Sentenza n. 91 del 1974
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SENTENZA N. 91

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 21 dicembre 1973, recante "Provvedimenti per gli Istituti regionali d'arte e per l'Istituto tecnico femminile di Catania", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 29 dicembre 1973, depositato in cancelleria il 7 gennaio 1974 ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 1974.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 20 febbraio 1974 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'avv. Antonino Sansone, per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - L'Assemblea regionale siciliana in data 21 dicembre 1973 approvava la legge contenente "Provvedimenti per gli Istituti regionali d'arte e per l'Istituto tecnico femminile di Catania". Il Commissario dello Stato, con atto notificato il 29 dicembre successivo al Presidente della Regione siciliana, proponeva impugnazione avverso la legge e chiedeva che ne fosse dichiarata l'illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 17 dello Statuto.

Secondo il Commissario dello Stato a sensi del detto art. 17 alla Regione é conferita nella materia de qua potestà legislativa concorrente a condizione che vengano osservati i limiti dei principi ed interessi generali a cui si informa la legislazione dello Stato e che i provvedimenti legislativi emanati siano rivolti a soddisfare le condizioni particolari e le esigenze proprie della Regione.

Nella materia oggetto della legge impugnata detti principi sarebbero espressi dalla legge statale 30 luglio 1973, n. 477, che stabilisce i lineamenti generali ed i criteri a cui dovrà uniformarsi la legislazione statale in materia di istruzione elementare, secondaria ed artistica. Anche la Regione siciliana, ed a maggior ragione, é tenuta all'osservanza di tali principi e criteri e ad adeguarsi alle norme organizzative intese ad assicurare una razionale struttura e disciplina armonica nel territorio nazionale per ciò che attiene alla composizione degli organi collegiali amministrativi.

In particolare il ricorrente contestava:

1) che l'art. 5 della legge regionale stabilisce una composizione del Consiglio di disciplina per il personale scolastico contrastante con quella prevista dall'art. 8 della legge statale n. 477. La difformità avrebbe natura sostanziale atteso che l'art. 8 della legge statale risponde al precipuo intendimento di garantire l'autonomia del corpo docente e scolastico. Al contrario l'art. 5 della legge regionale limita fortemente (ad un solo rappresentante) la presenza in seno a un organo di così fondamentale importanza, del personale scolastico e ne menoma la funzione essenzialmente tecnica e rappresentativa per consentire l'ingresso nel consesso, di rappresentanti dell'esecutivo e di organizzazioni sindacali.

2) L'art. 6 della legge regionale prevede per i consigli di amministrazione degli istituti d'arte una composizione diversa da quella stabilita per i consigli dei corrispondenti istituti statali dall'art. 6 della legge n. 477. La legge regionale, infatti, chiama a far parte del predetto consiglio anche tre membri eletti dal Consiglio comunale della località in cui ha sede l'istituto; ed inoltre prevede che il direttore didattico o preside partecipa ad esso con voto consultivo laddove la legge statale ne prevede la partecipazione a pieno titolo. Infine, mentre la legge statale prevede che il consiglio d'amministrazione sia presieduto da persona eletta dallo stesso consesso, tra i rappresentanti dei genitori, la legge regionale attribuisce il potere di nomina del Presidente all'Assessore per la pubblica istruzione.

3) L'art. 7 della legge regionale stabilisce che il direttore dell'istituto é l'organo responsabile dell'attuazione delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, mentre la legge statale affida le medesime attribuzioni ad altro organo di governo dell'istituto e precisamente alla giunta esecutiva, eletta dal consiglio d'istituto e presieduta dal direttore didattico o dal preside.

Nel ricorso, si metteva in evidenza, ancora, la fondamentale importanza delle norme concernenti la composizione dei consigli di istituto in questione in relazione allo scopo perseguito dal legislatore statale di realizzare la partecipazione democratica di tutti i componenti della comunità scolastica nella gestione della scuola; e si sottolineava che la normativa regionale é andata oltre e contro lo spirito e le finalità della legge n. 477.

4) Gli artt. 23, 24, 25 e 27, infine, che disciplinano in via transitoria le modalità relative alla assunzione in ruolo del personale docente che presta attualmente servizio negli istituti regionali a cui la legge si riferisce, non prevedono tra i requisiti fondamentali per l'immissione in ruolo il possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, ove risulti prescritto per determinate materie dal vigente ordinamento scolastico. Questa normativa contrasta con i principi della legislazione statale in materia di immissione in ruolo del personale docente al di fuori delle procedure concorsuali: tali norme, infatti, consentono l'immissione in ruolo medesimo solo a condizione che il docente sia fornito del prescritto titolo di abilitazione.

