SENTENZA N. 133
ANNO 1969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3790, promosso con ordinanza emessa il 24 giugno 1967 dal tribunale di Bologna nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Baldi Luigi e Giuseppe e l'Ente per la colonizzazione del Delta padano e tra la società Bonifica di Porto Corsini e l'Ente per la colonizzazione del Delta padano, l'Amministrazione delle finanze ed altri, iscritta al n. 268 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 27 gennaio 1968.
Visti gli atti di costituzione di Baldi Luigi, della società Bonifica di Porto Corsini e dell'Ente per la colonizzazione del Delta padano;
udita nell'udienza pubblica del 3 giugno 1969 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi gli avvocati Carmelo Carbone e Francesco Rigatelli, per Baldi, l'avv. Gian Marco Dallari, per la società Bonifica di Porto Corsini, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Ente Delta padano.
Ritenuto in fatto
1. - Con D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3790, veniva disposta nei confronti di Luigi e Giuseppe Baldi l'espropriazione di un complesso di beni, siti in agro di Ravenna ed aventi una estensione di ettari 2.563.77.34 con un reddito dominicale di lire 291.890,98, con il conseguente trasferimento degli stessi in proprietà all'Ente per la colonizzazione del Delta padano.
L'indennità di espropriazione offerta ai Baldi veniva determinata in complessive lire 99.036.049,95.
Con atto di citazione del 9 marzo 1954 i Baldi convenivano in giudizio davanti al tribunale di Bologna l'Ente per la colonizzazione del Delta padano e chiedevano, previa, occorrendo, dichiarazione di illegittimità costituzionale del decreto, in linea principale che fosse dichiarata illegittima l'occupazione dei beni da parte dell'Ente, ed in subordinazione, che fosse dovuta ad essi attori la somma corrispondente all'effettivo valore dei beni, compresi i fabbricati, nella loro reale consistenza in quel momento.
Successivamente, con atto di citazione del 28 maggio 1955 la s.p.a. Bonifica di Porto Corsini, che con atti datati 7 e 8 novembre 1950 aveva acquistato dai Baldi una parte dei beni espropriati, conveniva davanti allo stesso tribunale l'Ente per la colonizzazione del Delta padano, l'Amministrazione delle finanze dello Stato, il Ministero della marina mercantile, il Ministero dei lavori pubblici ed i Baldi; e chiedeva che l'Ente per la colonizzazione del Delta padano fosse condannato alla restituzione in suo favore dei beni espropriati di sua ragione, per essere il decreto presidenziale viziato di illegittimità costituzionale.
Le due cause venivano riunite con ordinanza dell'8 giugno 1956. I Baldi si associavano alle allegazioni ed alle conclusioni della Società Bonifica di Porto Corsini.
Con ordinanza collegiale del 13 gennaio 1959, veniva disposta consulenza tecnica al fine di accertare la natura di una vasta zona compresa nell'espropriazione, ma il mezzo istruttorio non poteva aver corso a causa della difficoltà ed onerosità dell'accertamento.
Trattative di bonario componimento della lite, protrattesi per anni, risultavano vane.
Rimesse le parti davanti al Collegio, venivano, in via pregiudiziale, rinnovate o sollevate varie questioni di legittimità costituzionale.
Precisamente, Luigi e Giuseppe Baldi deducevano l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3790, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione ed in relazione: a) agli artt. 3,4 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, all'art. 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, all'art. 1 della legge 18 maggio 1951, n. 333, e all'art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, perché il decreto di espropriazione, pur essendo stato modificato il piano particolareggiato di cui all'art. 3 della legge n. 230 del 1950, non era stato preceduto da un nuovo deposito nella Casa comunale di Ravenna e da una nuova pubblicazione del piano stesso nel Foglio annunzi legali della Provincia; b) alla legge n. 841 del 1950 e in particolare all'art. 4 di detta legge, perché nel decreto di espropriazione erano stati inclusi, nel computo del reddito dominicale medio, acque e terreni di immodificabile sterilità, terreni boschivi frangivento e zone edificatorie urbane residenziali ed industriali, tutti non suscettibili di coltivazione e di trasformazione agraria; c) a tutte le disposizioni già citate, perché il procedimento che ha preceduto il decreto presidenziale non é stato svolto per le finalità di legge, ma con il preordinato intento di acquisire, a fini di speculazione, terreni non espropriabili, e perché codesti terreni sono stati quasi totalmente alienati dall'Ente; e d) a tutte le disposizioni citate, per essere state incluse nel computo del reddito dominicale e nell'espropriazione, zone demaniali. La Società Bonifica di Porto Corsini, mentre aderiva alle eccezioni di illegittimità costituzionale proposte dai Baldi, sollevava a sua volta questione di legittimità costituzionale del detto decreto presidenziale, in relazione all'art. 20 della legge n. 841 del 1950 ed in riferimento agli artt. 42, 44, 76 e 77 della Costituzione, adducendo di essere stata privata, nella qualità di proprietaria di gran parte dei beni espropriati, dell'indennità di espropriazione che, invece, era stata liquidata ai venditori.
