SENTENZA N. 163
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Michele FRAGALI, Presidente
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
Avv. LEONETTO AMADEI
Prof. GIULIO GIONFRIDA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 106, primo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1972 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Pitzalis Silvio, iscritta al n. 124 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 134 del 24 maggio 1972.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'11 ottobre 1972 il Giudice relatore Costantino Mortati;
udito il vice avvocato generale dello Stato Raffaello Bronzini, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di Silvio Pitzalis, il tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 22 febbraio 1972, dopo aver rilevato che all'imputato era stata contestata la recidiva specifica infraquinquennale, per aver riportato una precedente condanna di cui peraltro era cessata l'esecuzione per amnistia impropria, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 106 del codice penale, nella parte in cui stabilisce che agli effetti della recidiva si tiene conto delle condanne per le quali é intervenuta una causa d’estinzione del reato o della pena.
Il tribunale osserva che dalla norma denunziata può derivare una disparità di trattamento nell'applicazione della recidiva tra imputati che hanno beneficiato d’amnistia impropria e quelli che hanno fruito d’amnistia propria, non per una concreta diversità di situazione, ma per effetto esclusivo del tempo in cui sia intervenuta la sentenza definitiva dell'autorità giudiziaria. Tanto apparirebbe più evidente considerando che recenti provvedimenti di clemenza presuppongono, anche nell'ipotesi d’amnistia pronunziata a seguito di concessioni d’attenuanti o di giudizio di prevalenza di queste su eventuali aggravanti (art. 8 d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283; art. 5 d.P.R. 4 giugno 1966, n. 392), un accertamento di colpevolezza del soggetto, del tutto identico a quello che si ha quando il processo si conclude con una sentenza di condanna.
In particolare, il tribunale ha prospettato l'ipotesi di due persone imputate di concorso nello stesso reato, ma giudicate in tempi diversi, in dipendenza di una separazione di giudizio.
Quella tra le due persone che fosse giudicata dopo l'emanazione del decreto d’amnistia, pur essendo ritenuta colpevole, tuttavia fruirà dell'amnistia propria; l'altra invece, solo perché giudicata prima del provvedimento di clemenza, riconosciuta colpevole e condannata con sentenza divenuta irrevocabile, potrà beneficiare solo dell'amnistia impropria.
A ciò, secondo il tribunale, conseguirebbe una disparità di trattamento, in quanto colui che abbia beneficiato dell'amnistia impropria (a differenza di quello che abbia beneficiato dell'amnistia propria), qualora commetta un nuovo reato dovrà essere considerato recidivo, in virtù del tassativo disposto del primo comma dell'art. 106 del codice penale. Pertanto, ad avviso del giudice a quo, perché la predetta disposizione opererebbe un'ingiustificata discriminazione tra soggetti che si trovano "nell'identica situazione giuridica", la disposizione medesima violerebbe il principio stabilito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione.
L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
Questa, negato che in caso d’applicazione d’amnistia propria il giudice compia un accertamento di colpevolezza e respinta, quindi, la relativa pretesa parità di situazione tra sentenza di condanna irrevocabile e provvedimento d’applicazione d’amnistia propria, osserva che l'art. 106 del codice penale costituisce un'applicazione specifica del primo comma dell'art. 151 del codice penale che limita gli effetti del provvedimento di clemenza, in caso di condanna già intervenuta, alla cessazione dell'esecuzione di questa o delle pene accessorie. Razionale giustificazione di simile limitazione dovrebbe rinvenirsi nell'insopprimibile fatto storico dell'avvenuta condanna irrevocabile, documentazione giuridica di una reità che non può non continuare a sussistere e che, per sé stesso, può formare la base d’effetti penali ulteriori. Dopo aver ricordato che con sentenza n. 30 del 1964 la Corte costituzionale ha respinto, proprio in riferimento all'art. 3 Cost., un’eccezione relativa all'art. 151, primo comma, del codice penale, l'Avvocatura conclude chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza in oggetto denuncia il primo comma dell'art. 106 del codice penale, nella parte in cui dispone che, agli effetti dell'applicazione della recidiva, si tiene conto anche delle condanne per le quali sia intervenuta amnistia, nella considerazione che incorre in violazione dell'art. 3, primo comma, Cost. in quanto dà luogo ad una differenza di trattamento rispetto al caso in cui l'amnistia intervenga prima che sia stata pronunziata una condanna; differenza non giustificata tanto più quando si tenga presente che anche per l'applicazione dell'amnistia propria, cioé anteriore alla condanna, il giudice deve effettuare un giudizio di colpevolezza, tenendo conto delle circostanze che influiscono sulla pena, tutte le volte in cui il decreto d’amnistia condizioni la sua applicazione alla valutazione di tali circostanze.
