede se e quale titolo di studio o di abilitazione abbiano conseguito, e danno risultati spesso eccellenti, com'é dimostrato dalla comune esperienza, formando allievi che in breve volger di tempo raggiungono vasta notorietà.

4. - Ma, anche a dare, invece, al principio dell'art. 33, primo comma, un'interpretazione più restrittiva, riducendolo al nucleo essenziale e indefettibile di garanzia della libertà dei "contenuti" dell'insegnamento, ed a ritenere perciò ammissibile l'intervento statale di controllo quanto all'accertamento dei requisiti di idoneità di coloro che intendono farne la loro professione, tale intervento non potrebbe che assumere la figura dell'esame di Stato, nei suoi due aspetti (suscettibili, eventualmente, di presentarsi tra loro fusi e compenetrati) di esame scolastico e di esame di abilitazione professionale. Giacché, in tanto sarebbe compatibile con la libertà d'insegnamento subordinarne l'esercizio professionale privato a determinati requisiti di idoneità, in quanto il loro accertamento fosse frutto di una valutazione imparziale, operata da organi dello Stato e da questo nominati, secondo modalità prestabilite dall'ordinamento e tale da garantire l'eguale trattamento di tutti i candidati, indipendentemente dalla scuola da cui provengono: nel che, precisamente, consistono le caratteristiche proprie e le finalità istituzionali dell'esame di Stato, non a caso richiamato in Costituzione, nel quinto comma dell'art. 33, quasi a mediare fra loro i due principi in esso compresenti: libertà di insegnamento e libertà di scuola, da un lato; potere-dovere dello Stato di dettare norme generali sull'istruzione e di istituire scuole di ogni ordine e grado, dall'altro.

In particolare, come questa Corte ha avuto occasione di affermare nella sentenza n. 43 del 1972, "non possono mancare norme circa le condizioni di ammissione, i programmi di esame e la struttura e funzione della commissione, e circa le garanzie per gli interessati".

ora, nel caso in oggetto, l'esame di diploma del corso di perfezionamento dell'Accademia nazionale di danza, pur adempiendo, in forza della norma denunziata, al duplice ruolo di esame scolastico e di esame di abilitazione professionale, non soddisfa alle accennate indeclinabili esigenze. Così nel decreto legislativo del 1948, come nella successiva legge di ratifica del 1951, sono completamente assenti, infatti, disposizioni concernenti i candidati privatisti, l'ammissione dei quali a sostenere gli esami risulta quindi abbandonata alla prassi; mancano parimenti norme sulla composizione e nomina della commissione esaminatrice nonché sulle operazioni a questa demandate, mentre, quanto ai programmi, l'art. 13 del decreto del 1948 si limita a rinviare a provvedimenti da emanarsi dal Ministro per la pubblica istruzione. provvedimenti che, peraltro, non sono mai intervenuti (per modo che, in linea di fatto, valgono come programmi di esame per tutti i candidati, interni ed esterni, i programmi di insegnamento dei singoli corsi dell'Accademia, stabiliti, a norma dell'art. 6, dalla "direttrice, sentito il collegio dei professori").

Se poi si considera che persino il conferimento del diploma "per chiara fama" dipende, come sopra si é accennato al punto 2, da proposta dell'Accademia, si ha la conferma che l'art. 3 della legge del 1951 finisce per produrre proprio il risultato opposto a quello che sarebbe richiesto dai principi dell'art. 33 Cost., privilegiando nei confronti di ogni altra una singola iniziativa, sia pure pubblica, anziché garantire, nell'ambito di "norme generali" poste dallo Stato, come previsto nel secondo comma, ed in condizioni di eguaglianza, la molteplicità di iniziative culturali espresse, nel settore in oggetto, dalla società civile.

5. - La constatata illegittimità dell'art. 3 della legge n. 28 del 1951 per contrasto con il primo comma dell'art. 33 Cost., anche ove di questo si assuma l'interpretazione più restrittiva, nulla toglie, naturalmente, quando l'insegnamento privato della danza si estrinsechi nella forma di istituzioni scolastiche organizzate ed aperte a chiunque voglia ad esse iscriversi, ai poteri di vigilanza e di repressione spettanti allo Stato a tutela del buon costume, della salute e della pubblica fede.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 4 gennaio 1951, n. 28, "Ratifica, con modificazioni, del decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 1236, concernente il riordinamento della Scuola nazionale di danza in Roma".

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 23 luglio 1974.