SENTENZA N. 60
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, recante modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo, promossi con ordinanze emesse il 3 e il 17 febbraio 1971 dal tribunale di Parma sui ricorsi di Montagna Gianna contro Cocconi Dante e contro Abbati Marco, iscritte ai nn. 125 e 161 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 5 maggio 1971 e n. 151 del 16 giugno 1971.
Visti gli atti di costituzione di Cocconi Dante, Abbati Marco e Montagna Gianna e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 17 aprile 1973 il Giudice relatore Paolo Rossi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Del Greco, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio concernente la pretesa ineleggibilità di un Consiglio comunale, il tribunale di Parma ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, nella parte in cui attribuisce la competenza a decidere sulla validità delle delibere consiliari al tribunale locale, i cui membri siano elettori della stessa Amministrazione comunale, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione. In particolare, osserva l'ordinanza di rimessione, il principio dell'imparzialità del giudice risulterebbe violato dall'attribuzione ai componenti del collegio giudicante, in quanto elettori, della titolarità dell'azione popolare avverso le delibere consiliari, che legittimerebbe una loro partecipazione al giudizio.
É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto di deduzioni depositato l'11 maggio 1971, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione sollevata. Osserva la difesa dello Stato che, ove l'interesse del giudice alla controversia sottoposta alla sua cognizione rimanga al puro stato potenziale, esso non potrà incidere in maniera apprezzabile sulla primaria esigenza di imparzialità; qualora invece venga a delinearsi in maniera concreta, con riferimento a motivi specifici, soccorrerà la disciplina dell'astensione e della ricusazione. D'altronde l'interpretazione contraria, che riconoscesse l'inidoneità di un giudice ad esercitare le sue funzioni ogniqualvolta la controversia investisse un interesse generale, produrrebbe situazioni insolubili, non essendo concepibile un giudice insensibile agli interessi suddetti.
Si é costituito in questa sede anche l'ing. Dante Cocconi, contro ricorrente nel giudizio presso il tribunale di Parma, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Franco Bassi, chiedendo l'accoglimento della questione sollevata.
La parte privata, rilevato che i singoli giudici hanno l'obbligo di risiedere nel Comune ove esercitano le loro funzioni, osserva che essi avrebbero un proprio interesse, in quanto cittadini elettori, in ordine alla composizione di quel Consiglio comunale. Pertanto essi non si troverebbero nelle condizioni necessarie perché sia rispettato il principio di imparzialità quando giudichino nelle controversie elettorali.
2. - Nel corso di altro giudizio avente ad oggetto la legittimità della delibera di convalida del Consiglio provinciale di Parma, il medesimo tribunale ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, in riferimento al principio di imparzialità del giudice, garantito dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione.
Osserva il giudice a quo che le disposizioni impugnate violerebbero il principio di imparzialità perché consentirebbero ai componenti del collegio giudicante - quali elettori della Provincia, le cui delibere sono chiamati a giudicare - di decidere le controversie elettorali, pur essendo legittimati a partecipare in concreto a tali giudizi uti cives. Rileva il tribunale di Parma che l'istituto dell'astensione (art. 51 c.p.c.) non varrebbe ad eliminare siffatta conseguenza essendo esso dettato ad ovviare l'interesse privatistico del giudice, ma non quello pubblicistico, che gli deriva dall'attribuzione dell'azione popolare.
Si sono costituiti in questa sede la signora Gianna Montagna ed il dott. Marco Abbati, rappresentati e difesi dall'avv. Aldo Cremonini e dall'avv. prof. Franco Bassi, rispettivamente ricorrente e contro ricorrente nel giudizio dinanzi al tribunale di Parma, istando entrambi per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale prospettata.
Osserva la difesa della Montagna che l'attore popolare é portatore di un diritto di azione autonoma, agisce per realizzare una pretesa che é d'interesse pubblico ma anche proprio, ha un diritto soggettivo all'esercizio dell'azione ed un potere di intervento litisconsortile. Da ciò conseguirebbe che i componenti del collegio non giudicherebbero nelle condizioni di estraneità richieste dal principio costituzionale d'imparzialità.
La difesa dell'altra parte privata argomenta a favore dell'illegittimità della norma impugnata svolgendo sostanzialmente le stesse considerazioni riportate sopra.
Considerato in diritto
Le due ordinanze del tribunale di Parma sollevano una sola questione che va decisa con unica sentenza e può così riassumersi: se contrastino con il principio d'imparzialità del giudice (art. 101, 2 comma, Cost.) gli artt. 1 e 7 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, in quanto attribuiscono al tribunale avente sede nel Comune o nella Provincia la competenza a decidere le controversie relative alla eleggibilità a consigliere comunale o provinciale, mentre anche i giudici componenti il collegio, quali elettori, sono titolari della relativa azione popolare.
La questione é infondata.
La legge riconosce a tutti gli elettori del Comune e della Provincia (compresi ovviamente i giudici) l'interesse e il diritto, mediante l'azione popolare, ad impugnare le delibere dei Consigli comunali e del Consiglio provinciale in tema di eleggibilità. L'interesse così protetto é quello generale alla buona amministrazione, anche se a questo interesse possono sottostare altri di carattere personale, o di partito.
L'interesse astratto del giudice elettore alla buona amministrazione e la sua titolarità ad una azione elettorale correttiva non possono di per se renderlo meno imparziale. In caso opposto si dovrebbe concludere assurdamente che non vi é giudice capace di rendere vera giustizia quando la controversia rivesta un interesse generale, collettivo, pubblico, politico, di cui il magistrato stesso sia partecipe come uomo e come cittadino.
Se, invece, il giudice abbia in qualche modo partecipato all'impugnativa delle delibere consiliari, manifestato opinioni, o se in qualsiasi maniera venga a delinearsi un suo interesse particolare, soccorreranno i principi generali in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione, perfettamente applicabili anche ai giudizi in materia elettorale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (recante modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), sollevata, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe indicate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1973.
Francesco PAOLO BONIFACIO – Giuseppe VERZÌ – Giovanni BATTISTA BENEDETTI – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI
Arduino SALUSTRI – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 9 maggio 1973.