2. - Il Presidente della Regione siciliana, costituitosi in giudizio davanti a questa Corte, chiedeva che il ricorso proposto dal Commissario dello Stato fosse dichiarato infondato.

Premetteva che la legge impugnata concerneva istituti prettamente regionali già esistenti in forza di leggi precedenti e le cui spese di gestione gravano esclusivamente sul bilancio della Regione, e tendeva a dettare una disciplina organica ed unitaria a livello regionale delle istituzioni scolastiche concernenti gli istituti d'arte, che non fanno parte dell'apparato dell'amministrazione diretta della Regione e sono autonomamente organizzati secondo lo statuto - regolamento del 14 aprile 1967, n. 2.

Osservava preliminarmente che la legge n. 477 del 1973 é di delegazione, con la conseguenza che unico destinatario dei precetti in essa contenuti é il Governo, il quale, per altro, non ha ancora esercitato i poteri normativi conferitigli; ed inoltre, che l'art. 19 di detta legge fa espressamente "salve le competenze in materia delle regioni a statuto speciale".

I principi e criteri direttivi contenuti in una legge di delegazione non sono principi di legislazione fino a quando non venga emanata la normazione delegata; e conseguentemente le enunciazioni contenute nella detta legge n. 477 del 1973 "sono principi direttivi per una legislazione statale e non principi della legislazione statale".

Secondo la Regione, poi, il Commissario dello Stato assimila norme appartenenti a categorie giuridiche inconfondibili.

Ancora, andrebbe tenuto presente il già richiamato art. 19 della legge n. 477 del 1973 che ha fatto salva la competenza delle regioni a statuto speciale ed in realtà ha voluto escludere che in qualsiasi modo si potesse incidere sulle competenze regionali: con la conseguenza che tutta la normazione contenuta nella legge risulta non applicabile alle regioni a statuto speciale.

Sulla base di tali considerazioni, ed anche rispetto alla legge di delegazione, la Regione riteneva di poter negare validità alle censure mosse nel ricorso in ordine alla composizione degli organi di governo degli istituti d'arte disciplinati dalla legge regionale impugnata.

A proposito del consiglio di disciplina, contro la tesi che la violazione dei principi risiederebbe nel fatto che nell'organo previsto dalla legge regionale la rappresentanza del personale scolastico risulterebbe ridotta con prevalenza di rappresentanti sindacali e dell'esecutivo, la Regione osservava che l'art. 8, comma terzo, della legge n. 477, si riferisce esclusivamente al personale docente che ha ruoli provinciali, mentre il consiglio di disciplina di cui all'art. 5 della legge regionale "riguarda il personale direttivo insegnante e non insegnante ed attiene a personale che non ha ruoli provinciali". Si tratta, cioè, di due forme organizzatorie che non sono parallele e ciascuna delle quali risponde alla logica interna del sistema di cui fa parte, e deve attenersi al principio della proiezione nell'organo, degli interessi di tutte le categorie alle quali é rivolto.

Le censure riguardanti il modo di composizione del Consiglio di amministrazione degli istituti partirebbero da presupposti contrastanti con quelli assunti a proposito del consiglio di disciplina. Mentre, infatti, per questo si invoca la rappresentatività e democraticità, per quello si lamenta che il direttore didattico non sia presidente di diritto del consiglio e che del consiglio stesso facciano parte tre membri eletti dal Consiglio comunale. Inoltre si sostiene che l'avere l'art. 7 della legge regionale attribuito al direttore dell'istituto la responsabilità dell'attuazione delle delibere del consiglio di amministrazione, costituisca violazione di un presunto principio democratico fissato dall'art. 6 della legge n. 477 secondo cui la responsabilità in parola si fa ricadere sulla giunta esecutiva, eletta dal consiglio d'istituto e presieduta dal direttore didattico o preside.

A parere della Regione, tale ragionamento sarebbe incongruente e capzioso, in quanto la democraticità nella pluralità delle scelte sarebbe garantita dalla collegialità delle deliberazioni, e la collegialità della esecuzione non assolve certamente una funzione democratica perché non vi sono scelte da compiere, e oltre tutto diluisce e disperde le responsabilità e rallenta l'esecuzione.

Ed a conclusione, sul punto, la Regione rilevava che, come dall'analisi compiuta era risultato, con tecniche diverse poteva realizzarsi uno stesso principio e che la tecnica adottata dalla legge regionale si concilia con i principi ai quali si presume sarebbe venuta ad informarsi la legislazione statale in materia.

