SENTENZA N. 75
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1751, primo comma, del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 3 luglio 1968 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra Banchi Roberto ed il "Calzaturificio Francesco Barbagli e figli", iscritta al n. 173 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 28 settembre 1968;
2) ordinanza emessa il 19 novembre 1968 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra la società "Ares Pubblicità" e Sorge Carmelo, iscritta al n. 39 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;
3) ordinanza emessa il 7 febbraio 1969 dalla Corte d'appello di Milano nel procedimento civile vertente tra Grigò Sirio ed il "Laboratorio bioterapico milanese V. Selvi e C.", iscritta al n. 125 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 23 apri le 1969;
4) ordinanza emessa l'11 aprile 1969 dal tribunale di Bologna nel procedimento civile vertente tra Saletti Danilo e Busmanti Alberto, iscritta al n. 257 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 186 del 23 luglio 1969;
5) ordinanza emessa il 9 aprile 1969 dal tribunale di Bologna nel procedimento civile vertente tra la società "Organizzazione Pilota" e Grossi Pietro, iscritta al n. 269 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 179 del 16 luglio 1969;
6) ordinanza emessa il 24 giugno 1969 dal tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Quaglia Emidio e la società "Ordil", iscritta al n. 380 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 280 del 5 novembre 1969.
Visti gli atti di costituzione di Banchi Roberto e del calzaturificio Barbagli;
udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1970 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi l'avv. Marcello Morabito, per il Banchi, e gli avvocati Rutilio Sermonti e Carlo Fornario, per il calzaturificio Barbagli.
Ritenuto in fatto
1. - Nel procedimento civile vertente tra Roberto Banchi e la ditta "Calzaturificio Francesco Barbagli e figli", e in ordine alla tesi prospettata dal ricorrente che "quando l'agente si avvalga del diritto di recesso dal contratto, quali che siano i motivi del recesso, dall'esercizio di tale diritto non può derivare la perdita dell'indennità prevista dall'art. 1751" del codice civile, la Corte di cassazione, dopo aver dato atto che questa norma é generalmente interpretata nel senso che la detta indennità non sia dovuta in caso di recesso ad nutum dell'agente dal contratto di agenzia a tempo indeterminato (e quindi nelle ipotesi in cui lo scioglimento del contratto derivi da esclusiva volontà dell'agente ovvero questi adduca una "giusta causa" che risulti inesistente), con ordinanza del 3 luglio 1968 e d'ufficio, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale del citato art. 1751, comma primo, limitatamente alla parte in cui dispone che la anzidetta indennità é dovuta solo se il contratto si sciolga per fatto non imputabile all'agente. Ha reputato al riguardo valide le considerazioni poste da questa Corte, con sentenza n. 75 del 1968, a base della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 2120, comma primo, del codice civile, e cioè che l'indennità riveste carattere retributivo, costituendo parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita al momento della cessazione del rapporto allo scopo di agevolare il lavoratore nel superamento delle difficoltà economiche possibili ad insorgere per il venir meno del salario, e che conseguentemente quell'indennità sia dovuta in ogni caso di cessazione del rapporto ed anche nelle ipotesi di colpa del lavoratore o di sue dimissioni volontarie. E specificamente ha ritenuto che si dovesse riconoscere all'indennità de qua "carattere retributivo, a corresponsione differita in vista delle medesime finalità", tanto più che col vigente codice civile si sarebbe inteso estendere al contratto di agenzia per quanto concerne l'estinzione del rapporto, i principi relativi al rapporto di lavoro subordinato. L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.
2. - Davanti a questa Corte si sono costituiti il Banchi a mezzo degli avvocati Aldo Nonvel, Mario Morabito e Vittorio Amici, con deduzioni depositate il 17 ottobre 1968 e la ditta "Calzaturificio Francesco Barbagli e figli" a mezzo degli avvocati prof. Alfonso Sermonti e Carlo Fornario con deduzioni depositate sotto la stessa data.
