Sentenza n. 141 del 1974
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SENTENZA N. 141

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 68 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 (legge tributaria sulle successioni), in relazione all'art. 97 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge sull'imposta di registro), promosso con ordinanza emessa il 26 novembre 1971 dal tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Callivà Domenico e Puglia Rosario e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 332 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 296 del 15 novembre 1972.

Visti l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;

udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 1974 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione delle finanze dello Stato.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel luglio 1962 decedeva in Palermo Gargano Salvatore lasciando i propri beni al figlio Paolo. Non avendo questi provveduto a pagare l'imposta complementare di successione sul maggior valore accertato dalla Commissione provinciale delle imposte con decisione 14 novembre 1964, l'ufficio imposte successioni di Palermo in data 28 aprile 1969 notificava ingiunzione di pagamento, oltrechè all'erede, anche a Callivà Domenico e Puglia Rosario nella loro qualità di terzi possessori di alcuni immobili caduti nella successione e da essi acquistati, beni sui quali l'ufficio intendeva esercitare il privilegio fiscale per la riscossione dell'imposta ai sensi dell'articolo 68 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270.

Avverso tale ingiunzione gli interessati proponevano opposizione dinanzi al tribunale di Palermo eccependo l'estinzione dell'azione esecutiva del fisco per il decorso del termine triennale di decadenza previsto dall'art. 97 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, in tema di imposta di registro, il cui disposto, a loro avviso, é estensibile anche all'imposta di successione.

L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio, sosteneva per contro che l'art. 68 della legge sull'imposta di successione, nello stabilire il privilegio a favore dello Stato, non pone alcun termine per l'esercizio di tale diritto di tal che l'azione reale per la riscossione dell'imposta resterebbe subordinata soltanto al decorso del termine di prescrizione del tributo previsto dall'art. 86 della stessa legge, avrebbe cioè la stessa durata dell'azione personale verso il debitore di imposta con la conseguenza che gli atti interruttivi della prescrizione di questa hanno efficacia anche nei riguardi del terzo possessore.

Il tribunale, con l'ordinanza del 26 novembre 1971, dopo aver escluso l'applicabilità in via analogica del termine di decadenza dell'imposta di registro alla imposta di successione, ravvisando una disparità di trattamento delle due norme nella disciplina di situazioni pressoché identiche ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 68 in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Osserva in proposito l'ordinanza che mentre l'aggressione dei beni del terzo possessore in base al privilegio ex art. 97 della legge di registro é sottoposta ad un autonomo termine di decadenza triennale (rispetto al quale non hanno alcun rilievo gli atti interruttivi) nessun termine, invece, é previsto per l'azione reale ex art. 68 della legge tributaria sulle successioni, la quale rimane strettamente collegata al rapporto tributario cui accede seguendone le sorti. Si verificherebbe così un trattamento differenziato, non giustificato da obiettive ragioni, per due tributi indiretti che appartengono ad un comune ceppo tendendo entrambi a colpire, in definitiva, il trasferimento della ricchezza, sia esso operato per atto inter vivos o mortis causa.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte le parti private non si sono costituite. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si é costituita l'Amministrazione finanziaria, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato.

Negli scritti difensivi l'Avvocatura sostiene la non fondatezza della sollevata questione osservando che la diversa disciplina stabilita dai citati articoli per la riscossione dell'imposta di registro e dell'imposta di successione trova giustificazione nella diversa struttura dei due tributi.

Ed infatti il primo colpisce, oltre ai trasferimenti, anche gli atti di locazione e di appalto i quali non sono soggetti ad alcuna pubblicità. Il termine di decadenza per l'esercizio dell'azione di riscossione é posto a tutela del terzo il quale, in caso diverso, si vedrebbe esposto ad assolvere il tributo di registro concernente presupposti imposizionali da altri posti in essere.

Il trasferimento dei beni caduti in successione é, invece, assoggettato ad una completa pubblicità per cui il terzo che voglia acquistare detti beni é posto in grado di accertarne, con un minimo di diligenza, la provenienza e conseguentemente di acclarare se il suo dante causa abbia assolto o non le relative imposte di successione.

Queste considerazioni l'Avvocatura ha ulteriormente sviluppato e ribadito in una successiva memoria depositata il 6 marzo 1974.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza del tribunale di Palermo ha denunciato l'illegittimità costituzionale dell'art. 68 della legge tributaria sulle successioni, approvata con r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, nella parte in cui detta norma, disponendo a favore dello Stato il privilegio per la riscossione dell'imposta sui beni mobili ed immobili cui il tributo si riferisce, ha omesso di indicare il termine entro il quale si estingue la relativa azione reale di garanzia. Ad avviso del giudice a quo questo trattamento normativo é ingiustificatamente differenziato rispetto a quello dettato dall'art. 97 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, sul privilegio dello Stato per la riscossione dell'imposta di registro, la cui azione si estingue nel termine stabilito dalla legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento.

