SENTENZA N. 1
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZI'
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 195 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1968 dal pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Zulian Giampaolo, iscritta al n. 83 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1969 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il pretore di Padova, con sentenza in data 13 marzo 1968, assolveva per insufficienza di prove Zulian Giampaolo dal reato di lesioni colpose in danno di Chiodetto Maria Teresa, che si era costituita parte civile nel relativo procedimento.
Avverso tale sentenza, la Chiodetto proponeva ricorso per cassazione per i soli interessi civili.
In sede di esame sulla ammissibilità' della impugnazione, lo stesso pretore di Padova, con ordinanza emessa il 23 marzo 1968, proponeva, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 del codice di procedura penale con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Nell'ordinanza si osserva che, nel caso di proscioglimento dell'imputato, la parte civile può proporre impugnazione, ai sensi dell'art. 195 del codice di procedura penale, soltanto quando essa sia stata condannata alle spese e al risarcimento del danno.
Poiché, nella specie, non vi era stata alcuna pronuncia del genere a carico della Chiodetto, il ricorso da lei proposto avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, secondo il disposto dell'art. 207, comma primo, del codice di procedura penale, per difetto di legittimazione all'impugnazione della proponente.
Né secondo il pretore di Padova alla dichiarazione di inammissibilità' avrebbe potuto ovviarsi, come vuole un recente indirizzo dottrinario, mediante una interpretazione estensiva delle norme sulla impugnazione della parte civile, in rapporto all'art. 111 della Costituzione, poiché il semplice richiamo a tale disposizione non é idoneo a modificare il sistema delle impugnazioni disciplinato dal vigente codice di procedura penale e ad alterare i limiti e le condizioni stabilite dall'art. 195.
Invece, secondo il pretore, preliminare al giudizio sulla ammissibilità della impugnazione, é la questione di legittimità costituzionale del citato art. 195: perché esso appare, a suo dire, in netto contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto limita gravemente ed ingiustamente il diritto di difesa della parte civile nei confronti delle altre parti, impedendole di impugnare una sentenza che, quanto meno, potrebbe compromettere definitivamente il suo diritto al risarcimento del danno non patrimoniale.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968.
2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte, si e costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale con atto di intervento e deduzioni del 5 luglio 1968 ha chiesto che sia dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale promossa dal pretore di Padova.
In via pregiudiziale, l'Avvocatura prospetta il dubbio circa la legittimazione del giudice a quo a sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di esame sulla ammissibilità della impugnazione ex art. 207 del codice di procedura penale. La soluzione negativa invero sarebbe suffragata dal fatto che il giudice a quo, nei procedimenti di impugnazione, ha una competenza di carattere eccezionale, limitata alle questioni di inammissibilità rilevabili ictu oculi; pertanto, come organo sfornito di poteri decisori sul merito della causa, egli non sarebbe legittimato a proporre questioni di legittimità costituzionale.
Relativamente alla dedotta questione, l'Avvocatura osserva che l'esercizio dell'azione civile nel processo penale trova il suo limite nella natura stessa dell'azione che si fa valere: la tutela civile infatti é strettamente collegata alla tutela penale sino a quando sussiste una coincidenza delle due tutele; quando tale coincidenza viene meno, come nel caso di pronunzia assolutoria dell'imputato, le due forme di tutela si scindono, con la conseguenza che il giudice penale non ha più alcun potere decisorio in ordine all'azione civile, e la stessa parte civile non ha più alcun interesse a far valere in sede penale la sua pretesa. L'azione civile, perciò, ritorna nella sua sede naturale, salve, naturalmente, le preclusioni nascenti dal giudicato penale.
Il fatto che la parte civile non sia legittimata ad impugnare la sentenza penale assolutoria (salvo il caso di sua condanna alle spese ed ai danni), trova la sua giustificazione nella circostanza che il suo diritto di difesa é garantito, in sede penale, nei limiti dell'interesse che essa ha fatto valere.
Pertanto, secondo l'Avvocatura, poiché l'art. 195 offre alla parte civile quella protezione necessaria e sufficiente alla natura dell'azione esercitata e alla posizione assunta nel processo penale, le censure formulate dal giudice a quo risultano prive di fondamento. Non sussiste infatti nessuna disparità di trattamento della parte civile rispetto alle altre parti del processo penale, in quanto le loro posizioni sono talmente diverse da non consentire alcun confronto; neppure può parlarsi di violazione di difesa in quanto l'art. 195 del codice di procedura penale assicura la più ampia difesa nei limiti della natura del bene dedotto in giudizio.
Considerato in diritto
1. - Il pretore di Padova, essendo chiamato a pronunziarsi, ai sensi dell'art. 207 del codice di procedura penale, sull'ammissibilità di un gravame proposto da una parte lesa, costituita parte civile, contro una sua sentenza, con la quale quel pretore aveva prosciolto l'imputato, ha ritenuto non conforme alle norme costituzionali relative al diritto di difesa la disposizione dell'art. 195 dello stesso codice che, nella ipotesi di proscioglimento dell'imputato, consente alla parte civile un diritto di gravame limitato al solo caso in cui essa sia stata condannata ai danni e alle spese. Al riguardo l'Avvocatura dello Stato prospetta preliminarmente il dubbio che, al giudice chiamato ad esprimere il sommario giudizio di cui all'art. 207 del codice di procedura penale non sia consentito di sollevare questioni di costituzionalità, per essere a lui sottratto l'esame del merito, che é riservato invece al giudice dell'impugnazione.