Il Banchi, richiamata la già citata sentenza n. 75 del 1968 di questa Corte, ha sostenuto che allo stesso trattamento usato per il lavoratore subordinato, debba essere sottoposto l'agente o rappresentante per ragioni di carattere etico giuridico (in quanto non sarebbe concepibile nel vigente ordinamento sociale che un lavoratore di qualsiasi specie, il quale voglia recedere dal rapporto a tempo indeterminato, non lo possa fare senza perdere il diritto alle indennità per lo scioglimento del rapporto stesso) e per ragioni di mero diritto (in quanto del tutto simili, per quel che concerne l'indennità de qua, sarebbero le figure del lavoratore subordinato e dell'agente o rappresentante). A quest'ultimo riguardo si é richiamato all'orientamento secondo cui col vigente codice civile si é inteso estendere al contratto di agenzia, per quanto concerne l'estinzione del rapporto, i principi che disciplinano il lavoro subordinato, ricordando che detto orientamento risulterebbe dalla relazione ministeriale per l'approvazione del codice stesso (n. 723) e che sarebbe stato seguito dalla Corte di cassazione (con due pronunce del 1953 e 1954) la quale avrebbe affermato l'analogia esistente tra il trattamento dell'agente e quello del lavoratore subordinato ed il carattere retributivo e previdenziale dell'indennità ex art. 1751. Ed ha pure osservato che la perdita dell'indennità per lo scioglimento del rapporto sarebbe molto più onerosa per l'agente che non per il lavoratore subordinato.
Posto, quindi, che l'agente per quanto concerne la ripetuta indennità deve considerarsi alla stregua di un lavoratore subordinato e che detta indennità é "un supplemento di retribuzione di natura previdenziale con pagamento differito", il Banchi ha concluso per la fondatezza della questione.
Il calzaturificio Barbagli con le deduzioni e con memoria illustrativa depositata l'11 marzo 1970 ha, per converso, chiesto che la Corte volesse pronunciarsi per la non fondatezza. A sostegno della richiesta ha osservato che la Cassazione ha sollevato la questione unicamente perché ha ritenuto valide in ordine ad essa le argomentazioni adottate da questa Corte con la citata sentenza n. 75 del 1968 a proposito dell'art. 2120 del codice civile; che di esse, però, il giudice a quo avrebbe richiamato solo la più generica (quella relativa al carattere retributivo dell'indennità di anzianità) e non le altre (di rilievo specifico, sia in relazione all'art. 3 che all'art. 36 della Costituzione); e che se si fossero tenute presenti anche le ultime argomentazioni si sarebbe dovuto ritenere manifestamente infondata la questione.
Ed infatti non rileverebbe il carattere retributivo delle due indennità bensì l'applicabilità (che per quella ex art. 1751 sarebbe da escludersi) dell'art. 36 della Costituzione; e si dovrebbe tenere presente che, giusta anche la recente sentenza n. 1452 del 1969 della Cassazione, l'agente é sempre un imprenditore o quanto meno un lavoratore autonomo, e non é legato al committente da un rapporto di subordinazione gerarchica. E a tali peculiari caratteri corrisponderebbero i differenti criteri seguiti nella disciplina della indennità.
Del resto - secondo la difesa del calzaturificio Barbagli - la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 1968 avrebbe fissato gli essenziali criteri giuridici discriminatori del rapporto di agenzia da quello di lavoro subordinato, per cui ogni estensione (oltre quella ipotizzabile per l'indennità de qua) al contratto di agenzia della disciplina del lavoro subordinato dovrebbe essere riservata al legislatore.