2. - Il tribunale di Bologna, con ordinanza del 24 giugno 1967, ritenuto il carattere pregiudiziale della risoluzione delle dedotte questioni, dichiarava non manifestamente infondate la prima e la seconda di quelle sollevate dai Baldi e la questione sollevata dalla Società Bonifica di Porto Corsini solo in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione. Dichiarava, invece, manifestamente infondate le altre questioni.
In ordine alle tre questioni, il tribunale riteneva: che, essendo del tutto pacifica in causa la difformità tra i dati contenuti nel piano particolareggiato pubblicato nel F.A.L. del 31 dicembre 1951 e quelli di cui al decreto impugnato, e non essendosi provveduto da parte dell'Ente al nuovo deposito e alla nuova pubblicazione del piano modificato, il procedimento di espropriazione appariva irregolare, in quanto erano stati violati gli artt. 76 e 77 per eccesso di delega, a nulla rilevando in contrario la circostanza che la superficie dei terreni espropriati era minore di quella prevista nel piano particolareggiato, e che ciò era avvenuto su ricorso dei Baldi.
Riteneva, altresì, che, con eccesso di delega in relazione all'art. 4 della legge n. 841 del 1950, non erano stati esclusi sia dal calcolo del reddito dominicale che da quello della superficie, terreni di immodificabile sterilità come le aree denominate "pialasse", che servono da cassa di espansione delle maree per il drenaggio di Porto Corsini e che perciò non sono suscettive di coltivazione, nonché terreni boschivi frangivento.
Riteneva, infine, il tribunale che, a sensi dell'art. 20 della legge n. 841 del 1950, il decreto presidenziale avrebbe dovuto contenere la determinazione dell'indennità spettante alla Società Bonifica di Porto Corsini e che per ciò, essendo stata emessa codesta determinazione, avesse violato la legge di delegazione e gli artt. 76 e 77 della Costituzione.
L'ordinanza del tribunale, ritualmente comunicata e notificata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 27 gennaio 1968.
3. - Nel giudizio davanti a questa Corte si costituivano Luigi Baldi (con deduzioni depositate il 23 ottobre 1967), la Società Bonifica di Porto Corsini (con deduzioni depositate il 27 ottobre 1967) e l'Ente per la colonizzazione del Delta padano (a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 15 febbraio 1968), e chiedevano, le prime due parti, che le questioni fossero dichiarate fondate e la terza, invece, che ne fosse dichiarata l'infondatezza. Il Baldi e l'Ente depositivano nei termini, rispettivamente una memoria ed una breve memoria riassuntiva, con cui insistevano nelle rispettive ragioni e richieste.
A) In ordine alla prima questione, a) l'Ente espropriante assumeva che, l'obbligo della ripubblicazione del piano di scorporo é condizionato ad una effettiva situazione di possibile pregiudizio per l'espropriato e quando, invece, il piano sia modificato o per correzione di errori materiali o in modo da non determinare conflitti con gli interessi dell'espropriato, la sua ripubblicazione costituisce un atto meramente superfluo.
Nella specie non si sarebbe verificata alcuna delle ipotesi previste dall'art. 2 della legge n. 339 del 1952. L'Ente aveva invece accolto parzialmente i ricorsi prodotti dai fratelli Baldi ed in conseguenza di ciò aveva ridotto la quota espropriabile da lire 339.951,14 a lire 291.890,98, con una differenza di lire 48.060,16.
