Sentenza n. 17 del 1971
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 17

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 25 novembre 1926, n. 2008, recante provvedimenti per la difesa dello Stato, del r.d. 12 dicembre 1926, n. 2062, contenente le relative norme di attuazione, e del decreto luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 316, sulla revisione delle sentenze di condanna emesse dal soppresso Tribunale speciale per la difesa dello Stato, promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1969 dalla Commissione elettorale mandamentale di Recanati sul ricorso di Magini Enrico, iscritta al n. 284 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 200 del 6 agosto 1969.

Udito nella camera di consiglio del 9 dicembre 1970 il Giudice relatore Costantino Mortati.

Ritenuto in fatto 

A seguito del ricorso con cui Magini Enrico aveva chiesto alla Commissione elettorale mandamentale di Recanati di essere iscritto nelle liste elettorali del locale comune, dalle quali era stato cancellato per effetto di una sentenza penale pronunciata dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato il 30 giugno 1943 per frodi valutarie ed altro, cui conseguiva la sua interdizione perpetua dai pubblici uffici, la Commissione, con ordinanza 7 giugno 1969, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge 25 novembre 1926, n. 2008, recante provvedimenti per la difesa dello Stato, del regio decreto 12 dicembre 1926, n. 2062, contenente le relative norme di attuazione, e del decreto luogotenenziale 5 ottobre 1944, n. 316, sulla revisione delle sentenze di condanna emesse dal Tribunale speciale, dopo la sua soppressione avvenuta col regio decreto-legge 29 luglio 1943, n. 668; in riferimento agli artt. 3, 24, 25, ed all'intero titolo IV della parte Il della Costituzione.

Nel provvedimento si afferma innanzi tutto che la Commissione elettorale mandamentale, in sede di decisione dei ricorsi proposti ai sensi dell'art. 18 del testo unico n. 223 del 1967, é un organo giurisdizionale speciale, come é dimostrato dalla circostanza che contro le sue decisioni é previsto il ricorso alla Corte di appello, la quale é un organo investito di giurisdizione di secondo grado, e dal fatto che le decisioni da essa emanate in difetto di gravame assumono carattere di irrevocabilità (con effetti assimilabili a quelli del giudicato) senza che alcun altro organo giurisdizionale possa essere adito a tutela del diritto soggettivo dell'interessato, ed infine dalla loro impugnabilità anche da parte del pubblico ministero.

In contrario non può argomentarsi, a giudizio della Commissione, dal fatto che essa é investita altresì di compiti a carattere amministrativo, poiché vi sono numerosi altri casi in cui uno stesso organo viene ad assumere funzioni eterogenee; e neppure dall'art. 102, capoverso, della Costituzione, in quanto si tratta di una giurisdizione anteriore, cui é applicabile la VI disposizione transitoria.

Affermata quindi la rilevanza della questione, muovendo dall'osservazione che l'eventuale incostituzionalità delle leggi regolatrici del Tribunale speciale e del decreto luogotenenziale del 1944, che conservò efficacia, salva la revisione, ad una parte delle sentenze da esso emanate, farebbe perdere a queste ogni effetto, con conseguente eliminazione dell'ostacolo alla iscrizione del Magini nelle liste elettorali, la Commissione ricorda la origine del Tribunale speciale, mettendo in luce come esso venisse concepito dal legislatore dell'epoca non già come un organo imparziale, bensì come un istituto cui era assegnato il compito di difendere il regime fascista; compito alla realizzazione del quale non si riteneva idonea la Magistratura ordinaria proprio perché non sufficientemente allineata alle direttive politiche del partito.

Da queste caratteristiche del Tribunale speciale deriva l'illegittimità costituzionale delle norme che lo regolarono (legge e norme di attuazione, alle quali la Commissione riconosce natura di legge delegata), nonché del decreto luogotenenziale che ha conservato efficacia alle sue sentenze, in riferimento ai su citati articoli della Costituzione.

