SENTENZA N. 46
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 27 della legge 26 luglio 1965, n. 965 (contenente, tra l'altro, modifiche agli ordinamenti delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), nonché dell'art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85 (contenente miglioramenti ai trattamenti di quiescenza dei detti Istituti di previdenza), promosso con ordinanza emessa il 23 giugno 1970 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Donati Tullio, iscritta al n. 34 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo 1971.
Visto l'atto di costituzione di Donati Tullio;
udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1972 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
udito l'avv. Benedetto Bussi, per il Donati.
Ritenuto in fatto
Con decreto n. 5342 del 20 marzo 1969 la Cassa per le pensioni ai sanitari, facente parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, attribuiva a Tullio Donati, orfano maggiorenne del medico condotto Giuseppe Donati, pensionato e deceduto il 9 dicembre 1947, la pensione di riversibilità con decorrenza degli assegni dal 17 marzo 1968.
Avverso detto decreto ricorreva il Donati davanti alla Corte dei conti. Sosteneva tra l'altro che l'art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85, che estende agli orfani maggiorenni la norma già dettata per le orfane nubili o vedove (art. 27 della legge 26 luglio 1965, n. 965), contiene un rinvio sostanziale a questa norma e che quindi al trattamento pensionistico riconosciuto in base all'art. 8 deve essere data la stessa decorrenza del trattamento accordato in base all'art. 27 della legge n. 965 del 1965, realizzandosi per tal modo una parità di trattamento tra orfane ed orfani; e chiedeva che la decorrenza della pensione fosse fissata al 31 agosto 1965, data di entrata in vigore della legge n. 965 del 1965.
Di contrario avviso si dichiarava il Ministero del tesoro - Direzione generale degli istituti di previdenza - che a mezzo dell'Avvocatura dello Stato riteneva che il riferimento all'art. 27 della legge n. 965 doveva valere soltanto ai fini dell'accertamento dell'esistenza dell’invalidità e della nullatenenza alla data del 31 agosto 1965 e che all'art. 8 non poteva essere riconosciuta efficacia retroattiva.
Dello stesso parere era il pubblico ministero, il quale però osservava che relativamente alle norme in esame si profilava una questione di legittimità costituzionale, perché, per quanto concerne la decorrenza della pensione, si avrebbe un differente trattamento tra gli orfani a seconda del sesso, e ciò sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
La Corte dei conti, sezione III giurisdizionale, con ordinanza del 23 giugno 1970, rilevava che l'art. 27 della legge n. 965 del 1965 si riferiva unicamente alle orfane e che l'art. 8 della legge n. 85 del 1968 aveva carattere innovativo e, mancando un’espressa o implicita statuizione di efficacia retroattiva, era efficace solo dal 17 marzo 1968 (e cioé dalla data di entrata in vigore della legge stessa).
E riteneva che fossero in contrasto con l'art. 3, sia l'art. 27 della legge n. 965 del 1965, "nella parte in cui non prevede tra i soggetti di diritto a pensione gli orfani maggiorenni", sia l'art. 8 della legge n. 85 del 1968, "nella parte in cui non riconosce agli orfani maggiorenni il diritto a pensione con efficacia retroattiva dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 965".
La questione, ad avviso della Corte, sarebbe rilevante perché per il ricorrente al 31 agosto 1965 sussistevano tutti i requisiti prescritti, e non sarebbe manifestamente infondata perché la diversità di trattamento (data dalla mancata previsione - nell'art. 27 - degli orfani tra i soggetti di diritto a pensione e dalla mancata retroattività dell'art. 8) integrerebbe una discriminazione dei soggetti unicamente in base al sesso non sorretta da valide giustificazioni o spiegazioni.
L'ordinanza veniva comunicata, notificata e pubblicata.
Davanti a questa Corte si costituiva, a mezzo dell'avv. Benedetto Bussi, Tullio Donati il quale, con le deduzioni e con la memoria, insistendo sulla disparità di trattamento derivante dall’applicazione della norma contenuta nell'art. 8 della legge n. 85 del 1968 e relativa al periodo intercorrente tra il 31 agosto 1965 ed il 17 marzo 1968, chiedeva che, in parte qua, sia l'art. 27 che l'art. 8 fossero dichiarati costituzionalmente illegittimi. Non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
All'udienza del 26 gennaio 1972, l'avv. Bussi, per il Donati, insisteva nelle precedenti ragioni e richieste.