In conseguenza di tale riduzione era stato operato lo stralcio dal piano di alcuni mappali, facendo rimanere inalterati quelli residui e non ne erano stati aggiunti dei nuovi.
La riduzione delle quote di esproprio dall'Ente veniva così motivata. Sarebbero state operate detrazioni dalla consistenza di Luigi Baldi (in ordine ad una particella di Ha. 7.18.60 (reddito dominale lire 668.29) risultata non di sua proprietà) e dalla consistenza dei due fratelli (in ordine a terreni, in parte aree fabbricabili, in parte già coperti da costruzioni e in parte destinati all'uso pubblico, per complessivi Ha.10.48.20 (reddito dominicale lire 4.533,00) e quindi per Ha. 5.24.10 (reddito dominicale lire 2.266,50) per ciascuno dei due). Sarebbe stata, d'altra parte, operata, per il calcolo del reddito dominicale medio, la detrazione dalla consistenza dei pascoli parificità di 2 (equiparati a questo fine, ad incolti produttivi) per una estensione complessiva di Ha. 1.521.34.50 (con un reddito dominicale di lire 51.725,74) (e per ciascuno dei due fratelli Ha. 760.67.25 con un reddito dominicale di lire 25.862,87).
In conseguenza di ciò il piano di scorporo non sarebbe stato sostanzialmente modificato con pregiudizio degli espropriati, ma soltanto rettificato, con correzione di errori materiali e revisione delle quote di reddito espropriabile, in accoglimento dei loro stessi ricorsi. Non si sarebbe avuta alcuna violazione delle norme espropriative. E per ciò nessuna ripubblicazione (che d'altronde non sarebbe stata neppure possibile a seguito della scadenza del termine utile) avrebbe dovuto aver luogo per consentire agli espropriati l'esperimento, in via amministrativa, di nuovi ricorsi volti all'eliminazione di eventuali violazioni di quelle norme.
b) Il costituito Luigi Baldi in ordine alla prima questione assumeva che nel sistema delle leggi di riforma é necessario che vi sia corrispondenza (almeno per la parte che assume rilievo sostanziale) tra il contenuto del piano particolareggiato e quello del decreto di espropriazione. Se il piano particolareggiato subisce modifiche sostanziali, ad es. circa le modalità di determinazione del reddito dominicale dell'intera proprietà e con una differente impostazione data alla base di scorporo, gli interessati devono, attraverso la ripubblicazione del piano, essere posti in condizione di far valere i loro diritti.
Non é necessario - aggiungeva ancora il Baldi - che la mancata ripubblicazione del piano si risolva in un vizio di sostanza, perché l'anzidetta corrispondenza é garanzia essenziale ed inderogabile del decreto di scorporo. Alla ripubblicazione deve procedersi anche se la superficie viene ridotta. La ripubblicazione del piano modificato rientra tra le prescritte forme di pubblicità che tutelano un interesse generale. Concludeva pertanto il Baldi sul punto, sostenendo che le irregolarità del procedimento - e tra questa rientra la mancata ripubblicazione del piano modificato - configurano un vizio di legittimità costituzionale per eccesso di delega. Sarebbe perciò infondata la tesi dell'Ente secondo cui l'obbligo di ripubblicazione del piano modificato sia condizionato da una effettiva situazione di possibile pregiudizio per gli espropriati e che tale situazione non sussiste quando la modifica si sostanzia in una riduzione dell'esproprio ovvero sia dovuta ad accoglimento di ricorsi degli espropriati.
Nella specie, vi sarebbe tra il contenuto del piano e quello del decreto una differenza clamorosa, essendo passati l'estensione della zona espropriata da Ha. 2.927.53.58 ad Ha. 2.563.77.34 (con una riduzione di Ha. 369.76.24), il reddito dominicale da lire 339.951.04 a lire 291.890.98 (con una riduzione di lire 48.061,06) e l'indennità da lire 116.173.141,4 a lire 99.036.049,95 (con una riduzione di lire 17.137.091). Tale differenza rivelerebbe la radicale rielaborazione del piano (anche se non é dato conoscere come in effetti si sia proceduto dall'Ente nelle modificazioni) e sarebbe la conseguenza dell'adozione, da parte dell'Ente, di criteri giuridici differenti da quelli precedentemente seguiti nel piano pubblicato, con una sostanziale modificazione di questo anche all'estensione dei terreni espropriati. L'Ente, comunque, non accogliendo sostanzialmente i ricorsi a suo tempo prodotti dai Baldi, avrebbe adottato un criterio intermedio, empirico, errato.