Ma, secondo questa Corte ha già più volte ritenuto, legittimato a sollevare eccezioni di incostituzionalità é ogni organo investito di funzioni di giurisdizione che, per risolvere una qualsiasi questione sottoposta al suo esame e che abbia il compito di decidere, debba interpretare ed applicare una norma della cui conformità alla Costituzione abbia motivo di dubitare.
E poiché, nel caso, il pretore di Padova doveva, per assolvere il compito commessogli dall'art. 207 del codice di procedura penale, interpretare ed applicare quanto é dal detto articolo disposto, egli era senza dubbio legittimato a sollevare, in rapporto ad esso, questioni di costituzionalità.
Ond'é che il dubbio proposto dall'Avvocatura deve ritenersi infondato.
2. - Passando all'esame del merito, é da precisare che il giudice a quo, benché nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione abbia indicato, come norme di comparazione ai fini del giudizio di costituzionalità, soltanto quelle di cui agli artt. 24, comma secondo, e 3, in realtà egli ha preso in considerazione anche la norma dell'art. 111 della Costituzione, la cui disposizione ha citato nella parte motiva della stessa ordinanza, sia pure per escludere che quella norma abbia importato un diretto effetto abrogativo - modificativo della disposizione e del sistema dell'art. 195 del codice di procedura penale.
É ovvio che il giudice a quo, nel porsi tale quesito, ha manifestato di avvertire un contrasto fra le due norme, quella dell'art. 195 del codice di procedura penale - che esclude il gravame della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato (salvo il caso di sua condanna alle spese e ai danni) - e quella dell'art. 111, comma secondo, della Costituzione, che ammette il ricorso per cassazione contro ogni tipo di sentenza. E deve dedursene che lo stesso giudice, in tanto ha omesso, nelle conclusioni, di richiamare l'art. 111 da lui pur menzionato (e che, nel caso era specificamente pertinente perché la parte civile Chiodetto proprio un ricorso per cassazione aveva proposto), in quanto ha fatto riferimento alla disposizione dell'art. 24, comma secondo, che può considerarsi comprensiva di ogni altra relativa alla tutela del diritto di difesa.
Ciò posto, la Corte ritiene che il giudice a quo abbia dedotto anche la violazione dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione.
3. - La norma impugnata non lede gli artt. 24 e 3 della Costituzione.
Infatti, per quanto riguarda in generale il diritto di difesa, la parte civile ha modo di esercitarlo pienamente nel primo grado del giudizio; sì che, sotto questo aspetto, l'art. 24 della Costituzione non può ritenersi violato. Altrettanto si dica dell'art. 3: se alla parte civile é negato, in certi casi, il diritto di appellare, ciò si giustifica con la singolare posizione che essa, come parte lesa, ha nel processo penale; per cui non sembra irragionevole che, nel silenzio del pubblico ministero e dell'imputato, le manchi il potere di provocare il riesame sul fatto.
4. - Analogo ragionamento non può ovviamente ripetersi per il ricorso per cassazione, poiché l'art. 111, secondo comma, della Costituzione, ammettendolo " sempre", e cioè senza esclusioni, ne attribuisce il potere a tutte le parti del giudizio di merito, quando siano consumate o non siano consentite altre forme di gravame.
Deve riconoscersi quindi che alla parte civile, per il disposto dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione, competa il diritto di ricorrere in cassazione per violazione di legge anche contro la sentenza, sia di primo che di secondo grado, che abbia prosciolto l'imputato e che, non avendo condannato ai danni e alle spese essa parte civile, per l'art. 195 non può essere ora da questa in alcun modo impugnata.
Ed é appena il caso di soggiungere che il ricorso per cassazione, che la parte civile é così ammessa a proporre nelle ipotesi in cui le era prima vietato, ha sempre lo stesso oggetto, e quindi gli stessi limiti, dell'azione civile che essa é abilitata a esercitare nel processo penale; può cioé investire le sole disposizioni della sentenza che concernono i suoi interessi civili. Va poi anche soggiunto che il ricorso per cassazione della parte civile, quando é proposto contro sentenza di primo grado, per lei inappellabile, produrrà effetto soltanto se contro la stessa sentenza non segua un esame in appello, cui la parte civile ha titolo per partecipare in forza del disposto dell'art. 92 del codice di procedura penale, e che abbia luogo a seguito di gravame proposto dall'imputato o dal pubblico ministero.
Deve pertanto concludersi che la disposizione dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione ha reso illegittimo l'art. 195 del codice di procedura penale nella parte in cui questo non consente che la parte civile proponga ricorso per cassazione, limitatamente alle disposizioni concernenti i suoi interessi civili, contro la sentenza, sia di primo che di secondo grado, la quale ha concluso il processo cui essa ha partecipato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 195 del codice di procedura penale, nella parte in cui pone limiti a che la parte civile possa proporre ricorso per cassazione contro le disposizioni della sentenza che concernono i suoi interessi civili.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 22 gennaio 1970.