SENTENZA N. 4
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, lett. c, del d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283 (concessione di amnistia e indulto), promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1971 dal giudice
istruttore del tribunale di Belluno nel procedimento penale a carico di De Bastiani Piergiorgio ed altri, iscritta al n. 223 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 14 luglio 1971.
Visti l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di De Bastiani Piergiorgio;
udito nell'udienza pubblica del 21 novembre 1973 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;
uditi gli avvocati Flavio Dalle Mule e Gerolamo Rossi, per il De Bastiani, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di De Bastiani Piergiorgio, Di Marco Donato, Costanzo Salvatore e Brunat Ferruccio, imputati del reato di peculato militare - previsto dagli artt. 110 e 81, cpv., c.p. e dall'art. 215 del c.p.m.p. (per essersi in concorso tra di loro, gli ultimi tre nella loro qualità di ufficiali incaricati di funzioni amministrative, appropriati a profitto proprio ed altrui di generi alimentari dei quali avevano il possesso per ragioni del loro ufficio, generi che poi vendevano al primo) - il giudice istruttore presso il tribunale di Belluno ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 5, lett. c, del d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Ad avviso del giudice a quo la norma impugnata - che prevede la concessione di amnistia per il reato di peculato di cui all'art. 314 c.p. quando, esclusa l'ipotesi di appropriazione, risulti che la distrazione del denaro o d'altra cosa mobile sia stata compiuta per finalità non estranee a quelle della pubblica Amministrazione - non sarebbe applicabile alla ipotesi meno grave di peculato prevista dall'art. 215 del codice penale militare anche se questo dovesse essere stato commesso per finalità non estranee a quelle della pubblica Amministrazione.
Evidente quindi sarebbe la disparità di trattamento e conseguente violazione del principio di uguaglianza.
L'eccezione che a questo principio di pari trattamento pone l'art. 5, lett. c, espressamente richiamando la sola figura del peculato prevista dall'art. 314 c.p. e non la omogenea corrispondente figura del peculato previsto dall'art. 215 c.p.m.p., non appare giustificata, né trova alcun ragionevole fondamento.
Ritenuta pertanto la rilevanza della indicata questione, il giudice istruttore con propria ordinanza del 16 marzo 1971 ha rimesso gli atti del giudizio a questa Corte.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito il solo imputato De Bastiani Piergiorgio, rappresentato e difeso dagli avvocati Flavio Dalle Mule e Gerolamo Rossi ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
Nelle proprie deduzioni, depositate in cancelleria il 12 giugno 1971, la difesa del De Bastiani osserva che l'art. 5, lett. c, del d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283, pone in essere una evidente disparità di trattamento tra colpevoli del più grave reato previsto dall'art. 314 c.p. che beneficiano dell'amnistia e colpevoli del reato di peculato militare (figura criminosa ritenuta meno grave dal legislatore) che sono invece esclusi dal provvedimento di clemenza. In tal modo un medesimo comportamento delittuoso, che trova una diversa qualificazione giuridica solo per la condizione di "militare" o meno del soggetto attivo, riceve un trattamento differenziato in violazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge sancito dalla Costituzione.
La sollevata eccezione di incostituzionalità, ad avviso della difesa, sarebbe in special modo fondata in relazione alla posizione dell'imputato De Bastiani il quale, pur non rivestendo la qualifica di " militare" essendo a tutti gli effetti un civile, viene tuttavia a rispondere di peculato militare, ai sensi dell'art. 14 del c.p.m.p., per concorso in tale reato con appartenenti alle forze armate dello Stato.
Né sussistono valide ragioni che giustifichino la diversità di trattamento riservata ad un reato sostanzialmente identico a quello sanzionato dall'art. 314 del codice penale. Questo diverso trattamento non riguarda invero una ben definita e determinata categoria di individui per la quale il legislatore abbia voluto dettare una disciplina diversa, ma piuttosto colpisce delle persone che solo accidentalmente, per aver concorso nel reato con altri soggetti aventi lo status di militari, sono assoggettati - per ragioni di economia di giudizi - alla legge penale militare, anziché alla legge penale ordinaria.
