Sentenza n. 129 del 1972

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 SENTENZA N. 129

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 66, quinto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di previdenza sociale), promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1970 dal tribunale di Genova nel procedimento per la dichiarazione di fallimento della società Gattmar, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 dell'8 luglio 1970.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale;

udito nell'udienza pubblica del 26 aprile 1972 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Antonio Giorgi, per l'INPS, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso della procedura fallimentare della società Gattmar a r.l. il giudice delegato ammetteva al passivo il credito dell'avv. Federico Brondi per prestazioni professionali e quello dell'Istituto nazionale della previdenza sociale per contributi insoluti, con la generica formula d'uso d’ammissione in sede privilegiata, e quindi senza alcuna precisazione sul grado dei rispettivi privilegi.

Lo stato passivo, dichiarato esecutivo dal giudice, diveniva definitivo.

Prima della formazione dello stato di ripartizione dell'attivo veniva pubblicata la legge 30 aprile 1969, n. 153, che conferisce ai crediti per contributi degli enti previdenziali il primo posto dell'ordine di prelazione di cui all'art. 2778 del codice civile, in luogo del sedicesimo di cui essi prima godevano e che, con disposizione transitoria, stabilisce che la nuova norma si applica anche ai crediti sorti anteriormente e il cui privilegio sia già stato fatto valere, purché la procedura relativa sia ancora in corso.

Allorché il giudice delegato formò lo stato di riparto, collocò perciò al primo grado il credito dell'INPS che, per l'ammontare, veniva così ad assorbire l'intero compendio dell'attivo.

L'avv. Brondi, che per l'innanzi godeva di privilegio più favorevole, perché al suo credito spettava il quattordicesimo posto, faceva pervenire le proprie osservazioni ai sensi dell'art. 110 legge fallimentare.

Nelle osservazioni e, sul rigetto di esse, nel successivo reclamo al Collegio, di cui all'art. 26 stessa legge, egli sosteneva, in primo luogo, che il nuovo ordine dei privilegi stabilito nel secondo comma dell'art. 66 della legge n. 153 del 1969, non poteva applicarsi in quel procedimento, non dovendosi ritenere "ancora in corso" in una procedura fallimentare la fase d’accertamento dei crediti e dei relativi privilegi dopo che sia esaurita la fase della formazione e della verifica dello stato passivo. In via subordinata, poi, e per l'ipotesi in cui si fosse ritenuto che, per effetto del quinto comma dell'art. 66 della detta legge n. 153, il nuovo ordine di privilegi sia applicabile anche nelle procedure fallimentari nelle quali la fase di verifica e di accertamento del passivo sia già conclusa, lo stesso avvocato Brondi sollevava eccezione di illegittimità costituzionale della norma suddetta, con riferimento agli artt. 24, comma primo e secondo, e 3 della Costituzione, in quanto quella norma, pur variando l'ordine dei privilegi, non tutelava il creditore danneggiato dalla variazione, ammettendolo a proporre quelle contestazioni dalle quali fosse decaduto ma che egli, quando il suo credito era poziore, non aveva avuto, per mancanza di interesse, né ragione né possibilità giuridica di proporre.

Il tribunale di Genova, con ordinanza di rinvio in data 12 febbraio 1970, respingeva la tesi del ricorrente, ma riteneva rilevante e non manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale, introducendo così il relativo giudizio incidentale.

Avanti la Corte si é costituito l'Istituto nazionale della previdenza sociale, sostenendo l’inammissibilità della questione di costituzionalità, per difetto di rilevanza, in quanto il giudizio a quo avrebbe potuto a suo dire essere risolto indipendentemente dall'esame della questione anzidetta, col rigetto della domanda dell'avv. Brondi, per mancanza di interesse a proporla, stante che il suo credito privilegiato, per essere preceduto nel piano di riparto da un credito dell'Esattore di maggiore importo, sarebbe rimasto in ogni caso incapiente.