Da ciò ne conseguirebbe che la questione di cui si tratta é a sé stante e la risoluzione di essa non può direttamente derivare da quella adottata per la questione a suo tempo sollevata per l'art. 2120 del codice civile: l'indennità ex art. 1751 (a differenza di quella di anzianità) infatti "entra, fin dall'inizio del rapporto, nel patrimonio e così nella proprietà dell'agente"; in caso di morte dell'agente, spetta iure hereditario agli eredi; é computata in base alle provvigioni liquidate nel corso dell'intero contratto, ed é infine improntata al concetto che l'agente, con la sua impresa, opera a proprio rischio.
D'altra parte non sarebbero invocabili le disposizioni della Costituzione a riferimento: non l'art. 36, perché questo non si riferisce all'agente, in quanto occorrerebbe dimostrare che dall'omessa corresponsione dell'indennità risulti in concreto una violazione dei principi del salario costituzionale e perché l'eventuale perdita dell'indennità non costituirebbe un'ingiusta mortificazione della persona dell'agente; e neppure l'art. 3, perché radicali diversità intercorrono tra il contratto di agenzia e quello di lavoro subordinato.
3. - La stessa questione di legittimità costituzionale ed in riferimento ai medesimi articoli della Costituzione (3 e 36) é stata sollevata dalla Corte di cassazione con altra ordinanza (del 19 novembre 1968 nel procedimento civile vertente tra la società "Ares Pubblicità" e Carmelo Sorge) e dalla Corte di appello di Milano con ordinanza del 7 febbraio 1969 (nel procedimento civile vertente tra Sirio Grigò ed il "Laboratorio bioterapico milanese V. Selvi e C.").
In particolare la Corte di appello di Milano ha sollevato la questione, precisando che nella specie si era in presenza di successivi contratti di agenzia a tempo determinato ma che l'art. 1751 sarebbe applicabile a norma dell'art. 3 dell'Accordo economico collettivo del 20 giugno 1956.
4. - Con altra ordinanza del tribunale di Bologna, dell'11 aprile 1969, emessa nel procedimento civile vertente tra Danilo Saletti e Alberto Busmanti, la detta questione é stata sollevata con riferimento non solo agli artt. 3 e 36, ma anche all'art. 4 della Costituzione. La norma sarebbe in contrasto con l'art. 36 perché l'agente verrebbe privato del frutto del suo lavoro, con gli artt. 3 e 4 perché sarebbe limitata di fatto la sua libertà nella scelta di un lavoro diverso e ancora con l'art. 3 perché dopo la sentenza di questa Corte concernente la parziale illegittimità dell'art. 2120, si creerebbe una disparità di trattamento tra lavoratori che si trovano in situazioni identiche.
5. - La ripetuta questione é stata infine sollevata, in riferimento al solo art. 36 della Costituzione, con altre due ordinanze, una dello stesso tribunale di Bologna emessa il 9 aprile 1969 nel procedimento civile vertente tra la S.r.l. "Organizzazione Pilota" e Pietro Grossi é l'altra datata 24 giugno 1969, emessa dal tribunale di Padova, nel procedimento civile vertente tra Emilio Quaglia e la S.p.a. "Ordil" di Padova. In particolare il tribunale di Bologna ha ricordato l'origine storica dell'analogia esistente tra il trattamento riservato all'agente e quello disposto in favore del lavoratore subordinato e ne ha visto dei segni anche nell'art. 1743 del codice civile, e nella disciplina collettiva, nonché il riconoscimento in varie pronunce giurisprudenziali. E, rilevata la sostanziale identità delle due ipotesi, di fatto imputabile all'agente e di colpa del lavoratore subordinato, ha concluso per l'illegittimità costituzionale dell'art. 1751, in quanto la indennità ivi prevista ha natura di retribuzione differita ed ha conseguentemente la funzione di controprestazione della attività di collaborazione svolta nell'interesse del preponente.