Nelle proprie deduzioni, depositate il 30 luglio 1971, la Avvocatura dello Stato esprime in via preliminare dei dubbi sulla rilevanza della proposta questione osservando che l'art. 5, lett. c, del d.P.R. n. 283 del 1970 prevede l'amnistia "per il delitto di cui all'art. 314 del codice penale, quando, esclusa la ipotesi di appropriazione, risulti che la distrazione del danaro o altra cosa mobile sia stata compiuta per finalità non estranee a quelle della pubblica Amministrazione". Ora nel caso di specie, in cui tre militari si sono appropriati di generi alimentari che hanno poi venduto ad un terzo non militare, non può ritenersi che ricorra l'ipotesi astratta di causa estintiva di reato preveduta dalla norma impugnata, giacché é da escludere che rientri fra le finalità della pubblica Amministrazione l'operato di militari che per profitto personale vendono ad un terzo generi alimentari dei quali avevano il possesso per ragioni di ufficio. Non si riesce in altri termini a scorgere alcun nesso logico tra l'imputazione ascritta ai prevenuti e l'applicazione della causa estintiva prevista dalla norma
denunciata essendo evidente che questa norma non potrebbe essere applicata alla fattispecie. Passando al merito l'Avvocatura afferma che la questione é infondata. Il decreto di clemenza pur
non facendo distinzione fra reati comuni e reati militari ha in taluni casi specificamente indicato determinati reati con citazione dell'articolo e relativa rubrica. In detti casi é evidente che la normativa d'eccezione non può estendersi a reati militari non espressamente richiamati. É pertanto da concludere che il legislatore, promulgando la legge di delegazione per la concessione dell'amnistia, mentre non ha inteso distinguere tra reati comuni e reati militari, per quanto attiene alla concessione dei provvedimenti di clemenza in " generale", fondati esclusivamente sulla quantità della pena inflitta e da infliggere, abbia per contro inteso operare una scelta nei confronti di quei reati singolarmente enunciati: ciò per evidenti ragioni di politica legislativa che si sottraggono al sindacato della Corte costituzionale.
La speciale natura del peculato militare, ad avviso dell'Avvocatura, é di per sé sufficiente a giustificare anche sul piano logico la scelta operata dal legislatore nella sua discrezionalità.
Considerato in diritto
1. - L'Avvocatura dello Stato ha in via pregiudiziale eccepito l'inammissibilità per difetto di rilevanza rispetto al giudizio principale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, lett. c, del d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. L'eccezione é stata formulata sulla base del testo letterale del capo di imputazione nel quale viene contestato ai prevenuti il delitto di peculato militare previsto dall'art. 215 c.p.m.p., per essersi appropriati a profitto proprio e altrui di generi alimentari appartenenti alla amministrazione militare. Secondo l'Avvocatura non sarebbe applicabile a detta fattispecie la norma impugnata poiché questa ammette al beneficio dell'amnistia il delitto di peculato previsto dall'art. 314 c.p. non per la ipotesi di appropriazione, bensì per quella di distrazione e nei soli casi in cui "la distrazione del denaro o altra cosa mobile sia stata compiuta per finalità non estranee a quelle della pubblica amministrazione".
L'eccezione é da respingere.
Dall'ordinanza 16 marzo 1971 qui in esame si desume che il giudice istruttore del tribunale di Belluno ha puntualmente formulato e motivato il proprio giudizio di rilevanza a termini dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. L'ordinanza, infatti, richiama le conclusioni scritte del pubblico ministero ed in queste é dato leggere che la richiesta di trasmissione degli atti alla Corte per la declaratoria d'incostituzionalità della norma denunciata muove dalle considerazioni che " dall'istruttoria non é risultato che gli imputati si siano appropriati delle somme ricavate dalla vendita dei generi alimentari", che "é risultato, invece, che somme provenienti da tali operazioni sono state
spese per acquistare beni rimasti in dotazione della caserma", ragion per cui "in mancanza di documentazione... é da ritenere che nel caso si tratti di peculato per distrazione compiuto per finalità non estranee a quelle della pubblica Amministrazione".