Quanto all'ultima censura relativa alla disciplina transitoria delle modalità di assunzione in ruolo del personale docente che presta servizio negli istituti regionali (artt. 23, 24, 25 e 27), la Regione precisava che si tratta di inquadramento di personale in ruoli regionali per cui la competenza della Regione non può essere in alcun modo contestata, e che andava respinta l'affermazione secondo cui la mancata indicazione del possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento tra i requisiti richiesti per la assunzione in ruolo del personale docente, costituisse motivo di illegittimità della norma regionale. Infatti, ove tale requisito fosse ritenuto necessario ai fini dell'inquadramento, l'omessa indicazione non sarebbe motivo d'invalidità della norma. Ma rilevando esso invece solo ai fini dell'insegnamento, ben può essere sostituito dalla situazione di effettivo esercizio delle funzioni: sarebbe fuor luogo richiedere un titolo di abilitazione ad insegnare a soggetti che già da anni esercitano proficuamente l'insegnamento. Infine, pure la legislazione statale anche nel ramo dell'istruzione conterrebbe delle deroghe a quello che secondo il Commissario dello Stato sarebbe un principio generale. Senza dire poi che deve essere tenuto presente che la legge impugnata non riguarda tutte le scuole ma solo quelle create in uno specifico settore dell'istruzione che riveste particolare interesse per la Regione.

3. - Con la memoria il Commissario dello Stato replicava alle deduzioni ed eccezioni della Regione, richiamando, al tempo stesso, i temi del ricorso.

Premesso che nessuna sostanziale differenza esiste tra la competenza ripartita (o concorrente o secondaria) delle Regioni a statuto speciale nella specie della Sicilia (art. 17 dello Statuto), e considerato che la riserva posta dall'art. 19 della legge di delega n. 477, fa salve le competenze delle Regioni (e delle Province) a statuto speciale là dove esse hanno competenza primaria (o esclusiva), insisteva nell'affermare che la Regione siciliana é tenuta all'osservanza dei principi delle leggi dello Stato in materia di istruzione media.

A confutazione dell'ulteriore eccezione della Regione, secondo cui la legge di delega non potrebbe essa stessa contenere principi - limite della legislazione regionale, osservava che la dottrina più autorevole non riscontra alcuna differenza tra i principi ed i criteri direttivi di cui all'art. 76 della Costituzione e riteneva che il legislatore statale possa dettare criteri uniformi di merito (o più esattamente di interessi) che, al tempo stesso, ravvisi come indispensabili limiti all'autonomia legislativa regionale concorrente.

Nulla vieta di rinvenire la sede, dove quei principi possono essere indicati o donde possono essere desunti, anche in una legge di delegazione: anche questa, infatti, é norma di produzione giuridica, proprio in ragione della necessaria specificità e dell'oggetto della delega e dei principi e criteri a cui essa deve obbedire e del fatto che il Parlamento, con una sovrana deliberazione e manifestazione, esprime una chiara indicazione di preferenze, di interessi e di indirizzi. Ed é una valutazione a parte quella che dovrà essere fatta in concreto, per ricercare i principi - limite per attività legislativa regionale.

In relazione alle singole censure, infine, il Commissario dello Stato osservava: che, in materia di consiglio di disciplina, é principio - limite (ricavabile anche dalla legge di delega) che esso debba essere un collegio di pari, cioè di rappresentanti delle stesse categorie a cui l'incolpato appartiene; che la norma relativa (art. 5), invece, inserisce nel consiglio di disciplina rappresentanti estranei alla categoria dei docenti; e che non vale addurre a proposito dell'intera composizione del consiglio (e se mai per una sezione autonoma di esso) che accanto al personale docente vi é quello non docente; e, in relazione agli artt. 23, 24, 25 e 27 della legge, che il titolo di abilitazione all'insegnamento é un presupposto indispensabile per l'immissione nei ruoli secondo le leggi generali dello Stato e che eccezionalmente, al suo posto, é stato considerato sufficiente il superamento dei cosiddetti "corsi abilitanti" e cioè l'accertamento dell'idoneità del docente ai fini del suo passaggio dalla posizione di supplente o incaricato a quella di stabilizzato.