Il tribunale di Padova, da parte sua, premesso che la questione era nella specie rilevante, nonostante che fosse stata eccepita la carenza di legittimazione passiva del preponente, dovendosi riconoscere all'agente il diritto ad un'azione di accertamento dell'obbligo del preponente di regolarizzare la corrispondente posizione assicurativa, ha sollevato la ripetuta questione sul presupposto che l'indennità de qua avesse l'uguale funzione retributiva e previdenziale di quella spettante al lavoratore subordinato.
Le cinque ordinanze sopra richiamate sono state tutte regolarmente notificate, comunicate e pubblicate. Nei relativi giudizi davanti a questa Corte nessuna delle parti si é costituita.
6. - In nessuno dei giudizi di cui sopra ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
All'udienza del 24 marzo 1970 l'avv. Marcello Morabito (per delega dell'avv. Mario Morabito) per il Banchi, e gli avvocati Rutilio Sermonti (per delega dell'avv. prof. Alfonso Sermonti) e Carlo Fornario, per il calzaturificio Barbagli, hanno svolto le ragioni a sostegno delle rispettive tesi é richieste.
Considerato in diritto
1. - Le sei ordinanze che hanno dato vita ai giudizi di cui in narrativa, sottopongono all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell 'art. 1751, comma primo, del codice civile nella parte in cui dispone che l'indennità per lo scioglimento del contratto di agenzia a tempo indeterminato é dovuta solo se il contratto si sciolga per fatto non imputabile all'agente, in riferimento agli artt. 3, 4 e 36 della Costituzione.
É per ciò disposta la riunione dei relativi procedimenti, e le cause vanno decise con unica sentenza.
2. - I giudici a quo premettono che "la disposizione del citato articolo 1751 viene generalmente intesa nel senso che la detta indennità non sia dovuta in caso di recesso ad nutum dell'agente dal contratto di agenzia a tempo indeterminato, in quanto la "imputabilità" di cui si parla nell'art. 1751 va intesa nel senso di "attribuibilità" e quindi comprende anche l'ipotesi in cui lo scioglimento del contratto derivi da esclusiva volontà dell'agente" e che "a tale ipotesi si dovrebbe, poi, equiparare quella in cui l'agente adduca una "giusta causa" che risulti inesistente" (ord. n. 173 del 1968); dato ciò, assumono che la questione sarebbe non manifestamente infondata perché l'indennità de qua avrebbe identità di natura giuridica, di modalità di determinazione e corresponsione di finalità pratiche, o evidente analogia (ord. n. 269 del 1969) con quella di anzianità prevista dall'art. 2120, comma primo, del codice civile e perché quindi per essa dovrebbero valere le considerazioni in forza delle quali questa Corte ha, con la sentenza n. 75 del 1968, risolto la questione relativa alla norma da ultimo citata, dichiarandone la parziale illegittimità costituzionale.
Assumono altresì che "l'agente di commercio, pur nella autonomia della sua posizione, svolge delle prestazioni assimilabili sotto alcuni punti di vista a quelle di lavoro, sia per la natura intrinseca delle sue attività, sia per i suoi obblighi verso il preponente (artt. 1746 e 1747 cod. civ.)" (ord. n. 125 del 1969); ed infine, per quanto riguarda la estinzione del rapporto di agenzia, che col vigente codice civile (come avverte la relazione ministeriale per l'approvazione del testo definitivo, n. 723) sarebbero stati applicati "i principi relativi al rapporto di lavoro subordinato" (ord. n. 173 del 1968), ed infine, a proposito dell'indennità per lo scioglimento del contratto di agenzia, che "l'estensione all'agente di una tutela identica a quella accordata al lavoratore" sarebbe stata giustificata "per la stabile collaborazione che l'agente presta alla impresa del preponente, di cui costituisce un vero e proprio ausiliario" (ord. n. 257 del 1969, che si richiama alla relazione ministeriale per l'approvazione del libro "Delle obbligazioni" per altro identica a quella definitiva).
3. - La Corte ritiene che non sia fondata la denuncia in riferimento all'art. 36 e, correlativamente, all'art. 3 della Costituzione.
