Sentenza n. 70 del 1971
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 70

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21 dell'Ordinamento giudiziario approvato con r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, promosso con ordinanza emessa l'8 luglio 1969 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Marino Salvatore ed il Ministero di grazia e giustizia, iscritta al n. 348 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 269 del 22 ottobre 1969.

Visti gli atti di costituzione di Marino Salvatore e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 1971 il Giudice relatore Nicola Reale;

uditi l'avv. Adalberto Tempesta, per il Marino, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel corso del giudizio civile promosso dall'avv. Salvatore Marino contro il Ministero di grazia e giustizia, perché fosse accertato il diritto alla retribuzione, per un preteso ammontare di lire 1.000.000, per l'attività prestata nell'anno 1968 in qualità di vice conciliatore del Comune di Genova, il tribunale ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, che garantisce l'uguaglianza dei cittadini, ed all'art. 36, primo comma, concernente il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato, l'eccezione di illegittimità dell'art. 21 dell'Ordinamento giudiziario (approvato col r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), il quale dichiara l'ufficio di conciliatore e di vice conciliatore "gratuito ed onorario".

Il tribunale ha osservato che una ingiustificata diversità di trattamento, nei confronti dei conciliatori, si verificherebbe rispetto ad altri funzionari onorari aventi diritto a compensi, ove non fosse riconosciuto analogo diritto anche a loro favore.

L'attività dei conciliatori concreterebbe una forma socialmente rilevante di lavoro, analogo a quello svolto dai giudici nominati per concorso.

Non risulterebbe, quindi, manifestamente infondato neppure il dubbio che il preteso diritto ad un equo compenso trovi fondamento nell'art. 36, primo comma, della Costituzione.

Con atto di deduzioni, depositato il 16 ottobre 1969, l'attore, costituitosi davanti a questa Corte, ha sostenuto che il carattere onorario dell'ufficio di conciliatore non può implicarne anche la gratuità. Lo dimostrerebbe il fatto che gratuite non sono varie altre figure di funzionari onorari, che pur avrebbero attribuzioni giurisdizionali.

Tra i diversi uffici onorari preveduti dall'Ordinamento sussisterebbe, quindi, disparità di trattamento sotto l'aspetto della retribuzione, con conseguente lesione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione).

L'illegittimità dell'art. 21 dell'Ordinamento giudiziario, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, discenderebbe, poi, dalla considerazione che l'attività svolta dai conciliatori costituisce esplicazione di competenze prevedute dall'Ordinamento giudiziario e dal codice di procedura civile.

L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nell'interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, con atto 26 agosto 1969, ha chiesto che questa Corte voglia dichiarare infondate le questioni predette.

In merito alla asserita lesione del principio di uguaglianza, dopo aver ricordato varie ipotesi di conferimento onorario di funzioni pubbliche gratuite, nei diversi settori dell'Amministrazione dello Stato, l'Avvocatura osserva che la caratteristica comune ad ogni funzionario onorario risiede nel carattere non professionale dell'ufficio, assunto dai privati per civismo ed in vista dei vantaggi semplicemente morali e di ordine onorifico, che possono derivarne. Nella disciplina non uniforme di tali funzioni onorarie, non si escludono invero temperamenti e deroghe al principio della gratuità. Tuttavia il criterio di uguaglianza non potrebbe essere invocato, giacché il diverso regime stabilito per ciascun ufficio onorario ha giustificazione nei caratteri non omogenei che a ciascuno di essi sono propri.

In merito alla assenta violazione dell'art. 36 della Costituzione assume che questa norma non possa essere invocata a favore dei magistrati onorari. In primo luogo, si osserva, questi non sono legati all'Amministrazione pubblica da un rapporto di impiego, ma da un mero rapporto di servizio non professionale, spontaneamente accettato. Mancherebbe, poi, in essi il diritto allo stipendio, che costituisce presupposto necessario dell'applicazione della norma costituzionale, diretta a tutelare il soggetto economicamente più debole del rapporto di lavoro.  

Considerato in diritto 

1. - Con l'ordinanza del tribunale di Genova la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 dell'Ordinamento giudiziario (approvato con r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), concernente la gratuità dell'ufficio di giudice conciliatore (o semplicemente "conciliatore" secondo la terminologia del c.p.c.) e di vice conciliatore, é proposta da duplice punto di vista: in riferimento all'art. 36, primo comma, della Costituzione, che tutela il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, e in riferimento all'art. 3 della Costituzione assumendosi che la norma impugnata genera disparità di trattamento ai danni dei predetti giudici onorari, nei confronti sia dei magistrati nominati per concorso, sia di altre categorie di funzionari onorari, a favore dei quali sono preveduti dalla legge assegni periodici o altri compensi.

La questione é infondata.

