SENTENZA N. 27
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 63, secondo comma, secondo periodo, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 (norme integrative e di attuazione del r.d. legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull'ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore), promossi con ordinanze emesse il 28 gennaio 1971 dalla Corte suprema di cassazione - sezioni unite civili - nei procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Maiorca Carlo ed il Consiglio nazionale forense ed altri e tra Papa Michele ed il Consiglio nazionale forense ed altri, iscritte ai nn. 262 e 263 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 233 del 15 settembre 1971.
Visto l'atto di costituzione di Maiorca Carlo;
udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1972 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti.
Ritenuto in fatto
Con due ordinanze recanti la stessa data del 28 gennaio 1971, emesse in due distinti procedimenti promossi rispettivamente da Maiorca Carlo e da Papa Michele contro il Consiglio nazionale forense, la Corte di cassazione - sezioni unite civili - ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 63, comma secondo, periodo secondo, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, contenente norme integrative e di attuazione dell'ordinamento forense, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.
Nelle citate ordinanze - di identico contenuto - si sostiene che, stante la natura giurisdizionale delle funzioni affidate in materia disciplinare al Consiglio nazionale forense, legittimo appare il dubbio che sia conforme al precetto della tutela del diritto di difesa, enunciato dall'art. 24, comma secondo, della Costituzione, la norma denunciata che prevede, nel momento della deliberazione, l'assistenza del pubblico ministero ed esclude, invece, la presenza dell'incolpato e del suo difensore.
Evidente invero appare la situazione di svantaggio riservata alla parte di fronte a un organo che é suo contraddittore necessario.
Né varrebbe in contrario rilevare che la presenza del pubblico ministero é puramente passiva, si verifica a contraddittorio ultimato, non implica la partecipazione alla votazione e non comporta la facoltà di modificare le conclusioni già prese, poiché resta pur sempre il fatto che il collegio giudicante debba procedere alla discussione e votazione delle questioni da risolvere in presenza di un organo ad esso estraneo.
Evidente da tutto ciò appare l'anomalia della norma impugnata rispetto alla norma generale che vieta al pubblico ministero di assistere alla deliberazione della decisione delle cause civili e penali da parte dei giudici di merito (art. 80, comma primo, dell'ordinamento giudiziario); né può ritenersi che la norma di cui trattasi sia sostanzialmente identica a quella contenuta negli artt. 380, comma primo, del codice di procedura civile e 76, comma primo, dell'ordinamento giudiziario che prevedono l'assistenza del pubblico ministero alla decisione dei ricorsi da parte della Cassazione civile. Queste norme, infatti, in tanto prevedono la presenza del pubblico ministero nella camera di consiglio della Cassazione civile, in quanto in tale sede quell'organo é posto al di sopra delle parti ed esercita il compito di vegliare all'osservanza delle leggi.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituita soltanto la parte Maiorca Carlo, rappresentata e difesa dall'avv. Piccardi Leopoldo, con deposito di deduzioni in cancelleria in data 16 giugno 1971.
Rilevato che il pubblico ministero nel procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio nazionale forense é organo attivo portatore della voce della pubblica accusa, la difesa afferma che non può dubitarsi dell’illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio dell'inviolabilità del diritto di difesa, della norma contenuta nell'art. 63, comma secondo, del r.d. n. 37 del 1934 la quale assicura la presenza di una parte e non dell'altra proprio nel momento più delicato e culminante del processo, quale é appunto la fase della decisione dell'organo giudicante.
Nell'ipotesi in esame non ricorrono quei motivi eccezionali che giustificano la norma di cui all'art. 380 del codice di procedura civile in quanto il pubblico ministero nel procedimento civile in Cassazione non interviene quale organo di accusa e cioé come controparte, ma unicamente per vigilare sull'osservanza delle leggi.
Considerato in diritto
1. - Le due ordinanze indicate in epigrafe propongono l'identica questione di legittimità costituzionale e, pertanto, i relativi giudizi, congiuntamente discussi nell'udienza pubblica, vengono riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - La questione sottoposta all'esame della Corte é se sia costituzionalmente illegittima, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, che sancisce l'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, la norma contenuta nell'art. 63, comma secondo, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, la quale dispone che nel procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio nazionale forense la decisione del ricorso é deliberata con l'assistenza del pubblico ministero e fuori della presenza dell'incolpato e del difensore.
3. - Le censure mosse dalle ordinanze di rimessione alla norma impugnata sono fondate.
L'esame delle disposizioni concernenti i procedimenti disciplinari innanzi al Consiglio nazionale forense (artt. 59 a 68 del r.d. n. 37 del 1934) non lascia adito a dubbi sulla posizione di parte che assume il pubblico ministero nei casi in cui spieghi intervento in detti procedimenti. É sufficiente tener presente le norme che gli attribuiscono il potere d'impugnare in via principale ed incidentale le decisioni pronunciate dai consigli locali e di proporre ricorso alle sezioni unite della Cassazione avverso le decisioni del Consiglio nazionale, nonché le norme che gli attribuiscono la facoltà di prendere visione degli atti, proporre deduzioni, esibire documenti, richiedere ulteriori indagini ritenute necessarie per l'accertamento dei fatti, per rendersi conto che il p.m. assume la veste di contraddittore diretto dell'incolpato e del suo difensore, ossia la figura tipica di parte nel processo di cui trattasi.
Ora é evidente che con siffatta sua posizione non riesce in alcun modo a conciliarsi la norma denunciata che prevede l'assistenza del p.m. nel momento della deliberazione della decisione ed esclude, per contro, la presenza dell'incolpato e del suo difensore. La veste e le attribuzioni del p.m. nei procedimenti disciplinari dinanzi al Consiglio nazionale forense non sono dissimili da quelle spettanti al p.m. nei procedimenti ordinari e ciò nondimeno, per questi ultimi, l'ordinamento giudiziario vigente detta una norma generale di contenuto diametralmente opposto sancendo appunto il divieto per il p.m. di assistere alla deliberazione della decisione delle cause civili e penali da parte dei giudici di merito (art. 80, comma primo, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12).
4. - La disposizione impugnata non é sorretta da alcuna logica giustificazione.
La deliberazione della decisione, che é la fase conclusiva più delicata del giudizio, é compito esclusivo dell'organo giudicante. In siffatto momento la presenza di altro organo, con funzioni istituzionalmente diverse, non ha ragion d'essere.
La disposizione in esame é in contrasto col precetto contenuto nell'art. 24, comma secondo, della Costituzione, giacché assicura al p.m., che é parte nei procedimenti di cui trattasi, una situazione di vantaggio con evidente menomazione del diritto di difesa dell'incolpato.
Ritiene conseguentemente la Corte che debba essere dichiarata l'incostituzionalità del secondo comma dell'art. 63 del r.d. n. 37 del 1934 nella parte in cui dispone l'assistenza del pubblico ministero alle decisioni del Consiglio nazionale forense.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 63, secondo comma, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, contenente norme integrative e di attuazione del r.d. legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull'ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore, nella parte in cui dispone che "il pubblico ministero assiste alla decisione".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 1972.
Giuseppe CHIARELLI – Giovanni Battista BENEDETTI
Depositata in cancelleria il 17 febbraio 1972.