L'asserito contrasto della norma impugnata con l'art. 3 della Costituzione muove dal presupposto che la diversa disciplina del privilegio spettante allo Stato per l'esazione dei due tributi non appare sorretta da obbiettive ragioni appartenendo l'imposta di registro e quella di successione ad un comune ceppo di tributi e tendendo entrambe a colpire il trasferimento della ricchezza, sia esso operato per atto inter vivos o mortis causa.

2. - Ai fini della soluzione della proposta questione é d'uopo ricordare che prima di essere autonomamente regolata col r.d. n. 3270 del 1923 l'imposta di successione era considerata come appartenente alla categoria del tributo di registro e perciò disciplinata da disposizioni in parte comuni comprese nel medesimo testo legislativo.

Per quanto concerne in particolare il privilegio fiscale, per entrambi i tributi vigeva la regola di cui all'art. 89 della legge 13 settembre 1874, n. 2076, sulle tasse di registro - rimasto tale nel titolo III del successivo t.u. delle leggi sulle tasse di registro approvato con r.d. 20 maggio 1897, n. 217 - il quale nei suoi due commi testualmente disponeva:

"Lo Stato avrà privilegio per la riscossione delle tasse sui mobili ed immobili colpiti da imposta secondo le norme stabilite dalla legge civile.

L'azione si estingue nei termini stabiliti dalla presente legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento".

Con la riforma del 1923 il legislatore dava una nuova sistemazione alla materia raccogliendo in due coevi ma distinti testi le norme riguardanti rispettivamente l'imposta di registro e quella di successione (regi decreti 30 dicembre 1923, n. 3269 e n. 3270). I due commi dell'art. 89 del vecchio t.u. del 1897, regolanti il privilegio fiscale, venivano trasfusi, in un testo letterale pressoché identico, nell'art. 97 relativo all'imposta di registro; nell'art. 68, concernente l'imposta di successione, veniva invece riprodotto soltanto il primo comma e non anche il secondo giusta il quale l'azione per poter recuperare l'imposta nei confronti del terzo possessore si estingueva nel termine stabilito dalla legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento.

Questa differenziazione normativa, che ha dato origine all'odierna questione di legittimità costituzionale, non figura più nella nuova disciplina delle due imposte in esame recentemente adottata dal legislatore. In questa, anzi, la riscossione coattiva e il privilegio dei due tributi hanno avuto identico trattamento essendosi, appunto, disposto che il privilegio si estingue nel termine di cinque anni decorrente dalle date rispettivamente indicate nell'art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, per l'imposta di registro, e 45 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, per l'imposta di successione.

3. - Ciò premesso, venendo all'esame della proposta questione, la Corte ritiene che, in ordine allo specifico punto, qui in considerazione, concernente il termine per l'esercizio del privilegio fiscale, non sussiste tra i due tributi diversità di situazione che valga a giustificare un loro diverso trattamento legislativo.

L'asserita differenza della natura e del campo di applicazione delle due imposte non é di per sé sufficiente per considerare ragionevole e legittima l'adozione di un differenziato trattamento del terzo possessore di un bene a seconda che questo abbia formato oggetto di trasferimento per atto tra vivi o mortis causa. Le ragioni di certezza del diritto, sicurezza nella circolazione dei beni e di tutela del terzo acquirente del bene che hanno indotto il legislatore a circoscrivere in un termine rigoroso e ristretto l'azione esecutiva posta a garanzia del privilegio fiscale in tema di imposta di registro sussistono e sono valide anche per l'ipotesi, sostanzialmente identica, dell'azione reale che assiste il privilegio gravante su bene caduto in successione e trasferito ad un terzo. Ne é riprova il fatto, innanzi evidenziato, che in origine e nuovamente ora nella più recente disciplina le due azioni privilegiate hanno avuto unicità di trattamento per quanto attiene alla prefissione di un termine entro il quale l'azione deve essere esercitata a pena di decadenza.

Va conseguentemente dichiarata l'incostituzionalità della norma denunciata, per violazione del principio di uguaglianza enunciato dall'art. 3 Cost., nella parte in cui non dispone - analogamente a quanto stabilito per l'imposta di registro - che il privilegio spettante allo Stato per la riscossione dell'imposta di successione si estingue nei termini stabiliti dalla legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 68 del rd. 30 dicembre 1923, n. 3270, che approva la legge tributaria sulle successioni, nella parte in cui non dispone che l'azione a garanzia del privilegio spettante allo stato per la riscossione dell'imposta si estingue nei termini stabiliti dalla legge per domandare il pagamento della tassa o del suo supplemento.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 maggio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 maggio 1974.