In particolare, il contrasto con l'art. 3 appare alla Commissione evidente in ogni singola norma della legge istitutiva del Tribunale speciale e delle disposizioni di attuazione, nonché del complesso normativo organicamente considerato; il contrasto con l'art. 24 risulta, ad esempio, dal fatto che la difesa poteva essere esclusa (ove il difensore non fosse un militare) quando il presidente, a suo giudizio insindacabile, lo ritenesse necessario nel pubblico interesse, nonché dalla possibilità che le fosse interdetto di prendere visione dei documenti e delle cose sequestrate; il contrasto col principio del giudice naturale discende dalla devoluzione al Tribunale dei processi pendenti al momento in cui la legge entrò in attuazione e dalla disciplina della connessione; il contrasto con gli artt. 101 e 108, della Costituzione, dalle norme sulla composizione del Tribunale; mentre evidente é poi la mancanza di ogni garanzia dell'indipendenza dei suoi membri e la mancata previsione della ricorribilità in Cassazione delle sue sentenze, per non dire di altri vizi minori.  

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza emessa dalla Commissione elettorale mandamentale di Recanati, nel denunciare, per violazione degli artt. 3, 24, 25 e dell'intero titolo IV della Costituzione, la legge 25 novembre 1926, n. 2008, istitutiva del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, nonché il r.d. 12 dicembre 1926, n. 2062, di attuazione della precedente, ed il d.lg.lgt. 5 ottobre 1944, n. 316, sulla revisione delle sentenze di condanna emesse da detto tribunale, si dà carico di mettere in rilievo gli elementi dai quali si dovrebbe argomentare la natura di organo giurisdizionale rivestita dalla Commissione, e quindi la ammissibilità della proposizione della questione.

2. - L'esame compiuto pregiudizialmente in ordine a tale punto induce a far ritenere non fondate le deduzioni dell'ordinanza (né altre addotte da una parte della dottrina) circa il carattere di giurisdizione speciale che si assume essere rivestito dalla Commissione allorché provvede alla decisione sui ricorsi relativi alle iscrizioni nelle liste elettorali; giurisdizione che, ai sensi della VI disposizione transitoria, non sarebbe contrastante con l'art. 102, dato che preesisteva alla entrata in vigore della Costituzione (d.lg.lgt. n. 247 del 1944, modificato con la legge 7 ottobre 1947, n. 1058) e non é stata sottoposta a revisione post - costituzionale.

Risulta dagli artt. 16, 18 e 28 del t.u. n. 223 del 1967 che la Commissione elettorale comunale "propone" le iscrizioni e le cancellazioni negli elenchi predisposti in occasione della revisione semestrale delle liste elettorali; invita poi chiunque intenda avanzare ricorso alla Commissione mandamentale contro dette operazioni a farlo nei termini ivi stabiliti, ed infine, decorsi tali termini, trasmette tutti gli elenchi, i ricorsi e i verbali delle operazioni a detta Commissione.

Quest'ultima, ai sensi del successivo art. 29, esamina tutte le operazioni già compiute, cancella d'ufficio dagli elenchi i cittadini indebitamente proposti per la iscrizione o la cancellazione, decide sulle domande nuove ad essa direttamente indirizzate, ed infine pronuncia sui ricorsi avverso le proposte della Commissione comunale. Da tale normativa emerge chiaramente come le Commissioni mandamentali operino non già quali organi di secondo grado, di controllo sui provvedimenti emessi da quelle comunali, bensì come i soli organi abilitati ad emettere decisioni sulla intera formazione delle liste, provvedendo, oltre che sulle proposte, anche all'infuori di queste, di propria iniziativa, e tanto su denuncia ad essa pervenuta quanto su ricorso; decisioni che rivestono carattere definitivo e vincolano le Commissioni comunali alla loro esecuzione. Deve quindi escludersi che la funzione della Commissione assuma una duplice natura, amministrativa o giurisdizionale secondo che essa provveda senza impulso di parte o su ricorso, poiché in ogni caso esplica sempre attività provvedimentale, quale unico titolare del potere di formazione delle liste, il ricorso costituendo solo una eccitazione più puntuale al buon esercizio del potere medesimo. Non giova quindi invocare in contrario l'esempio delle Giunte provinciali amministrative, poiché a parte la considerazione che le funzioni a queste attribuite in sede amministrativa si esauriscono nel mero controllo rimanendo loro inibito ogni potere sostitutivo dell'amministrazione attiva, esse operano (o operavano) con composizione differente secondo la diversa indole dell'attività esercitata.