Considerato in diritto
1. - La Corte dei conti, con l'ordinanza di rimessione, denuncia per violazione dell'art. 3 della Costituzione, l'art. 27 della legge 26 luglio 1965, n. 965 (contenente, tra l'altro, modifiche agli ordinamenti delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro) nella parte in cui non comprende gli orfani di sesso maschile maggiorenni tra gli aventi diritto a pensione da parte delle dette Casse, nella particolare ipotesi che lo stato di invalidità al lavoro proficuo e la nullatenenza, ancorché non sussistenti alla data di morte dell'iscritto o del pensionato, fossero esistiti all'atto dell'entrata in vigore della legge stessa; nonché l'art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85 (contenente miglioramenti ai trattamenti di quiescenza dei detti Istituti di previdenza), nella parte in cui non riconosce ai detti orfani maggiorenni il diritto a pensione a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge n. 965 del 1965.
2. - L'art. 30, commi secondo e terzo, della legge 6 luglio 1939, n. 1035 (di approvazione del regolamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai sanitari), ha riconosciuto il diritto alla pensione (in mancanza della vedova o quando questa non vi abbia diritto) agli orfani minorenni ed alle orfane nubili minorenni del sanitario, ed ha parificato agli orfani minorenni gli orfani e le orfane nubili o vedove maggiorenni purché fosse provato che alla data della morte del sanitario erano a di lui carico e inabili in modo permanente a qualsiasi lavoro e fossero rimasti nullatenenti.
Con l'art. 27 della citata legge n. 965 del 1965, per le orfane nubili o vedove si é disposto che le stesse avessero diritto alla pensione di riversibilità anche se lo stato di invalidità al lavoro proficuo e la nullatenenza non fossero sussistiti alla data di morte dell'iscritto o del pensionato, ma di queste condizioni si fosse accertata la sussistenza all'atto dell'entrata in vigore della legge.
Con l'art. 8 della citata legge n. 85 del 1968, infine, la norma ora indicata é stata estesa agli orfani maggiorenni, ai genitori e ai collaterali.
Tali essendo lo sviluppo e lo stato della legislazione sul punto in contestazione, é intervenuta la denuncia de qua, rivolta - come si é detto - nei confronti dell'art. 27 della legge n. 965 del 1965, nonché dell'art. 8 della legge n. 85 del 1968.
3. - La norma dell'art. 27 concede il beneficio sopra specificato alle orfane e implicitamente lo nega nei confronti degli orfani maggiorenni.
Si é con ciò in presenza di un trattamento che non é unico per tutti i cittadini che si trovano nelle stesse condizioni, ma é differenziato a seconda del sesso dei destinatari.
Infatti, non possono non dirsi identiche la situazione delle orfane e quella degli orfani del dipendente, iscritto o pensionato, deceduto anteriormente al 31 agosto 1965 (data di entrata in vigore della legge n. 965 del 1965), qualora, tanto le une che gli altri, fossero a quella data in stato di invalidità al lavoro proficuo e nullatenenti. E codeste situazioni sono meritevoli di eguale valutazione e tutela da parte del legislatore, non potendosi ammettere che ai fini del diritto a pensione possa importare il fatto che i figli maschi del dipendente deceduto siano maggiorenni: una volta che per essi siano accertati lo stato di invalidità al lavoro proficuo e la nullatenenza, non ha infatti alcun peso l'essere maggiorenni o minorenni.
Ora l'esigenza di un’eguale disciplina per situazioni che siano eguali, consacrata nell'art. 3 della Costituzione, non trova riscontro nel disposto dell'art. 27, per cui, di fronte alla rilevata disparità di trattamento basata sulla diversità di sesso e nell'assenza di adeguate ragioni a sostegno della norma, questa deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui esclude gli orfani maggiorenni dal trattamento disposto in favore delle orfane.
4. - A seguito di ciò rimane assorbito l'esame della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge n. 85 del 1968, che dal giudice a quo é stata sollevata unitamente a quella già considerata.
Con la doppia denuncia, infatti, si é voluto praticamente prospettare l'illegittimità costituzionale della (unica) norma secondo cui gli orfani di sesso maschile maggiorenni, pur trovandosi nelle condizioni volute dall'art. 27, non hanno diritto a pensione a decorrere dal 31 agosto 1965.
Intervenuta quindi la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 27 in parte qua, nel senso prospettato con la doppia denuncia, non residua nell'art. 8 alcun punto o profilo, che sul piano temporale o dal punto di vista del contenuto meriti autonoma considerazione e valutazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 27 della legge 26 luglio 1965, n. 965 (contenente, tra l'altro, modifiche agli ordinamenti delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), nella parte in cui esclude gli orfani maggiorenni dal trattamento ivi previsto in favore delle orfane.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1972.
Giuseppe CHIARELLI – Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 15 marzo 1972.