Il piano, così modificato avrebbe dovuto essere ripubblicato in base all'art. 4 della legge n. 230 del 1950 e non in base all'art. 2 della legge n. 339 del 1952, ma l'Ente non solo non vi ha proceduto, ma provvedendo a suo tempo alla pubblicazione solo nell'ultimo giorno utile (31 dicembre 1951), si era preclusa la possibilità di farlo.
Faceva notare ancora il Baldi che non era e non é consentito all'Ente, in caso di mancata ripubblicazione del piano, di rendere conoscibile in maniera diversa e tardivamente, come nella specie, la situazione. Una ricostruzione siffatta non può essere presa in considerazione, per varie ragioni: anzitutto perché si tratta di semplici asserzioni dell'Ente, in secondo luogo perché le modificazioni sarebbero il frutto dell'adozione di nuovi criteri rispetto all'originario piano ed infine perché, in ordine ai 1.521 ettari di terreno classificati in catasto come pascolo parificato di seconda e pertanto computati a tutti i fini del piano originario, l'Ente ha proceduto ad una equiparazione ad incolti produttivi, solo al fine del computo del reddito medio.
In particolare, a proposito di codesta equiparazione, l'Ente ha operato arbitrariamente, non limitandosi alla eliminazione di semplici errori materiali, ma addirittura modificando la qualifica catastale (pur avendo solo il potere, contro le risultante catastali, di ricorrere alla competente commissione). Analoga operazione arbitraria, d'altra parte, l'Ente avrebbe compiuto a proposito dello stralcio dei terreni in parte aree fabbricabili ed in parti coperti da costruzioni, in contrasto con le risultanze catastali e senza avere il potere di provvedere.
Rilevava, infine, il Baldi che nel decreto presidenziale le estensioni di alcuni mappali sarebbero maggiori rispetto a quelle indicate nel piano particolareggiato, ed un mappale sarebbe nuovo.
4. - B) La seconda questione, come si é sopra precisato, é posta in relazione all'art. 4 della legge n. 841 del 1950 e sempre in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione e concerne la mancata esclusione sia dal calcolo del reddito dominicale che da quello della superficie, e l'avvenuta inclusione nel decreto di "terreni di immodificabile sterilità, come le aree denominate pialasse, che servono da cassa di espansione delle maree per il drenaggio di Porto Corsini e che perciò non sono suscettive di coltivazione", nonché "terreni boschivi frangivento".
a) Al riguardo, la difesa dell'Ente ha osservato che la trasformabilità dei terreni, quale presupposto della loro espropriabilità, deve intendersi in senso meramente tecnico, senza costituire un limite rigorosamente vincolante, ma che la relativa nozione si inquadra in una sfera di valutazione discrezionale riservata al legislatore e non soggetta al sindacato di costituzionalità. Né la Costituzione né la legge di delegazione fissano una nozione di trasformabilità cui il legislatore delegato debba attenersi.
D'altra parte, é indubbio che i boschi, anche se frangivento, non sono esclusi dall'espropriazione.
Pur non avendo il tribunale motivato circa le censure relative all'inclusione nell'esproprio di terreni asseriti edificatori o di zone industriali, ovvero di fabbricati rurali, la difesa dell'Ente si faceva carico di rilevare che tutti i terreni espropriati erano censiti in catasto come agricoli alla data del 15 novembre 1949 (e quindi per essi valeva quanto ora detto circa la trasformabilità) e che il problema relativo ai fabbricati rurali era stato risolto da questa Corte con sentenza n. 62 del 1957.
