Sentenza n. 210 del 1971
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 210

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 65 del d.P.R. 9 maggio 1950, n. 203 (testo unico delle disposizioni riguardanti le imposte straordinarie sul patrimonio), promosso con ordinanza emessa il 23 dicembre 1969 dal tribunale di Varese nel procedimento civile vertente tra Abbiati Renato ed altri e Olivari Biagio e Caterina, iscritta al n. 53 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970.

Visti gli atti di costituzione di Olivari Biagio e Caterina e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 novembre 1971 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

L'esattore delle imposte di Binago - agendo per delega di quello di Milano ed avvalendosi del disposto dell'art. 65 del d.P.R. 9 maggio 1950, n. 203 - intimava ai coeredi Abbiati il pagamento della somma di lire 64.106.363, importo della imposta straordinaria sul patrimonio dovuta da Tondani Gian Luca, al quale apparteneva alla data del 29 marzo 1947 - insieme con altri immobili - l'opificio in Binago venduto dal Tondani ai signori Biagio e Caterina Olivari, i quali a loro volta lo avevano rivenduto ad Abbiati Anacleto.

Gli Abbiati proponevano, quindi, avanti al tribunale di Varese, l'azione di garanzia per evizione, prevista dagli articoli 1483 e 1479 del codice civile nei confronti degli Olivari, chiedendo che questi fossero condannati a "rilevarli dalla pretesa dell'erario".

Il tribunale, con ordinanza 23 dicembre 1969, accogliendo la eccezione dei convenuti e disattendendo quella di mancanza di rilevanza, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 65, in riferimento agli artt. 23, 3, secondo comma, 4, 35, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione.

Nel presente giudizio si sono costituiti Biagio e Caterina Olivari, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

L'Avvocatura generale dello Stato ritiene che nessun precetto costituzionale sia violato dalla norma impugnata. Non l'art. 23 della Costituzione perché quanto lamentato dalla ordinanza di rimessione (che cioè l'art. 65 legittimerebbe l'Amministrazione ad esigere il pagamento di un tributo agendo a scelta, senza limiti di tempo, contro uno qualsiasi dei proprietari succedutisi nella titolarità dell'immobile) non costituisce altro che l'individuazione degli effetti propri dell'istituto del privilegio speciale immobiliare.

Né sarebbe violato l'art. 3 Cost., in quanto il fondamentale diritto di libertà del cittadino deve realizzarsi nell'ambito dell'ordinamento giuridico dello Stato, che, nella fattispecie, ha predisposto legittime garanzie a tutela dell'imposizione tributaria; ed in quanto il privilegio speciale colpisce indistintamente tutti i beni immobili appartenenti il 29 marzo 1947 a quello come a tutti gli altri debitori di imposta straordinaria sul patrimonio, sicché tutti i successivi proprietari degli immobili stessi sono soggetti ad identico trattamento.

Nella previsione legislativa del ripetuto privilegio non sono poi ravvisabili né una compressione del diritto al lavoro, né una diminuzione della tutela di esso, giacché la norma impugnata non é rivolta ad impedire l'esercizio di eventuale attività lavorativa esplicata dal terzo proprietario. Né sussiste, infine, contrasto col diritto di proprietà, che può subire, nell'interesse pubblico, limitazioni e vincoli allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Sicché é da escludere qualsiasi violazione degli artt. 4, 35 e 42 della Costituzione.  

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza del tribunale di Varese denunzia l'illegittimità costituzionale dell'art. 65 del d.P.R. 9 maggio 1950, n. 203, perché - disponendo che il credito dello Stato per l'intero ammontare della imposta straordinaria sul patrimonio ha privilegio speciale su tutti gli immobili facenti parte del patrimonio del contribuente alla data del 29 marzo 1947; e concedendo inoltre alla Intendenza di finanza la facoltà di rinunziare, dietro idonea garanzia, in tutto o in parte a tale privilegio - questa norma omette di indicare i criteri idonei a limitare la discrezionalità della pubblica Amministrazione, sicché si verifica che questa possa procedere esecutivamente, senza limiti di tempo, non soltanto contro l'effettivo obbligato alla prestazione, ma anche contro uno qualsiasi, a sua scelta, fra i successivi proprietari dei vari immobili sui quali, per quel tributo, grava il privilegio speciale. La norma violerebbe pertanto l'art. 23 della Costituzione; contrasterebbe inoltre col principio della certezza del diritto, in quanto il privilegio non deve essere trascritto sui registri immobiliari e non é in alcun modo rilevabile dagli acquirenti degli immobili; creerebbe ingiustificata disuguaglianza (art. 3 Cost.) perché l'esecuzione fiscale contro un qualsiasi terzo, sol perché proprietario di un immobile, specie se questo é destinato alla produzione, costituirebbe un limite alla libertà ed alla possibilità dei cittadini di partecipare all'organizzazione economica del Paese; comprometterebbe il diritto al lavoro sancito dagli artt. 4 e 35 della Costituzione, disattendendo il dovere dello Stato di tutelare tale diritto; e verrebbe a ledere la funzione sociale della proprietà garantita dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione, menomando a causa dell'illimitato potere concesso alla pubblica Amministrazione, il libero godimento dei beni.

