Sentenza n. 167 del 1972

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 SENTENZA N. 167

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

Avv. LEONETTO AMADEI

Prof. GIULIO GIONFRIDA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 216 del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 novembre 1971 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Urbino nel procedimento per misure di sicurezza a carico di Zoppo Bruno, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 104 del 19 aprile 1972;

2) ordinanza emessa il 10 settembre 1971 dal tribunale di Milano nel procedimento per misure di sicurezza a carico di Bellissimo Stefano, iscritta al n. 177 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158 del 21 giugno 1972.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 ottobre 1972 il Giudice relatore Leonetto Amadei;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di procedimento per incidente di esecuzione davanti al giudice di sorveglianza del tribunale di Urbino, Zoppo Bruno ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 216 del codice penale, in relazione agli artcoli 27, comma terzo; e 38 della Costituzione, per avere il legislatore omesso di distinguere tra soggetti abili e soggetti inabili al lavoro quando dispone che tutti coloro che si trovano nelle condizioni elencate ai numeri 1, 2 e 3 del citato art. 216 c.p., debbono essere assegnati ad una casa di lavoro o ad una colonia agricola.

Il giudice di sorveglianza, con ordinanza 11 novembre 1971, ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, disponeva la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il procedimento in corso sull'incidente di esecuzione.

La succinta motivazione dell'ordinanza fa perno sulla considerazione che l'art. 216 c.p. non prende in esame la "possibilità di lavorare", ma "l'obbligo di lavorare", per cui, per "la contraddizione che non lo consente", a tale obbligo non può essere assoggettato l'inabile al lavoro.

2. - Nel corso della trattazione di incidente di esecuzione avverso la sentenza del tribunale di Milano 16 aprile 1962, con la quale era stato dichiarato delinquente abituale e assegnato ad una colonia agricola per la durata minima prevista dalla legge, Bellissimo Stefano ha sollevato eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 216 c.p. in relazione all'art. 27, comma terzo, della Costituzione.

Il tribunale di Milano, con ordinanza 10 settembre 1971, ritenuta non manifestamente infondata l'eccezione, sia in relazione al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, sia anche in relazione all'art. 38 della stessa, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.

Il collegio milanese ha basato la sua motivazione su due considerazioni:

a) l'espressione "le pene", usata dal costituente nel comma terzo dell'art. 27, comprende tanto le pene in senso stretto, quanto le misure di sicurezza, per cui é da ritenersi inconcepibile una misura di sicurezza detentiva che consista in trattamenti contrari al senso di umanità e non tenda alla rieducazione del condannato;

b) poiché, in relazione al fine suespresso, l'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro comporta l'obbligo del lavoro, tale obbligo dovrebbe presupporre l'idoneità dell'internato a svolgere un'attività lavorativa. Mancando tale idoneità, l'assegnazione ad una casa di lavoro o ad una colonia agricola di una persona inabile al lavoro, si risolve in un trattamento contrario al senso di umanità, non idoneo, pertanto, a rieducare l'internato.

L'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, con atto di intervento 20 novembre 1971, ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte.

In ordine alla prima questione sollevata, l'Avvocatura dello Stato ha rilevato che, quantunque l'art. 27 della Costituzione si riferisca alle pene in senso stretto e non anche alle misure di sicurezza, tuttavia devesi riconoscere che l'attuale sistema delle misure di sicurezza non solo non esclude, ma anzi contempla espressamente la finalità rieducativa di esse. Osserva, altresì, che lo stesso sistema non é tale da esigere un tipo di lavoro impossibile per colui che non é idoneo a quel tipo di lavoro, per cui sarà sempre dato trovargli, nell'ambito della casa di lavoro o della colonia agricola, un'attività consona alle sue capacità e alle sue possibilità.

D'altra parte, qualora, sempre a parere dell'Avvocatura, si presentasse all'attenzione del giudice il caso di un delinquente abituale, non capace di svolgere alcuna attività, ciò non costituirebbe problema di legittimità costituzionale ma di politica legislativa, anche se, allo stato, il caso sarebbe risolvibile attraverso l'applicazione dell'art. 207, ultimo comma, c.p. (revoca della misura di sicurezza da parte del Ministro della giustizia).

Per quanto attiene all'asserita violazione dell'art. 38 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato non ritiene che possa parlarsi di violazione di tale norma costituzionale tenuto conto che il sottoposto a misura di sicurezza, oltre a fruire di tutte le prestazioni che lo Stato gli assicura per lo status in cui si trova, gode, anche, della pensione erogata dall'INPS.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due ordinanze investono la costituzionalità dell'applicazione della misura di sicurezza detentiva dell'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro a soggetti fisicamente debilitati, sotto il profilo che, non essendo tali soggetti capaci di svolgere un'attività lavorativa, l'applicazione stessa si risolve in una violazione degli artt. 27, terzo comma, e 38 della Costituzione.