4. - All'udienza del 20 febbraio 1974 il sostituto avvocato generale Giorgio Azzariti per il Commissario dello Stato e l'avv. Antonino Sansone per il Presidente della Regione siciliana svolgevano le ragioni a sostegno delle rispettive richieste.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con il ricorso indicato in narrativa, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana chiede che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 17 dello Statuto di quella Regione, della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 21 dicembre 1973, recante "Provvedimenti per gli Istituti regionali d'arte e per l'Istituto tecnico femminile di Catania".

Assume che codesta contrarietà ricorra a proposito delle norme contenute negli artt. 5 (sulla composizione del consiglio di disciplina per il personale scolastico), 6 (sulla composizione del consiglio d'amministrazione dell'istituto d'arte, sulla partecipazione a detto consiglio del direttore dell'istituto e sulla scelta e nomina del presidente del consiglio d'amministrazione), 7 (sulla posizione del direttore dell'istituto, quale organo responsabile dell'attuazione delle deliberazioni del consiglio d'amministrazione), e 23, 24, 25 e 27 (che, disciplinando in via transitoria, le modalità relative all'assunzione in ruolo del personale docente che presta attualmente servizio negli istituti regionali in questione, non prevedono tra i requisiti fondamentali per l'immissione in ruolo, il possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, ove risulti prescritto per determinate materie dal vigente ordinamento scolastico).

Ritiene che nelle norme indicate il legislatore regionale non avrebbe osservato i limiti dei principi ed interessi generali a cui si informa la legislazione dello Stato ed il provvedimento impugnato non sarebbe rivolto a soddisfare le condizioni particolari e le esigenze proprie della regione.

Ed infine precisa che la normativa de qua non si allinea a taluni precetti fondamentali oppure travalica i limiti posti dalla legge 30 luglio 1973, n. 477 (che stabilisce i lineamenti generali ed i criteri a cui dovrà uniformarsi la legislazione statale in materia di istruzione elementare, secondaria ed artistica), e, a proposito dell'art. 5, anche dalla legislazione statale in materia; e che gli artt. 23, 24, 25 e 27 vanno contro i principi della legislazione statale in materia (immissione in ruolo) di personale docente al di fuori delle procedure concorsuali.

2. - Nelle deduzioni ed in sede di discussione orale della causa, la difesa della Regione sostiene che le norme della legge di delega n. 477 del 1973, in base al disposto dell'art. 19, comma secondo di essa, non siano applicabili ad essa Regione in quanto regione a statuto speciale; che l'applicabilità di quelle norme sia del pari esclusa perché gli istituti in oggetto sono regionali e pareggiati; e che in definitiva e comunque, nella legge di delega non si possano rinvenire o da essa non possano essere tratti (e sino a quando, in attuazione della stessa non siano emessi i decreti delegati) i principi ed interessi generali di cui all'art. 17 dello Statuto.

Le tre considerazioni sono in modo evidente connesse e quindi ne é possibile una valutazione complessiva.

Posto che si é in presenza di una attività legislativa regionale a svolgimento di competenza concorrente statutariamente garantita (art. 17 lett. d) (e quindi non dovrebbe rilevare la natura giuridica degli istituti di istruzione artistica e media ai quali la legge si riferisce), e che il ricorrente non si riporta a sostegno della denuncia di incostituzionalità, a norme della legge n. 477 del 1973 ritenute immediatamente operative e destinate alla generalità dei cittadini (e quindi alla detta legge di delegazione quale atto di produzione giuridica), a proposito dell'ultima osservazione c'é solo da ricordare che, anche se indubbiamente con la legge di delega il Parlamento delibera ed esprime una indicazione di preferenze, di interessi, di indirizzi, una legge del genere é soltanto fonte di un potere governativo, ha valore preliminare e necessità di essere integrata dall'atto di esercizio della delegazione (sentenza n. 111 del 1972) e per ciò in essa, e nella specie, nella citata legge n. 477 del 1973, non possono rinvenirsi limiti alla competenza legislativa concorrente di cui all'art. 17 dello Statuto della Regione siciliana.

Pertanto, mentre si deve rilevare che, appena saranno emessi e diverranno operanti i decreti delegati, la legislazione regionale, siccome la stessa difesa della resistente non manca di dare atto, dovrà attenersi ai principi che caratterizzeranno quella statale, risultano non fondate le denunce relative alle norme che, secondo il ricorrente, sarebbero in contrasto unicamente con i principi ed interessi generali a cui si informerebbe la legge di delegazione de quos.