b) Il Baldi, con le deduzioni e con la memoria, mentre circa gli aspetti relativi alle zone edificatorie ed ai boschi si riportava alle considerazioni svolte nel giudizio di merito, rilevava, a proposito delle "pailasse" che bene aveva fatto il tribunale ad indagare se quelle zone, pur essendo iscritte in catasto rustico, avessero natura diversa dalla proprietà terriera, ed era pervenuto a corrette conclusioni, ritenendo quelle aree non suscettive di coltivazione; e che da codesta constatazione in fatto non poteva non discendere l'illegittimità dell'inclusione delle ripetute aree nel piano di espropriazione approvato col decreto presidenziale. Senza scendere a subordinate, il Baldi si preoccupava di precisare che, se l'Ente avesse escluso dal piano particolareggiato le estensioni lagunari (la cui superficie sarebbe stata di Ha. 2.600), sarebbe venuta meno, nei confronti degli espropriati, la possibilità di una espropriazione; e che dette estensioni dovevano necessariamente essere escluse, perché non costituenti proprietà agricola. Riconoscimenti in tal senso erano nell'operato del catasto che solo a fini fiscali le aveva indicate come "pascolo parificato di seconda" e nel comportamento dell'Ente che ad una parte di essi (Ha. 1.521 su 2.600) aveva attribuito la qualificazione di "incolto produttivo" e che, ad es. in delibere ed in atti di trasferimento a terzi, aveva ammesso il carattere lagunare della zona.
Per tanto, secondo il Baldi, le ripetute estensioni avrebbero dovuto essere del tutto escluse dai computi dell'esproprio e dall'esproprio, e la loro inclusione costituisce il vizio di eccesso dalla delega legislativa, che porta, anche tenuto conto della vastità delle zone, alla totale illegittimità del decreto di espropriazione.
5. - C) In ordine alla terza questione, sollevata in relazione all'art. 20, terz'ultimo comma, della legge n. 841 del 1950, l'Avvocatura dello Stato, per l'Ente di colonizzazione del Delta padano, ricordava che l'acquirente per atto inefficace non é soggetto passivo dell'espropriazione, non deve essere nemmeno indicato nel decreto e non gli si deve attribuire la indennità o la parte corrispondente ai beni acquistati. A codesto acquirente spetta solo un diritto di credito, alla parte di indennità spettantegli, diritto da far valere in sede di svincolo dell'indennità stessa.
Nella specie, la Società Bonifica di Porto Corsini sarebbe priva di legittimazione passiva per far valere la pretesa illegittimità del decreto proprio sotto il profilo del citato art. 20. Né le varrebbe invocare l'art. 2900 del Codice civile, perché l'azione surrogativa sarebbe fondata su un titolo inefficace. Spetta alla Società, come si é detto, solo un diritto di credito sull'indennità, il cui ammontare per altro non é oggetto di contestazione.
La Società Bonifica di Porto Corsini, da canto suo, rilevava che, interpretando l'art. 20 nel senso prospettato dall'Ente, questa Corte sarebbe chiamata ad esaminare d'ufficio se discendendo direttamente l'effetto espropriativo dal combinato disposto dell'art. 20, comma secondo, della legge n. 841 del 1950 e dell'art. 1, ultimo comma, del D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69, tali norme siano compatibili con l'art. 42, comma secondo, della Costituzione, in quanto sarebbe negato retroattivamente il riconoscimento alla proprietà privata, disconoscendosi l'efficacia del suo legittimo acquisto.
Senonché - secondo la Società - l'art. 20 va interpretato diversamente e precisamente nel senso che esso ha solamente reso inopponibili agli Enti di riforma gli atti di acquisto posteriori a determinate date, al limitato effetto del computo del coacervo della proprietà terriera nella sua consistenza al 15 novembre 1949. Con la conseguenza che l'espropriazione va pronunciata nei confronti degli acquirenti ed agli stessi la indennità deve essere offerta e corrisposta.
Insisteva, pertanto la Società per la declaratoria dell'illegittimità del decreto di espropriazione.
Il Baldi, infine, rilevava che la mancanza di determinazione dell'indennità spettante alla Società comportava l'indeterminatezza della parte di indennità di pertinenza dei Baldi e che gli sarebbe giovata (e per ciò chiedeva che fosse emessa) la declaratoria di illegittimità costituzionale del decreto per il motivo rassegnato dalla Società.
6. - All'udienza del 6 novembre 1968 le difese delle parti costituite svolgevano oralmente le rispettive ragioni ed insistevano nelle precedenti richieste.