Nel merito l'INPS sostiene l’infondatezza della questione, perché anche contro il credito privilegiato dell'INPS, benché allora graduato posteriormente al suo, l'avv. Brondi avrebbe sempre potuto proporre la contestazione la quale, per altro, non avrebbe potuto però essere accolta, in quanto il credito dell'INPS era fondato su decreti ingiuntivi non opposti e costituenti perciò giudicato.

Nel giudizio ha proposto intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri che sostiene l’infondatezza della dedotta questione di costituzionalità, per il motivo che la legge sopravvenuta non sarebbe applicabile al caso, perché l’intervenuta esecutività dello stato passivo, in cui i crediti dei quali si tratta erano stati collocati, avrebbe determinata, con la collocazione di essi in sede privilegiata, anche la definitività del giudizio sul grado del privilegio a ciascuno di essi spettante; giudizio che, pertanto, la nuova legge non avrebbe potuto mutare.

All'udienza, la difesa dell'INPS si é riportata alle già assunte conclusioni, mentre, l'Avvocatura dello Stato, preso atto dell'orientamento espresso al riguardo dalla Corte di cassazione, ha concluso come l'Istituto assicuratore, chiedendo che venisse dichiarata infondata la questione di legittimità proposta dal tribunale di Genova.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 66 della legge 30 aprile 1969, n. 153, sulla revisione degli ordinamenti pensionistici e delle norme in materia di sicurezza sociale, modifica, innovando profondamente la disciplina del codice civile, il grado del privilegio dei crediti per retribuzioni ed indennità dovute ai prestatori di lavoro subordinato e dei crediti per contributi dovuti ad enti, istituti e fondi speciali che gestiscono determinate forme di assicurazione obbligatoria, disponendo che tali crediti siano rispettivamente trasferiti dal quattordicesimo al sedicesimo grado, al primo posto nell'ordine di prelazione previsto dall'art. 2778 del codice civile. Lo stesso art. 66, nel quinto comma, stabilisce poi che le norme in esso contenute si applicano anche ai crediti sorti e fatti valere anteriormente all'entrata in vigore della legge, purché sia ancora in corso la relativa procedura.

L'ordinanza di rimessione assume che quest'ultima disposizione, riferita ad una procedura fallimentare in cui sia stato già reso esecutivo lo stato passivo, ma non sia stato ancora approvato il piano di riparto (artt. 97 e 110 l.f.), viola il diritto di difesa e il principio costituzionale di eguaglianza, perché non prevede alcuna forma di tutela per quei creditori che, non avendo titolo, per mancanza di interesse, a contestare, durante la fase di verificazione dello stato passivo, l'ammissione dei crediti assistiti da privilegi di grado inferiore, si trovano, in sede di ripartizione dell'attivo, in cui é esclusa ogni contestazione dei crediti ammessi, definitivamente posposti a quegli altri creditori cui il citato art. 66 ha attribuito un grado poziore.

2. - La difesa dell'INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione proposta dal tribunale di Genova, sostenendo che essa sarebbe irrilevante nel giudizio a quo, dal momento che il credito della parte, nei confronti della quale l'ordinanza di rinvio prospetta la violazione degli artt. 3 e 24, primo e secondo comma, della Costituzione, sarebbe rimasto comunque insoddisfatto, anche a prescindere dalla applicazione della norma impugnata.

L'eccezione non appare fondata.

Ed invero, la circostanza che il credito in questione é preceduto in sede di graduazione da un credito fiscale di tale entità da assorbire in ogni caso la somma da ripartire, non solo attiene ad una situazione di fatto che nel tempo é suscettibile di essere modificata, ma si presenta anche del tutto estranea alle rispettive posizioni delle parti nel procedimento camerale da cui é sorto il giudizio incidentale dinanzi a questa Corte.

Pertanto il giudizio sulla rilevanza espresso dal tribunale di Genova in relazione a quel procedimento, appare congruamente motivato, e, in quanto tale, esso é insindacabile in questa sede.

