SENTENZA N. 130
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 538, secondo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 3 luglio 1970 dal pretore di Orvieto nel procedimento d’esecuzione mobiliare vertente tra la società Pilla e Valentini Elio, iscritta al n. 233 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 16 settembre 1970.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 1972 il Giudice relatore Michele Fragali;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il pretore di Orvieto, quale giudice dell'esecuzione, ha denunciato a questa Corte l'art. 538, secondo comma, del codice di procedura civile, per la parte in cui, per il procedimento di esecuzione mobiliare, dispone che, nell'asta di secondo incanto delle cose pignorate, sia ammessa qualsiasi offerta. Secondo il pretore, la norma contrasta con l'art. 3 della Costituzione, perché crea disparità di trattamento fra il debitore assoggettato a pignoramento mobiliare e quello assoggettato a pignoramento immobiliare, dato che l'art. 591, ultima parte, del codice di procedura civile, in questo secondo caso, fissa un prezzo minimo per il secondo incanto. La norma contrasta inoltre con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione, perché espone il debitore al rischio di perdere i suoi beni senza il giusto corrispettivo.
L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 16 settembre 1970.
2. - Innanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri ed ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Secondo il Presidente del Consiglio, la ragione della diversità di disciplina della vendita mobiliare e di quella immobiliare può rinvenirsi nel più ridotto valore dei beni mobili, ed é temperata dal particolare sistema che l'art. 539 del codice di procedura civile stabilisce per gli oggetti di oro e di argento; ma v'é da considerare inoltre la particolare onerosità del processo esecutivo quando serve a realizzare modesti crediti.
La possibilità dell'incanto a qualsiasi prezzo consente di ottenere il prezzo giusto delle cose pignorate; il pericolo paventato dal pretore attiene alla patologia dell'istituto, e cioé ad anomalie colpite penalmente.
3. - All'udienza del 9 maggio 1972 il rappresentante dell'Avvocatura generale dello Stato ha confermato le proprie tesi e conclusioni.
Considerato in diritto
Nell'art. 538, secondo comma, del codice di procedura civile non v'é quella lesione del principio di uguaglianza che il pretore denuncia.
Nella vendita mobiliare l'incanto posteriore al primo viene disposto senza nuova determinazione di un prezzo di base, necessaria invece nella vendita immobiliare (art. 591, secondo comma), perché é più ridotto il valore dei beni mobili, cosicché già nel provvedimento di cui all'art. 535, secondo comma, é determinata una base di incanto corrispondente alla minima stima. Così essendo, la fissazione di un altro prezzo irriducibile per le offerte potrebbe agevolare una nuova diserzione dall'incanto con pregiudizio dello stesso debitore che verrebbe gravato dell'aumento del costo dell'esecuzione talora in modo sproporzionato all'entità del debito. Il giusto prezzo non si raggiunge nemmeno attraverso la ripetizione dell'incanto senza base fissa, se intervengono turbative; contro le quali, a parte la vigilanza dell'ufficiale procedente, valgono le sanzioni apprestate dal codice penale.
Quanto all'altro profilo di illegittimità costituzionale addotto dal pretore, che cioé il sistema non garantisce al debitore il suo diritto di proprietà, perché egli rimane esposto al rischio di perdere i propri beni senza adeguato corrispettivo, é agevole obiettare che il debitore ha nel suo patrimonio l'importo integrale del credito per realizzare il quale si é proceduto, e pertanto non può ritenersi depauperato se i beni pignorati, nell'incanto successivo al primo, non vengono aggiudicati o vengono aggiudicati ad un prezzo inferiore alla stima originaria. Per giunta, quando l'asta rimanesse deserta e non avesse altri beni assoggettabili all'esecuzione, egli riavrebbe i beni pignorati, pur mantenendo nel suo patrimonio l'importo del credito rimasto insoddisfatto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 538, secondo comma, del codice di procedura civile, proposta dal pretore di Orvieto, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, con ordinanza 3 luglio 1970, per la parte in cui dispone che nel secondo incanto della vendita esecutiva mobiliare é ammessa qualsiasi offerta.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 1972.
Giuseppe CHIARELLI – Michele FRAGALI
Depositata in cancelleria il 12 luglio 1972.