Sentenza n. 155 del 1974

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SENTENZA N. 155

ANNO 1974

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI    

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 199 bis del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 1972 dalla Corte d'assise d'appello di Torino nel procedimento penale a carico di Lioce Luigi ed altri, iscritta al n. 190 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972.

Udito nella camera di consiglio del 4 aprile 1974 il Giudice relatore Paolo Rossi.

Ritenuto in fatto:

Nel corso di un procedimento penale la Corte d'assise d'appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 112 e 24, primo comma, della Costituzione, questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 199 bis del codice di procedura penale nella parte in cui attribuisce al cancelliere che ha ricevuto la dichiarazione d'impugnazione del pubblico ministero il compito di notificarla all'imputato.

Osserva il giudice a quo che, come rilevato dal Procuratore generale, nella specie l'appello sarebbe stato inammissibile per difetto di notifica, e, nel merito, che la norma impugnata, attribuendo quel compito ad un organo estraneo all'ufficio del pubblico ministero impugnante, contrasterebbe con il potere-dovere di esercizio dell'azione penale nonché con il diritto di azione spettante a tutte le parti del processo su di un piano di assoluta eguaglianza (artt. 112 e 24, primo comma, Cost.).

Nessuna parte si è costituita in questa sede.

Considerato in diritto:

La Corte costituzionale è chiamata a decidere se l'art. 199 bis c.p.p. - nella parte in cui attribuisce al cancelliere che ha ricevuto la dichiarazione d'impugnazione del pubblico ministero il compito di notificarla all'imputato - contrasti o meno con il potere-dovere del pubblico ministero di esercitare l'azione penale e con il suo diritto di agire in giudizio su di un piano di eguaglianza con le altre parti del processo penale. (artt. 112 e 24, primo comma, Cost.).

La questione è infondata.

L'applicazione della norma impugnata ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali e a critiche da parte della dottrina, che ha posto in luce l'incongruità di una disposizione che colpisce con la sanzione di inammissibilità del gravame i vizi della relativa notifica, in relazione ai quali nessun addebito può muoversi all'organo che ha esercitato il diritto d'impugnazione. Tuttavia l'art. 199 bis c.p.p. non contrasta con gli invocati principi costituzionali. Invero, posto che il pubblico ministero è parte sui generis nel rapporto processuale penale come riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 190 del 1970 e n. 136 del 1971), non sussiste la necessità, per il legislatore, di attribuirgli una posizione del tutto corrispondente a quella delle altre parti processuali. La natura di organo giudiziario, propria del pubblico ministero, può giustificare modalità di esercizio del diritto di azione regolate in rapporto alla struttura dell'organo stesso, che per l'esplicazione della sua opera deve valersi di ausiliari. Nella specie il cancelliere ricevente la dichiarazione d'appello del pubblico ministero ha il dovere d'ufficio di fare eseguire la notifica nei tempi e modi prescritti; in caso di omissione dovrà risponderne disciplinarmente e anche, ove ne ricorrano gli estremi, in via penale. Né può ignorarsi che in base all'art. 154 c.p.p. i can cellieri sono tenuti ad osservare le norme processuali e che il pubblico ministero ha il diritto-dovere di vigilanza sull'operato degli stessi. Da quanto precede emerge che i vizi denunciati non derivano dalla norma ma dalla sua eventuale violazione, ad evitare la quale soccorrono le regole sopra enunciate.

Per quanto attiene infine all'art. 112 della Costituzione appare evidente che la norma è stata invocata non conferentemente. Il principio dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale è diretto a escludere qualsiasi discrezionalità del pubblico ministero: la norma impugnata, invece, limitandosi a disciplinare le modalità di esercizio dell'azione, suppone necessariamente, per il suo ambito d'applicazione, che il pubblico ministero abbia esercitato in via effettiva l'azione penale, sicché non può contrastare con l'art. 112 Cost. La violazione del principio costituzionale potrebbe essere ammessa soltanto ove fosse possibile concludere che l'art. 199 bis c.p.p. consenta la vanificazione del diritto d'impugnazione del pubblico ministero, ma si è già constatato che gli inconvenienti lamentati non sono di siffatta natura e mai possono esser ricondotti alla corretta applicazione della norma.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 199 bis del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 112 e 24, primo comma, della Costituzione, con l'ordinanza della Corte d'assise d'appello di Torino in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1974.

Depositata in cancelleria il 29 maggio 1974.