2. - Ai sensi dell'art. 4 dell'Ordinamento giudiziario i conciliatori appartengono all'ordine giudiziario come magistrati onorari, ed esercitano in materia civile, ai sensi dell'art. 22 dell'Ordinamento giudiziario, funzioni conciliative e funzioni contenziose.

Essi sono nominati dal Consiglio superiore della magistratura o, per sua delega, dai presidenti delle Corti d'appello. La nomina può cadere su cittadini residenti nel comune e di età non inferiore ai 25 anni. Non occorrono speciali titoli di studio o altre qualifiche, essendo sufficiente, come é ovvio, che per carattere, indipendenza e prestigio i candidati offrano garanzia di ricoprire degnamente l'ufficio. L'assunzione di questo é, comunque, libera: infatti, pur non essendo di regola richiesta la domanda degli interessati, é tuttavia volontaria l'accettazione della carica. Come funzionari onorari i conciliatori divengono soggetti di un rapporto di meno servizio, il quale differisce da quello del pubblico impiego per il fatto che l'esercizio delle funzioni ad esso connesso non ha natura professionale e non impegna in misura prevalente l'attività dei soggetti che vi sono ammessi e che restano liberi di svolgere altra attività continuativa retribuita. Di scarsa importanza, infatti, e d'altronde rispondenti ad elementari esigenze, sono le incompatibilità, indicate nell'art. 26 dell'Ordinamento giudiziario, con la qualità di magistrati, di funzionari appartenenti o addetti all'ordine giudiziario e di funzionari o agenti di p.s. in attività di servizio, e il divieto, stabilito dal successivo art. 27, di esercitare la professione forense davanti all'ufficio di conciliazione al quale si appartiene. Ed in riferimento appunto alle accennate caratteristiche del rapporto il legislatore, seguendo un criterio derivato dalla tradizione del nostro come di altri ordinamenti, ha stabilito la gratuità dell'ufficio con l'esclusione di un trattamento propriamente retributivo.

Non varrebbe osservare in contrario che ad altri funzionari onorari, il cui servizio ha caratteristiche e disciplina analoghe a quello dei conciliatori, secondo normative gradatamente affermatesi in progresso di tempo e per effetto di valutazioni discrezionali del legislatore, volte in particolare a considerare l'intensità degli oneri derivanti dall'assunzione dell'ufficio, vengono corrisposti speciali compensi, nonché indennità e rimborsi di spese sostenute per ragioni della carica.

Anche per gli stessi conciliatori é prevista, invero, in caso di supplenza in un comune viciniore, una indennità (art. 99, secondo comma, Ordinamento giudiziario), oltre quella di trasferta di cui alla legge 29 giugno 1951, n. 489, e successive modificazioni.

Ma, in tutti i casi sopraccennati riguardanti funzionari onorari e conciliatori, trattasi sempre di cespiti che non rientrano fra i redditi professionali dei soggetti e rimangono istituzionalmente distinti dai corrispettivi dovuti per le prestazioni inerenti a rapporti di impiego. Ne consegue che a tali soggetti non risulta applicabile il principio enunciato nell'art. 36 della Costituzione.

Questo ha riguardo, infatti, alle retribuzioni professionali dei lavoratori e non può farsene derivare l'obbligo per lo Stato di retribuire, secondo criteri di proporzionalità alla quantità e qualità dell'attività svolta e di sufficienza rispetto alle fondamentali esigenze di vita libera e dignitosa dei lavoratori medesimi, prestazioni che, come sopra si é accennato, costituiscono esercizio di funzioni spontaneamente assunte per sentimento di dovere civico e di dignità sociale, e non identificabili con attività professionale.

3. - La diversità di configurazione che nell'Ordinamento hanno assunto gli uffici onorari, nei diversi settori dell'apparato organico dello Stato, non consente neppure che fra gli stessi possa prospettarsi alcuna valutazione comparativa, al fine di sindacarne il trattamento giuridico e tanto meno con riguardo agli emolumenti che siano eventualmente corrisposti.

L'art. 3 della Costituzione non osta infatti a che l'impegno e gli oneri peculiari di talune cariche onorarie siano diversamente considerati dal legislatore, rimanendo giustificata la negazione ad alcune e, per contro, l'attribuzione ad altre di assegni o di altri emolumenti; e ciò in misura che, in taluni casi, può anche risultare non lontana da quella preveduta per i funzionari di carriera aventi competenze analoghe.

Per gli stessi motivi il precetto del detto art. 3 della Costituzione non può essere invocato in relazione al trattamento giuridico ed economico dei magistrati ai quali sono, stabilmente e professionalmente, attribuite funzioni giurisdizionali.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 dell'Ordinamento giudiziario approvato con r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, nella parte in cui prevede la gratuità dell'ufficio di giudice conciliatore e di vice conciliatore; questione sollevata, con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 5 aprile 1971.