SENTENZA N. 117
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo e terzo comma, del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20 (Disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale statale), promosso con ordinanza emessa il 15 gennaio 1973 dal tribunale di La Spezia nel procedimento civile vertente tra Coliola Mario ed altri e l'Istituto nazionale della previdenza sociale, iscritta al n. 83 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 2 maggio 1973.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;
udito nell'udienza pubblica del 5 dicembre 1973 il Giudice relatore Enzo Capalozza;
uditi l'avv. Giovanni Battista Rossi Doria, per l'INPS, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un giudizio promosso da alcuni pensionati dell'Amministrazione statale nei confronti dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, al fine di ottenere il riconoscimento del loro diritto alla pensione di vecchiaia per il servizio prestato alle dipendenze della Marina militare, in qualità di operai permanenti, il tribunale di La Spezia, con ordinanza del 21 agosto 1970, sollevava questione di legittimità costituzionale delle norme contenute nel secondo e nel terzo comma dell'art. 10 del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20 (Disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale statale), in riferimento all'art. 3 della Costituzione ed in relazione all'art. 50 della legge 5 marzo 1961, n. 90 (Stato giuridico degli operai dello Stato).
Secondo detta ordinanza, le due disposizioni denunziate (secondo e terzo comma dell'art. 10 del d.P.R. n. 20 del 1956) - avendo, rispettivamente, statuito il subentro dello Stato nei diritti dei salariati alla pensione relativa alle assicurazioni obbligatorie ed il riconoscimento del diritto alla pensione già maturata a favore dei salariati in servizio, soltanto durante il periodo di prestazione del medesimo - violerebbero il principio di eguaglianza per l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina contenuta nell'art. 50 della successiva legge 5 marzo 1961, che consentirebbe, invece, ai salariati, assunti in servizio dopo la sua entrata in vigore, di fruire delle due pensioni.
Dinanzi a questa Corte si costituivano i signori Agostino Bordone, Luigi Viola, Alberto Lorenzetti e Luigi Grande, attori nel giudizio a quo, e l'Istituto nazionale della previdenza sociale. Interveniva il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione.
La difesa dei pensionati, nel chiedere la dichiarazione di illegittimità delle norme denunziate, affermava che la citata legge n. 90 del 1961, anche in relazione all'art. 20 della legge n. 376 del 1951, determinerebbe una ingiustificata sperequazione tra salariati, dei quali soltanto alcuni conserverebbero il trattamento di pensione dell'INPS.
L'Istituto nazionale della previdenza sociale domandava che si provvedesse come di giustizia, sulla sollevata questione, deducendo, per altro, l'indeterminatezza dei motivi posti a base dell'ordinanza di rimessione e faceva presente che analoga doglianza delle stesse disposizioni sarebbe già stata disattesa con sentenza n. 29 del 1964 di questa Corte.
La Corte, con ordinanza n. 99 del 10 maggio 1972, restituiva gli atti al giudice a quo per una più puntuale definizione del giudizio di costituzionalità, non essendo stato sufficientemente formulato e definito l'oggetto della sollevata questione.
Il tribunale di La Spezia, con ordinanza del 15 gennaio 1973, a parziale modifica della precedente ordinanza, ribadiva che l'oggetto del giudizio di costituzionalità riguardava l'art. 10, secondo e terzo comma, del citato d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, per violazione dell'art. 3 Cost., e precisava che l'ingiustificata disparità di trattamento si poneva non in relazione all'art. 50 della legge 5 marzo 1961, n. 90, bensì all'art. 20 della legge 5 giugno 1951, n. 376.
A seguito di che dinanzi a questa Corte si é ora costituito l'Istituto nazionale della previdenza sociale, che, pur insistendo perché si provveda come di giustizia, deduce che neppure la seconda ordinanza di rimessione contiene elementi nuovi rispetto alla questione già decisa con l'anzidetta sentenza n. 29 del 1964 di questa Corte e che, attesa la diversità delle due situazioni normative poste a confronto dal tribunale, sarebbe da escludere la violazione del principio di eguaglianza.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiede che la questione sia dichiarata infondata.