La Corte, con ordinanza del 20 dicembre 1968 n. 131, considerato che prima di esaminare le questioni della causa appariva opportuno acquisire i piani particolareggiati di esproprio pubblicati il 31 dicembre 1951 dall'Ente per la colonizzazione del Delta padano e portanti i nn. 283/1 e 284/1 nei confronti di Baldi Giuseppe e di Baldi Luigi, nonché tutti gli atti e documenti comunque rilevanti ai fini dell'approntamento dei piani particolareggiati concernenti le stesse ditte ed approvati col D.P.R. n. 3790 del 1952, disponeva che l'Ente procedesse al deposito in cancelleria ed entro 60 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza, degli indicati atti e documenti.
Nel termine l'Ente depositava, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, copia dei piani particolareggiati originari, i modelli Q (con allegati) relativi al calcolo della quota scorporabile ai fini dei piani particolareggiati originari ed agli effetti del decreto di esproprio, e fotocopie delle Gazzette Ufficiali contenenti il decreto di esproprio e dell'errata corrige.
7. - Sotto la data del 20 maggio 1969, il Baldi depositava una seconda memoria e lo stesso faceva l'Ente per la colonizzazione del Delta padano.
Il Baldi sosteneva che dalle controdeduzioni dell'Ente al ricorso dei fratelli Baldi contro i piani di esproprio risulta in modo inequivoco che a suo tempo fu proposta "l'approvazione di un piano radicalmente differente dai piani particolareggiati pubblicati senza provvedere a ripubblicazione, non per avere effettuato correzioni di errori materiali, ma per avere adottato nuovi criteri, differenti concetti giuridici, rispetto ai piani particolareggiati pubblicati".
In particolare la difesa del Baldi rilevava che l'Ente, riconoscendo che vastissime estensioni erano vincolate al servizio del porto ed operando di conseguenza una cospicua detrazione, aveva adottato un concetto giuridico totalmente diverso da quello precedentemente applicato. Ed infatti, mentre in sede di formazione dei piani particolareggiati, l'Ente aveva ritenuto che il terreno di cui sopra, catastalmente parificato, a fini fiscali, a pascolo di seconda, doveva essere considerato terreno in conseguenza di detta parificazione, in un secondo momento, e precisamente in sede di approntamento dell'unico piano particolareggiato approvato col ripetuto decreto, aveva considerato quel terreno come incolto produttivo, modificando il criterio di valutazione adottato per la formazione dei piani particolareggiati originari, oggetto di pubblicazione.
In ordine al secondo profilo della sollevata questione la difesa del Baldi insisteva nel rilevare che sarebbero stati espropriati terreni di immodificabile sterilità, assumendo che tale conclusione sarebbe pienamente confermata dalle citate controdeduzioni dell'Ente. In detto documento l'Ente avrebbe riconosciuto, infatti, che tali "terreni" erano "estensioni di acqua e non terreno, e tanto meno terreno agricolo, vincolate alla funzione idraulica... indispensabile al funzionamento del porto e alla navigazione". Sulla base di codesti presupposti tali zone avrebbero dovuto essere escluse da ogni computo e valutazione; ed invece l'Ente le ha prese in considerazione e computate "con la semplicistica affermazione che dette zone debbono essere computate in quanto esse sono classificate pascoli parificati oppure pascoli".
Osservava, infine, la difesa del Baldi che l'Ente, dovendo per altre ragioni ridurre la superficie scorporabile, avrebbe operato in modo da lasciare ai Baldi la "pialassa" del Piombone, e cioè un'estensione d'acqua, aggravando in tal modo, nei confronti degli espropriati i già ingenti danni agli stessi occorsi in conseguenza dell'attuazione delle leggi di riforma agraria. Con la memoria sopra ricordata, da canto suo l'Ente insisteva perché la sollevata questione fosse dichiarata infondata.
Premesso che, essendo l'onere della nuova pubblicazione previsto dalla legge come garanzia sostanziale, prima ancora che formale in favore di soggetti espropriati, l'esigenza ispiratrice della relativa norma consiste nell'impedire il verificarsi di un possibile pregiudizio a carico dei soggetti passivi del procedimento, secondo la difesa dell'Ente nella specie non si sarebbe verificata l'ipotesi dell'indicato pregiudizio e quindi non era necessario che si procedesse a nuova pubblicazione. Le modificazioni ai piani particolareggiati, infatti, erano state apportate in conseguenza dell'accoglimento parziale di ricorsi presentati dai fratelli Baldi, i quali da ciò erano stati notevolmente avvantaggiati.