3. - É noto che l'applicazione dell'art. 66, quinto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, nelle procedure fallimentari in cui sia stato già approvato lo stato passivo, ma non sia ancora divenuto definitivo il piano di riparto, ha dato luogo, in dottrina e in giurisprudenza, a valutazioni e decisioni contrastanti. Secondo l'orientamento, divenuto prevalente dopo le decisioni emesse dalla Corte di cassazione, l'approvazione dello stato passivo, non esaurendo la procedura fallimentare, non preclude l'applicazione della nuova disciplina. Ciò sul presupposto che, nel processo fallimentare, l'accertamento del privilegio che assiste il credito ammesso al passivo si svolge in due fasi: nella prima, di verificazione dello stato passivo, l'indagine é limitata alla esistenza delle cause di prelazione in sé considerate, senza alcuna comparazione con i privilegi che assistono i crediti concorrenti; nella seconda, di ripartizione dell'attivo, in cui si procede invece alla graduazione dei privilegi e alla conseguente reciproca collocazione dei crediti, secondo il grado spettante a ciascuno di essi.

4. - Con riferimento alla articolazione di tale accertamento in due fasi, e alla efficacia comunemente attribuita al decreto di approvazione dello stato passivo (art. 96 l.f.), che preclude ogni contestazione sulla esistenza del credito e delle cause di prelazione che lo assistono, la difesa dell'INPS sostiene che, se un creditore concorrente non ha esercitato tempestivamente in quella sede il diritto di impugnazione nei confronti dei crediti ammessi, deve subire le conseguenze della sua inattività, ivi comprese quelle prodotte da una modificazione legislativa concernente il grado dei privilegi, che intervenga prima che si concluda la fase di ripartizione dell'attivo.

Tale rilievo, se é valido per quei creditori che pur avendone interesse, non si sono opposti all'ammissione di determinati crediti, non é pertinente per quegli altri creditori che, in rapporto a quei crediti la cui ammissione non pregiudicava la soddisfazione della loro pretesa, tale interesse non avevano. Il che appunto si verifica nel caso dei creditori privilegiati che, per carenza di interesse, non possono contestare crediti chirografari né crediti privilegiati assistiti da un privilegio di grado inferiore.

5. - Solo che si tengano presenti l'orientamento giurisprudenziale sulla applicazione dell'art. 66 della legge n. 153 del 1969, e i principi generali sopra ricordati sull'interesse ad agire, risulta evidente il contrasto della norma impugnata con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.

Quella norma, infatti, nel disporre che la modifica del grado dei privilegi si applica anche nelle procedure ancora in corso al momento dell'entrata in vigore della legge, altera sostanzialmente, quando sia già intervenuto il decreto di esecutività dello stato passivo, il meccanismo del processo fallimentare, perché, pur incidendo in modo tanto rilevante sulla situazione anteriore, non propone alcun rimedio per rimuovere, nei confronti dei creditori che, prima di quella disposizione, non potevano opporsi all'ammissione dei crediti previsti dall'art. 66, preclusioni che, irrimediabilmente, incidono sulla loro posizione processuale. Il che determina una situazione che é in contrasto con la garanzia di un regolare e normale svolgimento del contraddittorio.

Pertanto la norma impugnata non assicura ai creditori, cui più volte si é fatto riferimento, il diritto di difesa in modo adeguato ed effettivo e crea altresì una disparità di trattamento fra i suddetti creditori e tutti gli altri che fin da principio erano collocati posteriormente a quelli cui la legge ha ora conferito un privilegio di grado poziore.

Deve, quindi, dichiararsi l'illegittimità costituzionale dell'art. 66, quinto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui non prevede, nelle procedure fallimentari in cui sia stato reso esecutivo lo stato passivo, ma non sia stato ancora approvato il piano di riparto, il diritto del creditore pretermesso nel grado del privilegio a contestare i crediti fruenti prima di un privilegio inferiore.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 66, quinto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, contenente norme in materia di previdenza sociale, nella parte in cui non prevede che i titolari di crediti privilegiati, ammessi al passivo fallimentare in data anteriore all'entrata in vigore della detta legge, possano contestare i crediti che, per effetto della nuova disciplina, sono stati anteposti ai loro nel grado del privilegio.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Ercole ROCCHETTI

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1972.