Premesso che il tribunale si sarebbe limitato a rettificare un errato riferimento legislativo senza modificare la motivazione dell'ordinanza, lasciando ancora indeterminato l'oggetto del giudizio di costituzionalità, anche l'Avvocatura esclude che, stante la diversità delle due situazioni normative sopra indicate, possa ritenersi violato il principio di eguaglianza.
Osserva, poi, che il d.P.R. n. 20 del 1956 - accentuando il progressivo passaggio degli operai permanenti dal regime dell'iscrizione all'assicurazione obbligatoria a quello del trattamento previdenziale statale - ha per essi elevato la ritenuta in conto entrate tesoro alla misura (6%) vigente per gli impiegati dello Stato e, nel contempo, ha posto a completo carico dello Stato i contributi per l'assicurazione generale obbligatoria, anche per la parte che, in regime di doppia contribuzione alle due forme di previdenza, sarebbe stata dovuta dagli operai (art. 8). Ciò al fine di evitare che il lavoratore rimanesse senza pensione, nel caso in cui non maturasse quella statale.
Senonché, una volta sorto il diritto alla pensione statale, per la quale sarebbe valutato tutto il periodo lavorativo trascorso dall'operaio alle dipendenze dello Stato, era lecito, secondo l'Avvocatura, che la norma denunziata escludesse il duplice trattamento di quiescenza, in conformità ai principi della vigente legislazione previdenziale - posti a base anche della citata sentenza n. 29 del 1964 - i quali escludono che il lavoratore statale possa conseguire, per una stessa attività, un duplice trattamento di quiescenza.
Con atto depositato il 21 novembre scorso si sono costituiti fuori termine Primo De Antoni, Ettore Drovandi e Francesco Venturini, chiedendo che la disposizione denunciata sia dichiarata illegittima.
Considerato in diritto
1. - La questione che, con il presente giudizio, viene sottoposta all'esame di questa Corte, fu già sollevata dal tribunale di La Spezia, con ordinanza 21 agosto 1970: non ravvisandovi, allora, una sufficiente delimitazione del profilo di costituzionalità, la Corte disponeva (ord. n. 99 del 1972) la restituzione degli atti al giudice a quo, il quale, con successiva ordinanza 15 gennaio 1973, ha ritenuto di poter dare una più puntuale definizione all'oggetto della questione stessa, sia pure limitandosi a richiamare un'altra disposizione legislativa.
L'attuale giudizio, traendo origine dalla seconda ordinanza di rimessione, é autonomo rispetto a quello cui diede luogo la precedente ordinanza, per quanto attiene all'osservanza delle formalità previste dalla legge, ai fini della sua ritualità. Ne consegue che la costituzione, con atto in data 21 novembre 1973, di Primo De Antoni e di altri salariati (rimasti estranei anche al precedente giudizio di legittimità) deve considerarsi inammissibile, perché avvenuta fuori dei termini perentori di venti giorni (artt. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 3 delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale) dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (2 maggio 1973, n. 112) dell'ordinanza di rimessione.
2. - Sono state denunziate a questa Corte, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, le norme contenute nel secondo e terzo comma dell'art. 10 del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, sul trattamento di quiescenza del personale statale, che prevedono il subentro dello Stato nei diritti dei salariati di ruolo alle pensione relativa alle assicurazioni obbligatorie (INPS).
Si assume l'ingiustificata disparità di trattamento di tali salariati rispetto a quelli inquadrati nei ruoli in forza della legge 5 marzo 1961, n. 90, che sarebbero ammessi a fruire della suddetta pensione, congiuntamente alla pensione statale.
La questione, riguardante il diverso trattamento, nella pensione INPS, tra salariati statali pensionati non può dirsi, contrariamente a quanto asserisce la difesa dell'Istituto, analoga a quella decisa con sentenza n. 29 del 1964 di questa Corte, concernente, invece, la duplice diversità, nel godimento della pensione, tra salariati in servizio e a riposo, e tra salariati dello Stato e gli altri lavoratori.
Neppure é da condividere la tesi dell'Avvocatura che, pur dopo la seconda ordinanza di rimessione, resti indeterminato l'oggetto del giudizio.
