SENTENZA N. 117
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932 (norme di attuazione e coordinamento della legge 18 giugno 1955, n. 517), promossi con ordinanze emesse il 23 ed il 30 giugno 1971 dalla sezione istruttoria della Corte d'appello di Palermo nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Failla Guido e Billone Serafina e di Cardile Ignazio, iscritte ai nn. 322 e 323 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 del 13 ottobre 1971 e n. 290 del 17 novembre 1971.
Udito nella camera di consiglio del 30 maggio 1973 il Giudice relatore Nicola Reale.
Ritenuto in fatto
Nel corso di due procedimenti penali a carico di persone imputate di falso ideologico e peculato ai danni della Regione siciliana nel primo, di omicidio colposo di una bambina, per omissione di cautele nell'esecuzione di opere pericolose, nel secondo, la sezione istruttoria della Corte d'appello di Palermo, con ordinanze di identico contenuto, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 25 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932, recante norme di attuazione della legge 18 giugno 1955, n. 517, con la quale furono apportate modificazioni al codice di procedura penale.
La sezione istruttoria ha premesso che in entrambi i procedimenti il giudice istruttore presso il tribunale di Palermo aveva dichiarato non doversi procedere a carico degli imputati. Ma contro queste decisioni era stata proposta impugnazione dalla Procura generale presso la stessa Corte, a norma dell'art. 387 c.p.p., perché fosse accertata la violazione, nel procedimento di primo grado, della normativa circa la partecipazione del p.m. agli atti istruttori, ai sensi dell'art. 185, n. 2, di detto codice, e fosse, quindi, disposta la rimessione degli atti allo stesso giudice istruttore per la rinnovazione del procedimento.
La sezione istruttoria - ha rilevato che all'accoglimento di quest'ultima domanda osta l'art. 6 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932 (contenente norme di attuazione e coordinamento della legge 18 giugno 1955, n. 517, modificativa di alcuni articoli del c.p.p.) in quanto esso prescrive che, il giudice di appello, ove dichiari la nullità della sentenza istruttoria per essersi verificata una delle ipotesi indicate nel citato art. 185, debba egli stesso procedere alla rinnovazione degli atti invalidi a norma dell'art. 189 del codice di procedura penale.
Sennonché la disposizione dell'art. 6 delle ricordate norme di attuazione apparirebbe in contrasto con gli artt. 24 e 25 Cost., in quanto priverebbe l'imputato di un grado di giurisdizione, con pregiudizio del diritto di difesa, e lo distoglierebbe dal giudice precostituito per legge per il procedimento istruttorio di primo grado.
Non essendosi costituita alcuna parte, a norma dell'art. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87, le due cause sono state fissate per la camera di consiglio del 30 maggio 1973.
Considerato in diritto
1. - L'art. 6 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932, recante norme di attuazione della legge 18 giugno 1955, n. 517, di modifica del c.p.p., stabilisce che il giudice d'appello il quale dichiara la nullità della sentenza istruttoria, impugnata a termini dell'art. 387 del codice predetto, per essersi verificata una delle nullità indicate nell'art. 185, procede direttamente a norma dell'art. 189. Orbene in forza di quest'ultima disposizione al giudice d'appello é attribuita la potestà di rinnovare o rettificare direttamente gli atti invalidi del procedimento istruttorio. Allo stesso giudice é poi demandato emettere il provvedimento conclusivo della istruzione.
Dal che deriva - assume il giudice a quo - che, nel caso di nullità dell'istruzione di primo grado, unico procedimento validamente svolto é quello definito dalla sezione istruttoria della Corte d'appello. All'imputato risulterebbe in tal guisa precluso il doppio grado della cognizione istruttoria, con conseguente limitazione del diritto di difesa, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione. E ricorrerebbe altresì violazione del principio del giudice naturale (art. 25 della stessa Costituzione) per il fatto che, nonostante la nullità della sentenza istruttoria, dichiarata con decisione rescindente della sezione istruttoria, la rinnovazione del procedimento (in sede rescissoria) non é rimessa al giudice istruttore competente per il primo grado, ma é attribuita allo stesso organo competente per l'impugnazione.
Le questioni non sono fondate.
2. - Questa Corte, con precedente sentenza (n. 41 del 1965), ha affermato (in relazione alla legittimità dell'art. 522, ultima parte, c.p.p.) che l'art. 24 della Costituzione garantisce il diritto di difesa dell'imputato in giudizio come effettiva possibilità di esplicazione, personale e con l'assistenza tecnica e professionale di un difensore, del potere di fare deduzioni e addurre prove a sua tutela, rimanendo assicurato il contraddittorio e rimosso ogni ostacolo all'accertamento giudiziale del fondamento dell'accusa.
Nella ricordata decisione é stato altresì chiarito che la garanzia della difesa si realizza non tanto con la duplicità della cognizione della causa da parte di giudici di merito diversi, ma con la possibilità concreta che nel processo vengano prospettate le domande e le ragioni delle parti, che non siano legittimamente precluse.
Anche nella specie, con riguardo alla normativa in esame e con riferimento alle accennate situazioni processuali, legittimanti l'esercizio dell'appello, deve ribadirsi che il doppio grado della cognizione di merito non ha rilevanza costituzionale e non inerisce, per necessaria implicazione, alla garanzia della difesa. E, con la dottrina processualistica, può ritenersi che il principio del doppio grado non esprime l'esigenza della piena cognizione in ogni grado della giurisdizione, ed in particolare nel giudizio di appello, ma si risolve in una garanzia pratica del miglior risultato delle decisioni. Sicché, senza contrasto coi precetti della Costituzione, il legislatore ordinario può diversamente strutturare il processo di appello disciplinando, nell'ambito della sua discrezione, l'effetto devolutivo del gravame e l'opportunità o meno della rimessione della causa al primo giudice. E ciò anche nelle ipotesi di gravame nelle quali si adducono nullità incidenti sul procedimento di primo grado.
Può aggiungersi che l'art. 111, secondo comma, della Costituzione, a garanzia dell'osservanza della retta attuazione giudiziale della legge, sancisce la inderogabilità del solo ricorso per cassazione, per motivi di legittimità, contro tutte le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunziati dagli organi ordinari o speciali.
3. - Ne consegue che la norma dell'art. 6, oltretutto non irrazionale in quanto riferibile a criteri di celerità ed economia di giudizi, non é incompatibile con la tutela costituzionale della difesa.
4. - Né la norma in questione é censurabile sotto il diverso profilo dell'asserita violazione dell'art. 25 della Costituzione.
Come emerge dall'interpretazione che di detta norma é stata adottata da questa Corte, il principio del giudice naturale é ispirato alla garanzia di obiettività ed imparzialità del giudizio e ha riferimento alla precostituzione del giudice al quale spetta di giudicare, nei limiti della cognizione propria di ciascuna fase processuale.
Con tale criterio non contrasta la disposizione in esame, volta appunto alla predeterminazione della competenza funzionale in sede di appello contro sentenze di proscioglimento del giudice istruttore.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932 (norme di attuazione e coordinamento della legge 18 giugno 1955, n. 517), sollevate, con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 24 e 25 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1973.
Francesco PAOLO BONIFACIO – Giuseppe VERZÌ – Giovanni BATTISTA BENEDETTI – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 10 luglio 1973.