2. - La questione non é fondata.

Nella specie, non appare violato l'art. 23 della Costituzione secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, la quale, come ha affermato questa Corte, deve tuttavia indicare i criteri idonei a delimitare la discrezionalità della pubblica Amministrazione per ciò che attiene al quantum ed ai soggetti passivi del tributo.

É bene precisare che le censure mosse sia dalla ordinanza di rimessione, sia dalle parti private, si riferiscono non già all'imposizione tributaria, ma alla garanzia - privilegio speciale immobiliare - per essa prevista dal legislatore. Questo, nel concedere detto diritto di garanzia avrebbe lasciato alla pubblica Amministrazione un'ampia discrezionalità nel correlativo esercizio.

Sta di fatto però che l'art. 65 impugnato, lungi dal conferire particolari poteri discrezionali alla Finanza, non ha fatto altro che concedere il privilegio speciale immobiliare, rinviando implicitamente, per la relativa disciplina, alle norme del codice civile.

Ed invero, in detto codice, tale privilegio é accordato dalla legge in considerazione della causa del credito (che, per le obbligazioni tributarie, dipende dal favore per le esigenze finanziarie dello Stato) ed assolve una funzione di garanzia, che si concreta in un rapporto diretto fra il creditore e l'immobile, prescindendo dalla persona del debitore.

La garanzia segue, per sua natura, le sorti del credito al quale é legata e perdura fino a quando l'obbligazione non sia estinta o per adempimento o per prescrizione. I termini di questa sono stabiliti, talvolta, per le singole imposte, dalle leggi speciali, ma, in mancanza di espressa disposizione - come nel caso della imposta straordinaria sul patrimonio - devono ritenersi applicabili le norme sulla prescrizione ordinaria come per qualsiasi altro diritto di credito del privato. Con ciò, risulta dimostrata l'inesattezza della affermazione che la pretesa del Fisco potrebbe essere fatta valere illimitatamente nel tempo.

É contemplato altresì dal codice civile - in virtù del principio della solidarietà passiva nella obbligazione - il diritto che il creditore ha di scegliere, fra i vari immobili gravati dal privilegio speciale, quello sul quale ritiene opportuno, o più vantaggioso, procedere esecutivamente per realizzare il suo credito. Nella specie, poi, il campo di scelta risulta circoscritto agli immobili di proprietà del contribuente alla data del 29 marzo 1947, ed il terzo, al quale l'immobile é pervenuto, risponde nei limiti del valore del bene stesso.

Rientra nell'ambito di tali scelte anche il potere concesso all'Intendente di finanza di rinunziare in tutto od in parte al privilegio speciale su un determinato immobile, contro prestazione di adeguata garanzia riconosciuta idonea dall'Amministrazione ove il resto del patrimonio non costituisca sufficiente garanzia per la riscossione del credito erariale.

Pertanto, anche sotto questo profilo, la censura di incostituzionalità risulta infondata.

3. - Rileva infine l'ordinanza che la norma impugnata contrasta con il principio della certezza del diritto, in quanto il privilegio in argomento non deve essere trascritto nei registri immobiliari e non é in alcun modo rilevabile dai privati anche perché i funzionari dell'Amministrazione delle imposte non possono dare notizie al terzo acquirente per il preciso divieto posto dall'art. 68 del d.P.R. n. 203 del 1950.

Orbene, sta di fatto che per il codice civile il privilegio, di regola, non va trascritto, ma soltanto può essere dalla legge subordinato a particolari forme di pubblicità. E ciò perché non possono essere ignorate le disposizioni del codice civile, che concedono sugli immobili il privilegio speciale ai crediti dello Stato per il tributo fondiario e per altri tributi diretti ed indiretti. Né può dirsi che dalla norma dell'art. 68 sopra indicato derivi l'occultamento del privilegio speciale, perché, anche a non volere tener conto di altre possibilità di assumere legittimamente informazioni, anche il segreto di ufficio disposto per i funzionari dell'Amministrazione delle imposte, per i componenti dei collegi giudicanti, e per altri, non ha ragion di essere quando la notizia é richiesta da coloro che dimostrino di avere interesse a conoscerla.

Le altre questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 4, 35, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, rimangono assorbite.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 65 del d.P.R. 9 maggio 1950, n. 203 (approvazione del testo unico delle disposizioni riguardanti le imposte straordinarie sul patrimonio), sollevata dall'ordinanza del tribunale di Varese del 23 dicembre 1969 in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 4, 23, 35, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1971.

Giuseppe CHIARELLI - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1971.