La questione non é fondata.

2. - Il presupposto delle misure di sicurezza, nella loro diversa articolazione, poggia sulla pericolosità sociale del soggetto al quale vengono applicate. Esse non hanno carattere punitivo - e ciò le differenzia ontologicamente dalle pene -, ma solo funzione di prevenzione e difesa sociale. Tale differenziazione non viene meno neppure quando esse, come nella specie, statuiscono una limitazione della libertà personale. Ciò non toglie che a dette misure siano estensibili le garanzie costituzionali previste in tema di riduzione della libertà personale e, quindi, quantunque non vi sia nella norma costituzionale un diretto riferimento ad esse, anche le disposizioni contenute nell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, richiamate nelle due ordinanze.

In sostanza, qualsiasi intervento coercitivo in tema di libertà personale, ricollegabile al fatto reato, sia pure ai fini di una prevenzione speciale, come é quello delle misure di sicurezza, non può sottrarsi a finalità socialmente apprezzabili, quali il senso di umanità nel trattamento e la possibilità di determinare nel soggetto colpito un impulso diretto al suo recupero sociale.

L'indirizzare il sottoposto a misure di sicurezza detentiva ad una attività lavorativa é uno dei tanti aspetti in cui si sostanzia il processo di recupero e di riadattamento sociale.

Per quanto attiene alla misura di sicurezza della assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro, la scelta dell'una o dell'altra spetta al giudice, il quale deve valutare, in funzione di tale scelta, le particolari attitudini e le possibilità del sottoposto anche in relazione alle sue condizioni fisiche.

Tanto la colonia agricola, quanto la casa di lavoro offrono la possibilità di porre a disposizione del soggetto aspetti diversi e articolati di attività lavorative, anche minime, proprie di una comunità di lavoro autonomamente organizzata.

Tale possibilità viene meno solo nel caso in cui il soggetto sia incapace di azione e di movimento. In questa ipotesi, però, la legge offre opportuno valido rimedio, in quanto, se le condizioni fisiche del soggetto sono tali da far venir meno in concreto la probabilità che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati, ben può trovare applicazione, secondo il rilievo dell'Avvocatura dello Stato, l'ultimo comma dell'art. 207 del codice penale. Infatti, tanto l'interessato, quanto il giudice di sorveglianza possono rivolgersi al Ministro della giustizia al fine di provocare la revoca della misura di sicurezza, prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge.

Peraltro, non sempre può trovare applicazione l'ultimo comma dell'art. 207 del codice penale. Soggetti nella fisica impossibilità di agire, ben possono svolgere attività promotrice e direttiva nel complesso quadro delle manifestazioni penalmente illecite.

La pericolosità di tali soggetti deve essere necessariamente preveduta. In sostanza se il lavoro é il mezzo più idoneo per conseguire il riadattamento sociale del soggetto, tuttavia l'impossibilità fisica di questi a potervi attendere, non può far venir meno il fondamento giuridico su cui poggia la misura di sicurezza detentiva, quello di impedire che la persona socialmente pericolosa possa continuare liberamente a delinquere. Il lavoro é un aspetto dell'umanizzazione del trattamento, ma non é il solo. Atteso il fondamento giuridico delle misure di sicurezza, il problema sollevato rientra nel quadro delle attribuzioni della direzione generale degli istituti di prevenzione e pena sulla base delle disposizioni contenute nel regolamento carcerario (artt. 271 e 272).

Eventuali disfunzioni nel settore amministrativo non possono formare oggetto di un giudizio costituzionale, a meno che esse direttamente o indirettamente siano determinate da una ambigua formulazione di legge che si presti ad una interpretazione contrastante con le norme costituzionali. Quando la legge offre garanzia sul piano della legittimità costituzionale é compito del potere esecutivo rimuovere ogni disfunzione che si manifesti sul piano organizzativo.

3. - É da rilevare, infine, che le questioni prospettate nelle due ordinanze non investono l'art. 38 della Costituzione. L'inabile al lavoro, colpito da una delle due misure di sicurezza contemplate, non perde affatto i diritti previsti dall'art. 38, in forza del quale ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

Se questo la norma penale escludesse o si prestasse, nella sua interpretazione, ad escludere, fondamento assumerebbe la invocata eccezione; ma in effetti essa non arriva e non può arrivare a tanto. Essa non toglie all'inabile colpito dalla misura di sicurezza quei diritti riconosciuti dall'art. 38 a qualsiasi cittadino ove ne ricorrano i presupposti.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 216 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 27, terzo comma, e 38 della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Leonetto AMADEI

Depositata in cancelleria il 28 novembre 1972.