SENTENZA N. 160
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 136, lett. b, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 23 dicembre 1968 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e Bardellini Francesco, iscritta al n. 174 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969.
Visto l'atto di costituzione dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;
udito nell'udienza pubblica del 28 ottobre 1970 il Giudice relatore Angelo De Marco;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per l'Amministrazione finanziaria.
Ritenuto in fatto
Nella dichiarazione dei redditi prodotta nell'anno 1962, presentata all'ufficio distrettuale delle imposte di Sarzana, il dott. Francesco Bardellini, nell'elenco delle detrazioni, ai fini dell'imposta complementare progressiva, esponeva, fra l'altro, la somma di lire 2.762.000, corrispondente al rateo della imposta di successione, corrisposto nell'anno 1962, per una eredità a favore della moglie convivente.
L'ufficio delle imposte non ammetteva la chiesta detrazione, richiamandosi all'art. 136, lett. b, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, riprodotto testualmente dall'art. 5 della legge 4 dicembre 1962, n. 1682, in forza del quale sono detraibili: "b) le imposte afferenti i redditi singolarmente o nel loro complesso, ad esclusione della imposta complementare, iscritte nei ruoli la cui riscossione ha inizio nell'anno ovvero pagate per ritenuta nel corso dello stesso;".
La questione veniva dibattuta davanti alle commissioni tributarie e veniva, in quelle sedi, definitivamente risolta con la decisione 22 febbraio 1966 della Commissione centrale, che respingeva la tesi dell'ufficio.
L'Amministrazione delle finanze non si acquietava a tale decisione e conveniva il dott. Bardellini davanti al tribunale di Genova, perché sentisse dichiarare legittima l'esclusione della detrazione suddetta, con la conseguente condanna nelle spese.
Il tribunale adito, con ordinanza 23 dicembre 1968, accogliendo analoga istanza del patrocinio del Bardellini, dichiarava rilevante e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 136, lett. b, del T.U. approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione agli artt. 76 (eccesso rispetto alla delegazione contenuta nell'art. 73 della legge 5 gennaio 1956, n. 1) e 53 della Costituzione, nella parte in cui tra gli oneri detraibili nell'accertamento della imposta complementare, non comprende l'imposta di successione.
Precisato che la pretesa tributaria in causa, siccome relativa a redditi realizzati nel 1962, cade sotto l'imperio del T.U. del 1958, essendo da escludere che la legge 4 dicembre 1962, n. 1682, nel riprodurre nell'art. 5 la lettera b dell'art. 136 di detto T.U. abbia valore meramente interpretativo della legislazione preesistente, il tribunale rilevava che:
a) per quanto ampia possa considerarsi la delegazione contenuta nell'art. 63 della legge 5 gennaio 1956, n. 1, non può ammettersi che si estenda fino al punto di consentire al Governo di modificare, approvandola, l'obbligazione tributaria già stabilita in base al sistema accolto dalla legislazione precedente e che nella specie l'aggravamento é innegabile, in quanto l'art. 8, n. 2, del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3062, istitutivo della imposta complementare progressiva sul reddito, indica come detraibili "le imposte e tasse di ogni specie";
b) comunque, anche se l'eccesso di delega, in ipotesi, non sussistesse, dovrebbe riconoscersi la non manifesta infondatezza della questione relativa al contrasto dell'art. 136, lett. b, del T.U., con l'art. 53 della Costituzione specialmente se, per capacità contributiva, s'intende come appare corretto, la disponibilità attuale di reddito nella sua fase di erogazione e non di produzione.
Dopo gli adempimenti di legge, le questioni come sopra prospettate vengono ora alla cognizione della Corte.
Nel giudizio si é costituita l'Amministrazione delle finanze dello Stato, rappresentata dall'Avvocatura generale dello Stato che, con la memoria di costituzione, riconosce fondata la questione di eccesso di delega, mentre contesta la fondatezza della subordinata questione di contrasto con l'art. 53 della Costituzione, negando l'esattezza della distinzione, ai fini del giudizio, tra fase di erogazione e fase di produzione del reddito.
La parte privata non si é costituita.
