SENTENZA N. 201
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 1 giugno 1973 dal tribunale di Trento nel procedimento penale a carico di Bronzino Alberto ed altri, iscritta al n. 417 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 326 del 19 dicembre 1973.
Udito nella camera di consiglio del 16 maggio 1974 il Giudice relatore Luigi Oggioni.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza 1 giugno 1973 il tribunale di Trento, nel procedimento penale a carico di Bronzino Alberto ed altri, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 348, terzo comma, cod. proc. pen., nella parte in cui vieta che possano essere intesi come testimoni in istruttoria coloro che furono imputati dello stesso reato connesso a quello per cui si procede, anche se prosciolti o condannati, salvo che il proscioglimento sia stato pronunziato per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste. Con ciò, secondo il tribunale, si porrebbe in essere:
a) una lesione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost., che sarebbe violato perché l'imputato non potrebbe avvalersi di eventuali prove a discarico e sarebbe posto in condizioni di inferiorità rispetto all'accusa, la quale potrebbe giungere ad usare l'incriminazione di persone a conoscenza dei fatti per privarle della capacità di testimoniare;
b) una discriminazione sia fra cittadini in genere, sia fra imputati prosciolti con diverse formule, in contrasto con l'art. 3 Cost.;
c) una violazione dell'art. 27 Cost. in quanto il testimone, privato del diritto dovere di testimoniare, a causa della qualità di coimputato temporaneamente assunta vedrebbe ridotto il suo patrimonio di diritti civili in contrasto con il precetto contenuto nell'invocata norma costituzionale.
La questione così profilata, secondo l'ordinanza, investirebbe anche l'art. 465, cpv., c.p.p. nella parte in cui ribadisce il divieto di testimoniare sancito dall'art. 348, terzo comma, c.p.p. anche per quanto riguarda la fase del giudizio.
Inoltre, il menzionato art. 465 cpv., nella parte in cui consente la lettura in dibattimento delle deposizioni rese dai coimputati, anche se prosciolti o condannati, sarebbe in contrasto con l'art. 24 Cost. in quanto tale forma di acquisizione dei detti mezzi probatori non consentirebbe una piena esplicazione del diritto di difesa.
L'ordinanza, pronunziata in dibattimento, é stata notificata e comunicata come per legge e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 326 del 19 dicembre 1973.
Nessuna delle parti si é costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza del tribunale di Trento si prospettano due ordini di questioni di legittimità, in relazione, rispettivamente, agli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, del codice di procedura penale.
Quanto alla prima norma, si osserva che l'esclusione ivi sancita della possibilità di sentire come testimoni i coimputati prosciolti o condannati, inciderebbe sul diritto di difesa dell'imputato, in quanto gli impedirebbe di avvalersi di prove a discarico e lo porrebbe, comunque, in posizione di inferiorità rispetto all'accusa.
Questa Corte ha già avuto occasione di esaminare un identico profilo di illegittimità e lo ha ritenuto infondato con la sentenza n. 154 del 9 novembre 1973; né le argomentazioni addotte in questa sede sono tali da modificare il detto orientamento.
La questione, pertanto, deve dichiararsi manifestamente infondata.
2. - Il giudice a quo osserva poi che la citata esclusione indurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra i cittadini in genere e fra i coimputati prosciolti in diverse fasi processuali e con diverse formule.
Questa Corte ha peraltro già avuto occasione di affermare, con la menzionata sentenza n. 154 del 1973, sia pure esaminando la questione sotto il diverso profilo della allora prospettata violazione dell'art. 24 Cost., che razionalmente il soggetto che abbia reso a suo tempo interrogatorio in qualità di coimputato, non può essere successivamente chiamato, in mutata veste, a riferire come testimone sugli stessi fatti, "perché il timore di incorrere in pregiudizievoli contraddizioni e conseguenti responsabilità finirebbe col togliere attendibilità alla sua deposizione". Resta con ciò pure escluso, ovviamente, il contrasto col principio di eguaglianza nel senso delineato dal giudice a quo, essendo costante giurisprudenza di questa Corte che il principio stesso può dirsi violato soltanto quando la denunziata disparità di trattamento non sia fondata su presupposti logici ed obiettivi che ne giustifichino razionalmente la adozione.