Inoltre, i piani originari non erano stati sostanzialmente modificati, con pregiudizio degli espropriati, ma solo rettificati, con la semplice correzione di errori materiali e revisione delle quote di reddito espropriabile, e senza l'adozione di differenti criteri di espropriazione. E pertanto, anche sotto questo secondo profilo, per l'Avvocatura dello Stato, non si erano mai verificati i presupposti perché si dovesse procedere ad una nuova pubblicazione dei piani.
8. - All'udienza del 3 giugno 1969, le parti costituite svolgevano ancora una volta e conclusivamente le rispettive ragioni e richieste.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3790, con cui é stata disposta nei confronti di Luigi e Giuseppe Baldi l'espropriazione di terreni dell'estensione di ettari 2.563.77.34, in favore dell'Ente per la colonizzazione del Delta padano, é sollevata anzitutti, in relazione agli artt. 3, 4 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, all'art. 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, all'art. 1 della legge 18 maggio 1951, n. 333 e all'art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Ritiene il tribunale di Bologna che "il piano particolareggiato determina il contenuto della legge provvedimento in cui si concreta l'attività delegata e che i diritti dell'espropriando e dei terzi sono tutelati dalle prescritte forme di pubblicità, fra le quali va annoverata, la nuova pubblicazione del piano particolareggiato di esproprio quando esso abbia subito modifiche"; che "é del tutto pacifico in causa che vi é differenza tra i dati contenuti nel F.A.L. del 31 dicembre 1951" (nel quale sono stati pubblicati i piani particolareggiati originari nn. 283/1 e 284/1, di eguale contenuto, rispettivamente intestati a Giuseppe Baldi ed a Luigi Baldi) "e quelli contenuti nel D.P.R. n. 3790"; e che, perciò non risultando pubblicati i piani particolareggiati definitivi, non sarebbero state osservate le norme delle leggi di delega già citate e sarebbero stati violati gli artt. 76 e 77 della Costituzione.
La questione di legittimità costituzionale del decreto di esproprio, sotto questo primo profilo, ad avviso della Corte, non é fondata.
2. - Nella specie, risulta in punto di fatto dall'ordinanza del giudice a quo, dagli atti e dalle ammissioni delle parti in questa sede, che il piano particolareggiato definitivo, approvato con il detto decreto n. 3790 del 1952, ha un contenuto parzialmente diverso da quello dei due piani originari (complessivamente considerati) e che a questi sono state apportate varie modifiche.
Il piano particolareggiato approvato differisce da quelli originari in quanto prevede l'espropriazione di terreni per un'estensione di ettari 2.563.77.34 con un reddito dominicale di lire 291.890,98 e l'offerta di un'indennità di lire 99.036.049,95 mentre i piani originari riguardano complessivamente ettari 2.927.53.58 con un reddito dominicale di lire 339.951,14 e l'indennità offerta ammonta a lire 116 milioni 173.141,40. Le tre voci risultano così ridotte, rispettivamente di ettari 363.76.24 di estensione e di lire 48.060,16 di reddito dominicale, e di lire 17.137.092,25 di indennità.
A tali riduzioni si accompagnano, nel piano approvato, la eliminazione totale o parziale di alcuni mappali già compresi nel primo corpo dei terreni di cui ai piani originari e lo stralcio integrale degli arti corpi (II, III e IV).
É del pari sufficientemente certo che a tali modifiche (riduzione della quota di esproprio ed esclusione di dati beni dallo scorporo) dei piani originari, l'Ente per la colonizzazione del Delta padano é pervenuto, accogliendo in parte il ricorso a suo tempo proposto dai Baldi avverso i piani originari, a seguito e attraverso l'esclusione: a) della consistenza, di un terreno in Grizzana di Bologna (perché di proprietà di un omonimo di Luigi Baldi) e di aree fabbricabili site in territorio di Bologna (perché facenti parte di territori non assoggettati alla legge n. 841 del 1950); b) dalla consistenza e dallo scorporo, di terreni o occupati in fatto e destinati a strada o incolti sterili, di una casa cantoniera, e di un fabbricato rurale di proprietà comunale; e c) dalla consistenza, ai soli fini del calcolo del reddito medio, di ettari 1.521.34.50 (partita 1912, Sezione S. Alberto) di terreni, classificati in catasto come parificati di 2a e ritenuti incolti produttivi.
