SENTENZA N. 201
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, ultimo comma, della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (norme integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione tributaria), e dell'art. 109, lett. c, del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (t.u. delle leggi sulle imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 21 febbraio 1969 dal tribunale di Ancona nel procedimento civile vertente tra la società "Rita" e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 159 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969.
Visti gli atti di costituzione della società "Rita" e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato, e l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'11 novembre 1970 il Giudice relatore Giovanni Battista Benedetti;
uditi l'avv. Antonio Astorri, per la società "Rita", ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione finanziaria.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza 21 febbraio 1969 - emessa dal tribunale di Ancona nel procedimento civile vertente tra la società a r.l. "Rita", esercente la casa di cura "Villa Verde" e l'Amministrazione delle finanze dello Stato - é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, ultima parte, della legge 5 gennaio 1956, n. 1, e dell'art. 109, lettera c del testo unico delle leggi sulle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
L'eccezione di incostituzionalità era stata formulata dinanzi al tribunale dalla società "Rita" alla quale il competente ufficio delle imposte dirette aveva negato la detraibilità sui bilanci degli anni 1957, 1958 e 1959, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile categoria B, dei compensi da essa corrisposti ai sanitari che avevano prestato la loro opera nella casa di cura, sul rilievo che la relativa spesa non risultava dalla registrazione cronologica delle somme pagate.
Il tribunale ha ritenuto fondata l'eccezione proposta in base alla considerazione che le citate disposizioni di legge, allorché dichiarano indetraibili determinate spese, ancorché effettivamente sostenute ed il loro pagamento risulti da altre registrazioni debitamente verificate dagli uffici finanziari (come appunto accaduto nel caso di specie), violerebbero i principi di uguaglianza e della capacità contributiva sanciti dagli articoli 53, primo comma, e 3 della Costituzione. Presupposto dell'imposta di ricchezza mobile é infatti la produzione di un reddito netto il quale a sua volta é costituito dalla differenza tra l'ammontare dei ricavi che compongono il reddito soggetto all'imposta e l'ammontare delle spese e passività inerenti alla produzione di tale reddito. Orbene, malgrado che tra contribuenti i quali abbiano tenuto la prescritta registrazione cronologica e quelli che non l'abbiano tenuta sia riscontrabile la produzione di uno stesso reddito, l'imposta finirebbe per essere applicata in misura diversa.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituita la società attrice, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Astorri, mediante deposito di deduzioni in cancelleria in data 19 aprile 1969.
É pure intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri e si é costituito il Ministro delle finanze, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato che ha depositato atto di intervento e deduzioni l'8 maggio 1969.
Osserva preliminarmente la difesa della società che la casa di cura Villa Verde negli anni 1957, 1958 e 1959 aveva provveduto a trascrivere nel libro giornale mastro, prescritto dal codice civile e regolarmente tenuto anche agli effetti fiscali, tutte le somme di danaro ad essa versate dai vari enti mutualistici, comprensive sia del rimborso spese di degenza, sia delle quote spettanti ai singoli sanitari per le prestazioni dagli stessi effettuate.
A ben considerare perciò la registrazione cronologica dei compensi a terzi prescritta dal comma primo dell'art. 8 della legge 5 gennaio 1956, n. 1 non costituisce altro che un doppione del libro giornale mastro che per legge dev'essere tenuto dalla società e nel quale devono essere registrati tutti i movimenti di dare ed avere.
Lo scopo previsto dall'art. 8 di consentire la individuazione delle somme erogate ai professionisti da assoggettare all'imposta di ricchezza mobile viene pertanto ad essere parimenti assolto mediante le annotazioni fatte sul libro mastro.
Non si giustifica, quindi, ed é anzi palesemente in contrasto con i principi di eguaglianza e della capacità contributiva sanciti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, la norma contenuta nell'ultima parte dell'art. 8 citato, la quale dispone che non sono ammesse in detrazione le spese non risultanti dalla registrazione cronologica prevista dallo stesso articolo.
L'applicazione di siffatta norma dà luogo ad una sperequazione gravante unicamente sul contribuente tassato in base a bilancio, il quale, oltre a tutte le altre scritture imposte dalle leggi, é costretto a tenere per comodità degli uffici finanziari appositi registri dai quali risultino i compensi corrisposti a terzi. Può così accadere che un contribuente tassabile in base a bilancio, pur avendo dimostrato e documentato mediante il libro giornale mastro e con altre scritturazioni le somme pagate a terzi, si veda tassato per un reddito di ricchezza mobile non conseguito sol perché non ha provveduto a registrare dette somme nel modo previsto dalla norma censurata.
Nei propri scritti difensivi l'Avvocatura sostiene che in base al contenuto e alle finalità delle norme impugnate la questione deve ritenersi non fondata.
L'art. 8 della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (ora art. 43 del t.u. sulle imposte dirette) prescrive, tra l'altro, per i soggetti tassabili in base a bilancio, la tenuta obbligatoria di apposite registrazioni cronologiche, contenenti l'indicazione nominativa dei percipienti, del loro domicilio fiscale e delle somme a ciascuno pagate a titolo di compenso, rimborso spese od altro in dipendenza di prestazioni d'opera professionale ecc.