La questione, sotto questo profilo, é pertanto da dichiarare infondata.
3. - L'art. 348 terzo comma, inoltre, violerebbe l'art. 27, secondo comma, Cost., in quanto limiterebbe il patrimonio di diritti civici del coimputato, escludendolo dalla testimonianza e contrasterebbe così con la presunzione di innocenza sancita dalla norma costituzionalmente invocata.
Ma é di tutta evidenza che anche sotto questo profilo la questione é infondata, perché la norma impugnata, che risponde alla sopra illustrata finalità processuale, si limita a porre una cautela a vantaggio della attendibilità della testimonianza, senza che ciò possa in alcun modo assumere i caratteri di una sanzione a carico del coimputato, nel cui interesse, anzi, la restrizione é dettata, salvaguardandolo dalle eventuali responsabilità, cui la sua particolare posizione potrebbe esporlo. Manca pertanto ogni possibilità di configurare un contrasto fra la norma impugnata e l'art. 27, secondo comma, Cost., il quale dispone soltanto "che l'imputato non é considerato colpevole fino alla condanna definitiva", e, se esclude così che egli, prima di tale momento, possa essere comunque assoggettato a sanzioni punitive, non vieta peraltro che possa essere previsto, nei suoi confronti, un trattamento processuale che tale natura non rivesta.
4. - Quanto alla seconda norma impugnata, il tribunale lamenta che l'art. 465 c.p.p., nella parte in cui consente la lettura in dibattimento delle deposizioni rese dagli ex imputati, non permetterebbe una piena esplicazione del diritto di difesa del giudicabile e contrasterebbe cioè con l'art. 24 Cost. mentre, nella parte in cui ribadisce il divieto di testimoniare già sancito dall'art. 348, terzo comma, c.p.p. sarebbe coinvolto nelle questioni, come sopra sollevate, nei confronti di tale disposizione.
Il primo profilo di illegittimità, ora illustrato, é già stato risolto negativamente con la citata sentenza n. 154 del 1973, in cui appunto é stato espressamente escluso che la facoltà di lettura in dibattimento delle deposizioni in esame, sia in contrasto con la garanzia di difesa, ritenendosi che la facoltà stessa é sufficientemente giustificata dalle esigenze di accertamento della verità, che rientrano nel quadro finalistico del procedimento penale, e trovano estrinsecazione nel dovere del giudice di valutare, ai fini della decisione, tutte le risultanze acquisite regolarmente agli atti, in quanto tocchino, a favore o a sfavore, la posizione degli imputati e delle parti offese.
Poiché neppure a questo riguardo risultano addotte argomentazioni tali da indurre la Corte a modificare il proprio orientamento, anche la questione ora esposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Infine, la questione concernente la parte dell'art. 465, che riproduce sostanzialmente il contenuto dell'art. 348, terzo comma, riflette i medesimi presunti vizi lamentati in relazione a quest'ultima norma, e valgono ovviamente le argomentazioni sopra svolte al riguardo per escluderne la fondatezza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 348, terzo comma, del codice di procedura penale e dell'art. 465, capoverso, dello stesso codice (nella parte in cui consente la lettura in dibattimento delle deposizioni degli imputati dello stesso reato o di reato connesso, anche se prosciolti o condannati), sollevate con l'ordinanza 1 giugno 1973 del tribunale di Trento in riferimento all'art. 24 della Costituzione;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 348, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata con l'ordinanza suddetta in riferimento agli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione;
c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 465, capoverso, dello stesso codice (nella parte in cui esclude che possano essere assunti come testimoni in dibattimento gli imputati dello stesso reato o di reato connesso, anche se prosciolti o condannati), sollevata con l'ordinanza suddetta in riferimento agli art. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 4 luglio 1974.