Infatti, la più favorevole disciplina per i salariati meno anziani nei ruoli, per quanto all'inizio non compiutamente indicata, può, sia pure indirettamente, ricavarsi dal dato normativo ora richiamato dal giudice a quo, il quale ha fatto menzione dell'art. 20 della legge 5 giugno 1951, n. 376, che esclude l'obbligo dell'INPS di rimborsare allo Stato i contributi versati per l'assicurazione invalidità e vecchiaia per il periodo di servizio riscattato dai dipendenti statali immessi nei ruoli organici.
Per i salariati immessi nei ruoli in base alla legge n. 90 del 1961, non esiste una disposizione corrispondente a quelle denunziate sul subentro dello Stato nelle pensioni INPS.
Il diritto alla duplice pensione (statale e INPS) in favore di quest'ultima categoria di salariati trova conferma nella pratica attuazione della normativa vigente in tema di pensioni del personale salariato statale: ciò si desume pure da una circolare del Ministero della difesa (n. 1670/D.G. del 10 marzo 1966), che, anzi, al fine di comprendere nel beneficio del cumulo delle due pensioni un più ampio numero di operai dello Stato, ha, tra l'altro, assunto quale indice temporale del collocamento nei ruoli, non la data di entrata in vigore della citata legge n. 90, bensì quelle successive dei decreti di nomina dei singoli dipendenti, di volta in volta diverse.
Del tutto differente é la situazione dei salariati già inquadrati nei ruoli prima della legge del 1961, che non sono stati ammessi a conservare la pensione INPS, proprio perché soltanto nei loro confronti mantengono piena operatività le norme denunziate, relative al subentro dello Stato nei diritti a tale pensione.
3. - Ad avviso della Corte, codesta differenza di disciplina integra una ingiustificata disparità di trattamento.
Sono sostanzialmente identiche o comunque assimilabili le posizioni di fatto e giuridiche delle dette due categorie di salariati di ruolo dello Stato, e l'unico dato sul quale ci si basa per il differente trattamento legislativo consiste nel diverso momento di assunzione nei ruoli.
Ora, tale riferimento, puramente temporale, non può dirsi razionalmente sufficiente a fare apparire giustificata la normativa oggetto di denunzia.
In relazione alla legge n. 90 del 1961 é, invero, riscontrabile un indirizzo interpretativo, confermato dalla prassi amministrativa, inteso ad estendere l'applicabilità delle relative norme anche ai salariati immessi nei ruoli in date successive all'entrata in vigore della legge stessa.
Ciò denunzia un favore nei confronti di detti salariati che non può non riflettersi anche nei confronti di quelli trovantisi - come si é detto - nella stessa posizione di fatto e giuridica e però assunti in ruolo prima del 1961. Pure per costoro ricorrono, infatti, le medesime ragioni che hanno consigliato il legislatore ad adottare la più recente disciplina ed hanno consentito la ricordata interpretazione estensiva.
E, in conclusione, non si può non pervenire all'illegittimità costituzionale delle norme denunziate, limitatamente, come é ovvio, alla specifica ipotesi de qua.
Dato che risulta in contrasto con il principio di uguaglianza solo quella parte della normativa che attiene al divieto di cumulo tra la pensione a carico dello Stato e quella relativa alle assicurazioni obbligatorie, del terzo comma dell'art. 10 del d.P.R. n. 20 del 1956 risulta costituzionalmente illegittimo il punto il quale reca che il disposto del secondo comma si applica a partire dalla data di cessazione dal servizio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, commi secondo e terzo, del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20 (Disposizioni sul trattamento di quiescenza del personale statale), nella parte in cui nei confronti dei salariati statali immessi nei ruoli anteriormente all'entrata in vigore della legge 5 marzo 1961, n. 90, e per il tempo di cessazione dal servizio, dispone il sub-ingresso dello Stato nei diritti dei salariati stessi e delle loro vedove e orfani alla pensione o quota di pensione relativa alla assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti per i servizi resi dal 1 gennaio 1926, con iscrizione all'assicurazione predetta, che sono valutati anche per la pensione statale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 2 maggio 1974.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria l'8 maggio 1974.