Tale conclusione vale per le impugnative concernenti gli artt. 6 e 7 della legge regionale. Ed infatti, secondo il Commissario dello Stato, l'art. 6 sarebbe costituzionalmente illegittimo solo perché prevede per i consigli di amministrazione degli istituti d'arte una composizione diversa da quella stabilita, per i consigli dei corrispondenti istituti statali, con l'articolo 6 della legge n. 477; e l'art. 7 solo perché stabilisce che il direttore dell'istituto é l'organo responsabile dell'attuazione delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, e la ripetuta legge statale affida le medesime attribuzioni ad altro organo di governo dell'istituto, e precisamente alla giunta esecutiva, a sua volta eletta dal consiglio d'istituto e presieduta dal direttore didattico o dal preside.

3. - Resta da valutare se sia fondata o meno l'impugnativa rivolta nei confronti delle altre norme.

a) A proposito dell'art. 5 la Corte osserva, a precisazione di quanto sopra esposto, che, secondo il ricorrente, alla composizione del consiglio di disciplina per il personale scolastico (direttivo, insegnante e non insegnante) stabilita da tale norma non corrispondono non solo quella prevista dall'art. 8, comma terzo, della legge n. 477, ma neppure, siccome specificato nella memoria, le strutturazioni disposte da varie leggi dello Stato per altri consigli dello stesso genere. Ed é dell'avviso che, pur dovendosi ovviamente prescindere dallo specifico contenuto delle possibili norme di raffronto, dalla legislazione statale vigente si possa trarre il principio generale che la maggioranza dei componenti dei consigli di disciplina é di regola costituita da rappresentanti del personale latamente considerato, di cui fanno parte i dipendenti assoggettabili a giudizio. Ed infatti al riguardo basta riportarsi alla legge 19 maggio 1955, n. 160, artt. 5 e 16, al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 148, e alla legge 5 marzo 1961, n. 90, art. 48.

D'altra parte il rilevato principio generale é coerente con una diffusa istanza che trova anche riscontro nell'affermazione della stessa difesa della Regione, secondo cui la logica interna del sistema comporta l'enucleazione del principio della proiezione nell'organo, degli interessi di tutte le categorie alle quali é rivolto.

Il consiglio di disciplina previsto dall'art. 5 della legge impugnata, invece, comprende un solo componente su cinque in rappresentanza del personale direttivo insegnante e non insegnante, e quindi non riflette le esigenze di tutela, con il rispetto dei principi di effettiva rappresentatività e democraticità, delle componenti del personale scolastico per cui esso consiglio é predisposto.

E pertanto la norma de qua risulta viziata da illegittimità costituzionale.

b) A proposito degli artt. 23, 24 e 25 che si prestano ad essere valutati unitariamente perché riferentisi, e là ove si riferiscono, al personale insegnante incaricato a tempo indeterminato negli istituti regionali d'arte, nelle scuole medie annesse e nell'istituto tecnico femminile di Catania, per cui é prevista la nomina in ruolo a domanda a decorrere dal 1 ottobre 1974 (artt. 23, comma primo, e 24, per quanto di ragione) ovvero l'inclusione in graduatorie regionali, con titolo all'assunzione in ruolo (art. 25, commi primo, quarto e quinto), ricorrono le condizioni perché di detti articoli e nelle parti appresso indicate venga dichiarata l'illegittimità costituzionale.

Non é dubbio che secondo la legislazione statale, per l'immissione in ruoli ordinari, per la permanenza in ruoli speciali, per la non licenziabilità e per la stabilità del personale insegnante non di ruolo, in questo dopo guerra, sia stato di regola richiesto il possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, almeno ove il requisito sia prescritto per la partecipazione ai concorsi per la copertura dei posti di ruolo: così, sono chiaramente indicativi il decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 1127, le leggi 3 agosto 1957, n. 744, 12 agosto 1957, n. 799,28 luglio 1961, n. 831, 31 dicembre 1962, n. 1859, 27 dicembre 1964, n. 1105, 29 marzo 1965, n. 336, 25 luglio 1966, n. 603, 20 marzo 1968, n. 327, 7 ottobre 1969, n. 748 (modificata dall'articolo unico della legge 26 luglio 1970, n. 571), d.l. 19 giugno 1970, n. 366 (convertito nella legge n. 571 del 1970), e legge 6 dicembre 1971, n. 1074.

Il possesso dell'abilitazione non é (o non é soltanto) richiesto ai fini dell'insegnamento, sibbene (e fondamentalmente) a quelli dell'inquadramento, immediato o mediato, nei ruoli: per l'insegnante che aspira a codesta immissione senza concorso, quel titolo, conseguito attraverso un esame di Stato o mediante corsi abilitanti o eccezionalmente con un corso speciale, costituisce, infatti, un probante attestato circa il grado della sua preparazione professionale (culturale e didattica), indispensabile perché sia garantito un corretto svolgimento delle funzioni.

