SENTENZA N. 9
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, primo e quinto comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 giugno 1968 dal pretore di Novara nel procedimento penale a carico di Benaglia Lucio ed altri, iscritta al n. 165 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 28 settembre 1968.
Udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1969 il Giudice relatore Michele Fragali.
Ritenuto in fatto
1. - Il pretore di Novara, con la sua ordinanza 24 giugno 1968, ha promosso giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, primo e quinto comma, del codice di procedura penale, per contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, 68, 112 della Costituzione. Le disposizioni denunciate regolano il procedimento penale in ogni caso in cui é necessaria un'autorizzazione.
Il pretore ritiene che, nel suo quinto comma, il predetto art. 15 del codice di procedura penale, facendo un cenno soltanto generico al ritardo nella concessione dell'autorizzazione senza porvi limite, consenta di rendere eventualmente inefficace la azione e l'esecuzione penale, mentre l'art. 68 della Costituzione, per la sua natura eccezionale e per le finalità che persegue, richiede l'urgente esame delle richieste di autorizzazione; crea inoltre, per i casi che non rientrano nella sfera del citato art. 68, una disparità di trattamento tra i cittadini, non giustificata da una diversità di situazioni oggettive e soggettive; contrasta infine con l'art. 112 della Costituzione, nei limiti in cui consente ingiustificati impedimenti all'esercizio dell'azione penale. Quanto al primo comma del citato art. 15 del codice di procedura penale, esso, vietando che il pubblico ministero possa contestare l'accusa con mandato e possa procedere all'interrogatorio dell'imputato prima che sia concessa l'autorizzazione, viola ingiustificatamente il diritto di difesa, perché esclude quel contatto diretto fra l'imputato e l'organo dell'azione penale che é garanzia di un'adeguata difesa, e può offrire elementi per un proscioglimento in istruttoria. Infine il pretore rileva che il parlamentare può trovare una ulteriore menomazione del diritto di difesa nella irrinunziabilità delle prerogative comunemente ritenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, nei limiti in cui gli é impedito di tutelare meglio le proprie ragioni con il completo svolgimento del procedimento.
2. - Innanzi a questa Corte nessuno si é costituito e, pertanto, il procedimento ha seguito le forme dell'art. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità del quinto comma dell'art. 15 del codice di procedura penale, che allega la mancanza di rimedi contro i ritardi nel procedimento parlamentare di autorizzazione a procedere é priva del presupposto di base. L'art. 42 del regolamento della Camera dei deputati e l'art. 56 del regolamento del Senato della Repubblica prescrivono che, trascorsi quindici giorni per la Camera e trenta per il Senato, se la commissione referente non ha presentato la sua relazione, rispettivamente, il Presidente della Camera annunzia che la domanda sarà iscritta senz'altro all'ordine del giorno, con precedenza assoluta su qualsiasi altro argomento, dopo le interrogazioni, e il Presidente del Senato dispone, senz'altro, l'iscrizione della domanda all'ordine del giorno con uguale precedenza. L'esistenza di tali norme dimostra che, per la materia di cui si tratta, l'ordinamento contiene già misure di sollecitazione delle deliberazioni parlamentari: e si tratta di misure che, attenendo all'ordine dei lavori delle Camere, trovano sede legittima di previsione nei regolamenti deliberati dalle stesse.
L'applicazione di tali disposizioni non può certo formare oggetto di controllo esterno, e comunque dar ragione ad illegittimità costituzionale della disposizione denunciata.
2. - Non é fondato che la norma stessa vulneri il principio di parità. La prerogativa di cui si discute protegge la sfera di autonomia delle Camere e garantisce l'esercizio della funzione parlamentare; quindi deve coinvolgere unicamente la posizione dei soggetti che le Camere compongono, ed essi soli, perché é tale posizione che viene a formarne fondamento logico e giuridico. Né una disparità viene dal fatto che, quando l'autorizzazione ritarda, deve disporsi lo stralcio del procedimento penale riguardo a quanti non godono della garanzia costituzionale: la sospensione del procedimento anche contro costoro, di fatto estenderebbe la prerogativa a soggetti estranei all'attività del Parlamento, e violerebbe perciò la lettera e lo spirito dell'art. 68 della Costituzione.
Non é neppure sostenibile che, non proponendosi di ovviare alle remore che l'autorizzazione comporta, l'art. 15, quinto comma, del codice di procedura penale permetta un ingiustificato impedimento all'esercizio dell'azione punitiva. Le procedure parlamentari possono trovare regola soltanto nell'esplicazione dell'autonomia conferita alle singole assemblee; a favore delle quali perciò deve riconoscersi, in materia, una riserva di competenza normativa. D'altro canto il procedimento per la concessione dell'autorizzazione non può non avere regole che si coordinano con il carattere politico dell'atto; e se é vero che viene sospesa l'attuazione dell'obbligo del pubblico ministero di esercitare l'azione penale, é dalla norma costituzionale che l'effetto proviene, avendo essa dato alla singola Camera legittimazione esclusiva alla scelta del tempo e del modo di esercizio della competenza che le spetta, perché soltanto la singola Camera é legittimata a regolare lo svolgimento dei propri lavori.
3. - Circa l'altro assunto prospettato dall'ordinanza, per cui viola il diritto di difesa il divieto fatto al pubblico ministero, nell'art. 15, primo comma, del codice di procedura penale, di contestare l'accusa e di procedere all'interrogatorio dell'imputato prima che sia concessa l'autorizzazione, la Corte osserva che il divieto stesso concorda con il contenuto dell'art. 68 della Costituzione.
L'emissione di un mandato o di un ordine, anche di semplice comparizione, é espressione di una potestà coercitiva del giudice o del pubblico ministero; e l'art. 68 predetto ha escluso tassativamente che il magistrato possa rivolgere tale sua potestà contro coloro che appartengono alle assemblee parlamentari. Lo ha escluso quando gli ha vietato di privare il deputato o il senatore della libertà personale, la quale, secondo la sentenza di questa Corte del 19 giugno 1956 n. 11, viene ad essere ristretta ogni qualvolta si pone ad un soggetto un obbligo di fare o di non fare. Il parlamentare deve essere sottratto a limitazioni o ad ostacoli nella esplicazione della sua funzione provenienti da poteri che non facciano capo alla Camera cui appartiene, e che potrebbero assumere il carattere di interferenza nello svolgimento della funzione dell'organo sovrano.
Il pretore obietta che il divieto succitato esclude quel diretto contatto tra l'imputato e il giudice che può offrire elementi per un proscioglimento in istruttoria. Ma se fosse consentito quel contatto, si permetterebbe, al parlamentare, di sottrarsi all'immunità prima ancora che la Camera di appartenenza accerti l'esistenza di serie ragioni di privazione della prerogativa; di cui soltanto la camera può disporre perché é prevista a favore di essa o per lo svolgimento regolare e libero della sua funzione, nell'interesse dell'ordinamento, e soltanto strumentalmente a favore di coloro che sono investiti dell'esercizio di quella funzione. Il carattere irrinunziabile della prerogativa, riconosciuto quasi unanimemente, e al quale l'ordinanza si richiama per desumere una ulteriore ragione di menomazione del diritto di difesa del parlamentare, ha radice nella necessità di proteggere la funzione dell'organo costituzionale anche contro atteggiamenti del suo componente, che vulnererebbero l'essenza stessa della garanzia e la sua efficienza, anche se ispirati ad un soggettivo vantaggio immediato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, primo e quinto comma, del codice di procedura penale, proposta dal pretore di Novara con ordinanza 24 giugno 1968, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 68 e 112 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 28 gennaio 1970.