2. - La questione così proposta deve ritenersi infondata.
Deve preliminarmente essere contestata l'affermazione dell'ordinanza per ultimo riferita, non essendo esatto che nel caso di amnistia propria si debba effettuare un vero e proprio giudizio di colpevolezza, sia pure al limitato fine della determinazione dell'entità della pena, poiché, invece, una volta intervenuta l'amnistia, non compete al giudice compiere un effettivo accertamento di sussistenza del reato, dovendosi egli limitare ad ipotizzare tale sussistenza in quanto necessario all'applicazione del provvedimento di clemenza, salvo nel caso previsto dall'art. 152 cod. proc. pen. della non punibilità del fatto imputato quando risulti di piena evidenza che esso non sussiste o non é previsto come reato o non é addebitabile all'indiziato. Si é pertanto in presenza di una obiettiva disparità tra le due situazioni prospettate, dato che in una di esse, mancando ogni accertamento definitivo di colpevolezza, non si rende possibile far derivare alcun effetto penale, mentre nell'altra l'ammissibilità di tali effetti trova fondamento nell'avvenuta e non più contestabile qualificazione che illecito penale del fatto di cui si é chiamati a rispondere. Sicché l'art. 151 cod. pen., quando dispone che l'amnistia sopravvenuta alla condanna fa cessare la sua esecuzione e le pene accessorie ma non gli altri effetti ad essa riconducibili, non induce lesione dell'art. 3 della Costituzione. In questo senso si é pronunciata la Corte con sentenza n. 30 del 1964 che, riguardo ad uno di tali effetti, quale quello dell'obbligo del condannato poi amnistiato al pagamento delle spese processuali, ebbe a ritenere la razionalità della differenziazione di disciplina, in corrispondenza alla diversità obiettiva costituita dall'esistenza o non esistenza di una sentenza di condanna al sopravvenire dell'amnistia. Pertanto la norma dell'art. 106 cod. pen., secondo cui, in caso di amnistia sopravvenuta alla condanna, si tiene conto di questa agli effetti della recidiva, appare in piena concordanza con l'art. 151 cod. pen. e, come questo, giustificata dalla sussistenza del presupposto del definitivo accertamento della colpevolezza, che manca nell'altro caso.
3. - L'incongruenza fatta presente dall'ordinanza del diverso trattamento riservato a colpevoli dello stesso reato in dipendenza della circostanza del tutto fortuita dell'essere stati giudicati prima o dopo dell'applicazione del provvedimento di amnistia, in realtà non sussiste perché, come si é detto, non é vero che nei due casi si verifichi, secondo si asserisce, una identica situazione processuale.
Quanto poi alla diversità che può nascere fra i trattamenti a riguardo di due soggetti imputati dello stesso reato per la circostanza fortuita del sopravvenire del decreto di amnistia in un momento anteriore o posteriore al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, é da osservare come essa sia espressione di una mera disparità di fatto, cui é estranea la legge e quindi rimanga irrilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 3 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata con l'ordinanza del tribunale di Milano, dell'art. 106, prima parte, del codice penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1972.
Giuseppe CHIARELLI - Costantino MORTATI
Depositata in cancelleria il 28 novembre 1972.