Nonostante ciò, pur riferendosi la richiesta del possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento ad un elemento essenziale della fattispecie costitutiva del rapporto di impiego de quo, nella legge regionale impugnata, e nelle dette norme, manca ogni previsione al riguardo.

Né può dirsi che tale omissione sia giustificata o che comunque non rilevi ai fini della pronuncia sulla avanzata domanda di dichiarazione di illegittimità costituzionale.

Il requisito non si presta, infatti, ad essere considerato non necessario, dato il tipo di scuole per cui lo si richiederebbe, ovvero impossibile, dato che il conseguimento dell'abilitazione non sarebbe consentito per determinate materie, e per altre, da anni, ad esso gli aspiranti materialmente non sarebbero potuti pervenire.

In realtà, in queste osservazioni c'é del vero, per ciò che per alcuni insegnamenti che vengono impartiti negli istituti e scuole a riferimento, anche per l'eccezionale specialità dei settori in cui talune di queste istituzioni operano, non é in fatto sentito il bisogno e realizzabile la possibilità di un approfondimento della materia a livello di abilitazione, e perché giuridicamente, e sempre per alcuni insegnamenti, non é previsto il conseguimento del titolo.

Per i rimanenti insegnamenti, invece, si é avuta la possibilità giuridica e materiale (anche se per il personale docente degli istituti d'arte, statali e regionali, in modo non pieno ed incondizionato) di essere in possesso del relativo titolo.

E per ciò, entro tali limiti, la mancata previsione del ripetuto requisito non può non rilevare ai fini del presente giudizio. Un principio generale (e tale indubbiamente deve dirsi quello sopra enucleato dalla legislazione statale) non risulta osservato dal legislatore regionale con la legge impugnata.

Da ciò consegue che gli artt. 23, 24 e 25 della legge regionale impugnata sono costituzionalmente illegittimi nelle parti in cui si esclude che ai fini della nomina in ruolo prevista dal primo comma dell'art. 23 e dall'art. 24, e della inclusione in graduatorie regionali di cui al primo comma dell'art. 25, é richiesto e deve essere accertato nei confronti del personale insegnante il possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, ove questo risulti prescritto per determinate materie dal vigente ordinamento scolastico.

c) Alle norme contenute nell'art. 27, concernenti la immissione in un ruolo speciale ad esaurimento degli insegnanti che si trovino nelle particolari condizioni indicate nello stesso articolo, sostanzialmente non si riferisce la denuncia rivolta dal Commissario dello Stato con il punto 4) del ricorso. E ciò perché a base di essa sta la preoccupazione che all'insegnamento di date materie sia destinato, previa immissione nei ruoli, personale non abilitato, e nell'ipotesi che ora si considera, invece, il personale di cui si tratta é destinato ad attività parascolastiche ed integrative della scuola. La denuncia quindi non appare fondata.

4. - Dalle considerazioni che precedono discende che sono da dichiarare costituzionalmente illegittimi l'art. 5 e gli artt. 23, 24 e 25 nella parte sopra indicata, e non l'intera legge.

Nonostante che l'impugnativa sia formalmente rivolta alla legge nel suo complesso, le accuse di incostituzionalità invero si riferiscono, infatti, a dati articoli o a date norme; e poi l'illegittimità costituzionale a cui si perviene, non é tale da importare quella dell'intera legge, godendo le rimanenti parti di essa della necessaria autonomia e potendo il legislatore regionale, in tema di composizione del consiglio di disciplina per il personale scolastico, adottare successivo e separato provvedimento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 21 dicembre 1973, recante "Provvedimenti per gli Istituti regionali d'arte e per l'Istituto tecnico femminile di Catania", nonché degli artt. 23, 24 e 25 della stessa legge, nella parte in cui si esclude che "ai fini della nomina in ruolo prevista dal primo comma dell'art. 23 e dall'art. 24, e della inclusione in graduatorie regionali di cui al primo comma dell'art. 25, é richiesto e deve essere accertato nei confronti del personale insegnante il possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, ove questo risulti prescritto per determinate materie dal vigente ordinamento scolastico";

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6, 7 e 27 della sopraddetta legge, sollevate in riferimento all'art. 17 dello Statuto della Regione siciliana, dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 marzo 1974.