Il rapporto di agenzia é diverso da quello di lavoro subordinato. Infatti l'agente, anche se ha la posizione di favore d'essere solo ad operare per conto del preponente in una zona determinata, ha diritto, non ad un salario o ad uno stipendio e cioè ad una retribuzione sicura, ma alla provvigione per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione, con la conseguenza, data questa natura del rapporto, che non può essergli garantito un minimo vitale e non gli spetta alcun compenso per l'attività non concretantesi in affari conclusi ed eseguiti. La diversità é tra i due rapporti tale che non si può argomentare dall'uno all'altro: del resto l'agente, piuttosto che lavoratore subordinato, in dottrina é ritenuto egli stesso un imprenditore.
Né deriva che l'indennità per lo scioglimento del contratto d'agenzia non costituisce, come invece l'indennità di anzianità spettante al lavoratore subordinato, una retribuzione ritardata. Essa é piuttosto il corrispettivo, a fine rapporto, dell'utilità che l'agente ha apportato all'azienda del preponente e che non può dirsi compensata dalle provvigioni: di una utilità consistente soprattutto nel procacciamento e nella conservazione della clientela, e destinata a durare nel tempo.
Ma lo scioglimento del contratto a tempo indeterminato causato da fatto imputabile all'agente é suscettibile di procurare al preponente un danno sia per sé che rispetto alla clientela. Di modo che non può dirsi irragionevole la norma secondo cui, operandosi una compensazione tra questo danno e quell'utilità, cada il presupposto per la corresponsione dell'indennità.
Non é perciò configurabile una violazione dell'art. 36. Il quale d'altra parte vuole assicurare la tutela della persona del lavoratore e la soddisfazione dei bisogni fondamentali suoi e della sua famiglia; e pertanto non sarebbe invocabile con riferimento a un singolo rapporto d'agenzia, la cui importanza può in concreto essere per l'agente del tutto insignificante e costituire solo una delle fonti del suo reddito.
4. - Nemmeno l'art. 3 della Costituzione risulta offeso dalla norma impugnata. Dato che le posizioni dell'agente e del lavoratore subordinato non sono identiche e non sono state assimilate nella disciplina legislativa, cadono anche le argomentazioni secondo cui il differente trattamento assurgerebbe a violazione del principio di eguaglianza.
La circostanza che l'indennità vada corrisposta all'atto in cui il rapporto di agenzia o di lavoro venga sciolto unilateralmente rivela tutt'al più, tra i due rapporti, un'analogia puramente esteriore di fronte ai profili ed elementi di differenza.
Né si può ravvisare una violazione dell'art. 3 della Costituzione sulla base del citato art. 2120, comma primo, del codice civile, quale risulta a seguito dell'anzidetta pronuncia di questa Corte (n. 75 del 1968) e cioè considerando che l'indennità di anzianità é dovuta in ogni caso di estinzione del rapporto di lavoro: e ciò per la ricordata singolarità della posizione dell'agente.
Del resto l'accostamento della posizione dell'agente a quella del lavoratore in ordine al regime dell'indennità, anche se fondato, non escluderebbe la adeguatezza e razionalità del diverso trattamento atteso che, tra l'altro, il "fatto imputabile" all'agente, che funziona da discriminante, ha, come si é detto, una sua portata particolare, logico riflesso della struttura e funzione del rapporto di agenzia.
5. - Non é, infine, fondata la questione nei termini in cui e prospettata dal tribunale di Bologna, con l'ordinanza n. 257 del 1969, in riferimento agli artt. 3 e 4 della Costituzione e sostanzialmente al secondo di essi in relazione al primo: infatti la norma denunciata non pone limiti alla libertà di lavoro e tanto meno la rinnega.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1751, comma primo, del codice civile, sollevata con le ordinanze indicate in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 4 e 36 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 25 maggio 1970.