Le considerazioni anzidette sono state condivise dal giudice istruttore il quale, espressamente motivando sulla applicabilità della norma impugnata al processo dinanzi a lui pendente, ha rilevato che dall'eventuale dichiarazione d'incostituzionalità della stessa discenderebbe l'ammissione degli imputati al beneficio dell'amnistia.
2. - Venendo al merito della proposta questione, occorre statuire se sia in contrasto con l'art. 3 Cost. la norma contenuta nell'art. 5, lett. c, del d.P.R. n. 283 del 1970 per aver riservato la concessione di amnistia alla sola ipotesi di peculato prevista dall'art. 314 c.p. - limitatamente ai casi in cui la distrazione del denaro o d'altra cosa mobile sia stata compiuta per finalità non estranee a quelle della pubblica Amministrazione - e non avere ammesso allo stesso beneficio la corrispondente ipotesi, peraltro meno grave, di reato di peculato militare di cui all'art. 215 c.p.m.p., quando anch'esso sia stato compiuto per le stesse finalità.
La questione é fondata.
Non v'ha dubbio che spetti al legislatore la scelta del criterio di discriminazione tra reati amnistiabili o non e che la valutazione delle ragioni di politica criminale in ordine alla ammissibilità o meno di un determinato reato al beneficio della clemenza é rimessa all'apprezzamento discrezionale del legislatore e non può essere sindacata in questa sede. Va, tuttavia, affermato che siffatto potere deve
essere contenuto nei limiti della razionalità e che quando ricorrano casi, come quello di specie, in cui la sperequazione di trattamento normativo per figure omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi considerare sorretta da alcuna ragionevole giustificazione il controllo della Corte non può essere disconosciuto.
Ora non può negarsi che tra il delitto di peculato previsto dall'art. 314 c.p. e quello di peculato militare di cui all'art. 215 c.p.m.p. sussiste una sostanziale identità, chiaramente riscontrabile, del resto, nel testo dei rispettivi articoli. I due reati hanno in comune l'elemento materiale e l'elemento psicologico. Identico é, infatti, il loro contenuto, in entrambi offensivo dello stesso bene che si é voluto proteggere: denaro e cose mobili appartenenti allo Stato; identica, altresì, l'azione tipica delle due azioni criminose concretantesi nell'appropriazione o distrazione di beni da parte di soggetti attivi aventi una specifica qualifica (pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio e militare incaricato di funzioni amministrative o di comando).
Non si riesce, pertanto, a vedere quali obbiettivi e apprezzabili ragioni abbiano potuto indurre il legislatore ad una diversa valutazione delle anzidette figure delittuose e a disporre, quindi, un differente loro trattamento ai fini della amnistia.
Nelle altre disposizioni concernenti l'amnistia non é fatta, peraltro, alcuna discriminazione tra reati militari e reati non militari, sicché, anche sotto questo aspetto, non appare giustificata e va conseguentemente dichiarata costituzionalmente illegittima la norma di cui all'art. 5, lett. c, del d.P.R. n. 283 del 1970 nella parte in cui omette di prevedere, e quindi esclude, la concessione di amnistia al peculato militare, in quegli stessi termini e alle stesse condizioni per le quali il beneficio di cui trattasi é stato accordato al peculato comune.
La dichiarazione di incostituzionalità va ovviamente pronunciata anche nei confronti del corrispondente art. 5, lett. c, della legge 21 maggio 1970, n. 282, Contenente "delegazione al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia e di indulto".
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, lett. c, della legge 21 maggio 1970, n. 282, e dell'art. 5, lett. c, del d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283, nella parte in cui non prevedono l'applicazione dell'amnistia per il delitto di peculato militare di cui all'art. 215 del codice penale militare di pace quando, esclusa la ipotesi di appropriazione, risulti che la distrazione del denaro o altra cosa mobile sia stata compiuta per finalità non estranee a quelle della pubblica Amministrazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI – Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Luigi BROSIO - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 14 gennaio 1974.