Non vale neppure, a condurre a diversa conclusione, il rilievo secondo cui oggetto delle deliberazioni in parola siano diritti soggettivi perché provvedimenti in ordine a questi sono, in modo analogo, emessi normalmente tutte le volte che l'esercizio di un diritto é subordinato a forme varie di intervento della pubblica autorità. Neppure probante é la considerazione desunta dalla definitività che le deliberazioni stesse assumono allorché siano decorsi i termini per la loro impugnativa, dato che analogo effetto si verifica per ogni specie di provvedimento amministrativo contro cui non sia stato tempestivamente prodotto il ricorso consentito contro di esso. Altrettanto deve dirsi dell'argomento desunto dalla proponibilità del ricorso da parte di ogni cittadino, dato che, per potersi dare a tale iniziativa il significato di azione popolare, occorrerebbe prima dimostrare il carattere giurisdizionale dell'organo innanzi a cui si fa valere: sicché vere azioni popolari devono ritenersi solo quelle proponibili alla Corte di appello, ai sensi dell'art. 42, da quisque de populo.

Che la vera fase giurisdizionale abbia inizio allorché si adisce la Corte di appello risulta, oltre che dalla stessa lettera della legge che dà al titolo IV, riferentesi a tale fase, l'intitolazione "dei ricorsi giudiziari", dalla prescrizione del citato art. 42, secondo la quale il ricorso alla Corte dev' essere notificato, a pena di nullità, alla Commissione elettorale; il che contrasterebbe con i principi se al detto organo si attribuisse la veste di giudice di primo grado.

É inoltre da mettere in rilievo come i ricorsi alla Corte di appello siano, secondo già sì e rilevato, ammissibili anche quando non siano stati preceduti da reclami avanzati alla Commissione mandamentale, o quando contengano domande nuove rispetto a quelle prima dedotte, il che conferma che essa non pronuncia in sede di appello. Che poi la Corte in questo, come del resto in altri casi conosciuti dalla nostra legislazione, assuma la veste di giudice di primo ed unico grado non é in contrasto con la Costituzione, dato che questa non ha assunto fra i suoi principi quello del doppio grado di giurisdizione.

Quanto alla allegata proponibilità di ricorsi da parte del pubblico ministero, ex art. 44, é da osservare come tale intervento trovi logico fondamento nella considerazione che la regolare formazione delle liste elettorali giova a soddisfare non già solo il diritto dei cittadini, in possesso dei richiesti requisiti all'iscrizione nelle medesime, ma altresì il pubblico interesse alla realizzazione delle condizioni per la regolare espressione del voto popolare, considerato dalla Costituzione, oltre che come diritto del cittadino, anche suo dovere, e posto a fondamento del regime democratico.

Infine l'improcedibilità dei ricorsi alla Corte di appello direttamente avverso l'operato delle Commissioni comunali discende non già, come ritenuto dall'ordinanza, dal fatto che, se altrimenti fosse, si salterebbe un grado di giurisdizione, bensì dalla già rilevata natura dell'attività di dette Commissioni, non decisoria ma meramente preparatoria, e perciò stesso insuscettibile di impugnativa in sede contenziosa.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge 25 novembre 1926, n. 2008, istitutiva del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, del r.d. 12 dicembre 1926, n. 2062, di attuazione della predetta legge, e del d.lg.lgt. 5 ottobre 1944, n. 316, sulla revisione delle sentenze di condanna emesse dal suddetto tribunale, proposta con l'ordinanza di cui in epigrafe dalla Commissione elettorale mandamentale di Recanati in riferimento agli artt. 3, 24, 25 ed al titolo IV della Costituzione.  

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 17 febbraio 1971.