Queste registrazioni si pongono accanto ai libri e alle scritture contabili obbligatorie prescritti dal codice civile (articolo 2214, secondo comma) ed hanno una particolare rilevanza sia perché offrono la possibilità di un rapido ed esauriente controllo dei compensi corrisposti a terzi, sia perché, attraverso l'indicazione delle generalità e del domicilio fiscale dei percipienti, consentono la loro pronta individuazione e conseguente tassazione dei compensi da essi percepiti. Senza le registrazioni cronologiche in parola - che trovano giustificazione nella esigenza di assicurare una sollecita riscossione dell'imposta - gli uffici finanziari incontrerebbero maggiori difficoltà a ricercare in altri libri e scritture gli elementi analitici necessari ai fini della tassazione.
Discende da ciò che la norma secondo la quale non sono detraibili le spese non risultanti dalla prescritta registrazione cronologica s'inquadra in un sistema di prove legali diretto a proteggere l'interesse generale alla riscossione contro ogni tentativo di evasione.
Nega pertanto l'Avvocatura che le norme impugnate siano in contrasto con i precetti costituzionali invocati e ricorda che la Corte, con la sentenza n. 50 del 1965, ha già avuto occasione di statuire che la esistenza e l'entità dell'obbligazione tributaria possono essere ancorati dalla legge ad un sistema di prove legali senza che con ciò si dia una base fittizia all'imposizione.
Nessuna disparità di trattamento é data ravvisare tra i contribuenti che abbiano tenuto la prescritta registrazione contabile e quelli che non l'abbiano tenuta; anzi la disparità sussisterebbe, se si seguisse la tesi del giudice a quo, proprio in danno di chi ha adempiuto alle prescrizioni delle norme in esame.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza del tribunale di Ancona viene denunciata l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, dell'art. 8, ultima parte, della legge 5 gennaio 1956, n. 1, e dell'art. 109 lett. c del testo unico delle leggi sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645. Si assume nell'ordinanza che le disposizioni contenute negli anzidetti articoli relative alla non detraibilità dal reddito dei soggetti tassabili in base al bilancio di determinate spese non risultanti da apposita registrazione cronologica violerebbero gli indicati precetti costituzionali dando luogo ad una disparità di trattamento tra i soggetti in questione. L'imposta infatti finirebbe per essere applicata in misura diversa a seconda che i contribuenti abbiano o meno tenuto la prescritta registrazione cronologica, sebbene sia per essi riscontrabile la produzione di uno stesso reddito.
2. - La questione non é fondata.
Per quanto riguarda il preteso contrasto con l'art. 3 della Costituzione é agevole rilevare che non sussiste identità di situazioni tra il soggetto tassabile in base al bilancio che, in ottemperanza alla prescrizione della norma impugnata e per conseguire l'effetto della detrazione da essa assicurato, abbia regolarmente tenuto la registrazione cronologica delle somme corrisposte a terzi e il soggetto tassabile in base al bilancio al quale viene negata la deduzione di tali somme per non avere osservato l'adempimento richiesto.
La norma in esame, dovuta alla necessità di tutelare l'interesse fiscale, ha subordinato la detraibilità di determinate spese alla condizione che esse risultino cronologicamente registrate nei modi e con le indicazioni all'uopo richieste. Tutti i soggetti tassabili in base al bilancio si trovano quindi in posizione identica dinanzi alla predetta prescrizione normativa essendo a tutti riconosciuto uguale diritto alla detraibilità dal reddito delle somme pagate a terzi.
Vi é pertanto nella norma una identità di effetti per tutti i destinatari che ne osservino il precetto. Non possono per contro invocare identico trattamento, proprio in virtù del principio di uguaglianza, coloro i quali tale precetto non intendono osservare.
L'indeducibilità delle spese sancita dalla norma come conseguenza dell'inadempimento dell'obbligo imposto non può ritenersi perciò in contrasto col principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
3. - Del pari insussistente é la lamentata violazione del principio della capacità contributiva enunciato dall'art. 53 della Costituzione.
La determinazione della quantità del tributo che il contribuente é tenuto a corrispondere può ben essere dalla legge subordinata alla osservanza di un dato obbligo. Questa é appunto l'ipotesi che ricorre nelle disposizioni in esame nelle quali l'accertamento di un minor reddito imponibile, conseguente alla deducibilità delle somme pagate a terzi, dipende dalla regolare tenuta di apposite registrazioni cronologiche di tali spese nelle forme prescritte dal codice civile per i libri e le altre scritture contabili obbligatorie. Adempimento questo che si appalesa di facile attuazione per le società ed enti tassabili in base al bilancio e, in pari tempo, di notevole interesse per gli uffici finanziari che vengono così posti in condizione di rilevare agevolmente, con precisione e rapidità, dalle prescritte registrazioni i nominativi dei soggetti, estranei all'impresa, ai quali sono stati a qualsiasi titolo corrisposti dei compensi, il domicilio fiscale dei percipienti ed i singoli importi agli stessi pagati.
Si realizza in tale modo lo scopo della norma - fatto palese del resto dalle sue prescrizioni e dalle chiare indicazioni contenute nei lavori preparatori - che é quello di dare alla finanza non soltanto la dimostrazione di spese che, essendo state sostenute per la produzione di un reddito, debbono dedursi dal medesimo, ma di consentire altresì l'esatta individuazione e conseguente tassazione dei soggetti operanti al di fuori delle società a favore dei quali sono state erogate le somme chieste in detrazione, soggetti che diversamente potrebbero con molta facilità sfuggire alla imposizione. Dal che si desume che la norma, tendendo ad impedire possibili evasioni fiscali, appare direttamente giustificata dalla esigenza di tutelare l'interesse pubblico alla riscossione dei tributi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, ultimo comma, della legge 5 gennaio 1956, n. 1 (norme integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione tributaria), e dell'art. 109, lett. c, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1970.