Considerato in diritto
La questione sottoposta all'esame della Corte ha per oggetto soltanto la legittimità costituzionale dell'art. 136, lett. b, del testo unico emanato, in forza della delegazione contenuta nell'art. 63 della legge 5 gennaio 1956, n. 1, con decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645, ancorché la disposizione contenuta nel citato articolo del testo unico sia stata testualmente riprodotta dall'art. 5, lettera b, della legge 4 dicembre 1962, n. 1682, dato che il giudice a quo ha negato la rilevanza di questa ultima legge, ai fini della soluzione della controversia che era chiamato a decidere.
Come si é esposto in narrativa, la illegittimità costituzionale dell'art. 136, lettera b, del T.U. approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 645 del 1958, viene prospettata sotto un duplice profilo: a) in via principale, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega; b) in via subordinata, per contrasto con l'art. 53 della Costituzione se, per capacità contributiva, si intende la disponibilità attuale di reddito nella sua fase di erogazione e non di produzione.
Sotto il profilo principale dell'eccesso di delega, sia pure agli effetti della detrazione di altra imposta (straordinaria sul patrimonio), la questione é già stata ritenuta fondata da questa Corte con sentenza n. 135 del 1967, in base a considerazioni che valgono anche per quanto attiene alla diversa imposta (successione) la cui detrazione é stata contestata dall'amministrazione finanziaria nel giudizio a quo; considerazioni, sulla fondatezza delle quali, nel giudizio attuale, non solo non é stato addotto alcun valido argomento contrario, ma si é avuto, anzi, il riconoscimento da parte della stessa Avvocatura generale dello Stato.
Infatti, per quanto ampia possa ritenersi la delegazione di cui all'art. 63 della legge n. 1 del 1956, l'eccesso risulta chiaramente dal semplice confronto tra il n. 2 dell'art 8 del regio decreto legislativo 30 dicembre 1923, n. 3062, istitutivo dell'imposta complementare, e l'impugnato art. 136, lettera b, del T.U. del 1958.
Il n. 2 dell'art. 8 ammette in detrazione "Le imposte e tasse di ogni specie"; l'art. 136, lettera b, del T.U., "Le imposte afferenti i redditi, singolarmente o nel loro complesso... iscritte nei ruoli la cui riscossione ha inizio nell'anno ovvero pagate per ritenuta nel corso dello stesso".
A parte il rilievo circa la difficoltà di identificazione delle "imposte afferenti i redditi" di cui all'art. 136, lettera b, appare subito chiaro che in base a quest'ultima norma, in contrasto e conseguente aggravamento della posizione del contribuente rispetto all'art. 8, n. 2, del decreto istitutivo dell'imposta, anziché "le imposte e tasse di ogni specie" sono ammesse in detrazione soltanto le imposte "afferenti i redditi" riscuotibili per ruoli o per ritenuta, con evidente esclusione delle tasse e delle imposte indirette.
Il che é tanto più significativo, in quanto prima dell'emanazione del T.U. del 1958, non soltanto le Commissioni tributarie, ma anche la Suprema Corte di cassazione, hanno costantemente affermato essere contrastanti con la lettera del ripetuto art. 8, n. 2, e soprattutto con la stessa natura funzionale della imposta complementare, tutti i tentativi dell'Amministrazione di attenuare, in via interpretativa, l'ampia portata del ripetuto art. 8, n. 2.
Ne consegue che sotto il profilo dell'eccesso di delega la questione risulta fondata non solamente in riferimento alla imposta (successione) che ha dato origine al giudizio a quo, ma anche in riferimento alle altre imposte e tasse di ogni specie contemplate dall'art. 8, n. 2, della legge istitutiva della imposta complementare; cosicché si deve estendere la dichiarazione di illegittimità, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, a tutta la lettera b dell'art. 136 del T.U. n. 645 del 1958, con l'effetto dell'integrale ripristino del n. 2 dell'art. 8 esaminato.
Peraltro, anche se dedotto soltanto in via subordinata, non sembra inutile rilevare che sotto il profilo del contrasto con l'art. 53 della Costituzione la questione risulta infondata, in quanto l'imposta complementare e le altre imposte sono correlative a presupposti diversi e reciprocamente autonomi e non può dirsi, in relazione alla prima, che la capacità contributiva diminuisca a causa degli obblighi tributari inerenti alle seconde.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 136, lettera b, del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 18 novembre 1970.