D'altra parte, risulta in modo sicuro che nel piano approvato non sono stati compresi terreni o ditte che già non figurassero nei piani pubblicati.
Tutto ciò porta a ritenere che nella specie, ai piani originari siano state apportate modifiche di vario genere e che, accanto a quelle consistenti nella semplice correzione di meri errori materiali nella dichiarazione (del tutto ininfluenti ai fini dell'asserita doverosità di ripubblicazione del piano), vi sono modifiche puramente formali (egualmente irrilevanti) come quella risultante dalla sostituzione di un unico piano definitivo ai due piani originari, ma soprattutto modifiche sostanziali o radicali.
Senonché i dati e gli elementi emersi e fin qui rilevati nella specie considerata non possono indurre questa Corte a ritenere essenziale la pubblicazione del piano modificato ed a trarre, dalla constatazione del mancato compimento di codesta formalità, il convincimento della fondatezza della sollevata questione, sotto il profilo in esame. E ciò pur tenendosi presente che con diverse pronunce, in ordine a fattispecie la cui valutazione ha risentito delle peculiarità proprie di ciascuna di esse, e in tema di garanzie per gli espropriandi e per i terzi, si é esplicitamente, e più volte, statuito nel senso del carattere essenziale delle forze pubblicitarie (sentenze n. 39 del 1962, nn. 34, 38 e 41 del 1964 e n. 133 del 1967).
3. - Vi é indubbiamente a proposito del caso in esame un punto o profilo che va messo nel dovuto risalto.
Non é appagante la tesi secondo cui, in ogni caso, alla pubblicazione del piano che abbia subito modifiche sostanziali si debba provvedere perché nel totale rispetto del procedimento é la garanzia per gli espropriandi e per i terzi. Non si può non tener conto infatti degli interessi che stanno a fondamento delle norme e dei modi e limiti della loro tutela.
Occorre distinguere. Nell'ipotesi in cui nel piano modificato non siano compresi terreni che già non fossero in quello originario e ad ogni modo a questo siano state apportate modifiche sostanziali, l'interesse degli espropriandi e dei terzi va tenuto presente (qualora ne sia temuta o attuata la violazione) ai fini della valutazione di essenzialità degli atti del procedimento.
Se del piano originario vengono effettuati il deposito e per estratto, la pubblicazione (come nella specie) e - si ripete - le modifiche non si sostanziano nell'aggiunzione di nuovi terreni o di nuove ditte, la (nuova) pubblicazione del piano modificato non serve a tutelare di più e meglio l'interesse dei terzi, che a seguito del compimento della prima pubblicità sono stati messi in grado di conoscere il piano e di sperimentare le proprie difese.
Per quanto concerne gli espropriandi, il discorso é meno semplice ma egualmente conclusivo. C'é da ritenere che sia irrilevante la mancanza di pubblicazione del piano assoggettato a modifiche sostanziali, qualora per i soggetti espropriati sia esclusa l'esistenza di un danno il quale sia eliminabile solo attraverso il rimedio di cui all'art. 4 comma secondo, della legge n. 230 del 1950, e sia invece configurabile un danno astrattamente eliminabile con la denuncia di illegittimità costituzionale del decreto, e attraverso il relativo procedimento davanti a questa Corte.
Stante che la richiesta avanzata a sensi del citato art. 4, comma secondo, può tendere (come é logicamente da ammettere) oltre che alla rettifica degli errori materiali, alla applicazione di norme diverse o nuove o all'adozione di criteri giuridici diversi o nuovi; ma che la mancata proposizione di essa non é di ostacolo acché le domande già proponibili, vengano avanzate davanti al giudice di merito e nella eventuale fase del giudizio costituzionale (sentenza n. 10 del 1959), appare del tutto razionale il risultato sopra conseguito. La mancanza di pubblicazione del piano modificato integra una inosservanza delle leggi di delega suscettibile d'essere fatta valere davanti a questa Corte, unicamente nella effettiva (e non solo presunta) ricorrenza di un interesse degli espropriati a proporre ricorso a sensi del citato art. 4, comma secondo.
Precisata in tal senso l'interpretazione (che nella materia ha una funzione di primaria importanza) delle norme in oggetto, deve escludersi con riferimento alla specie che nel piano modificato siano state introdotte cause di danni contro le quali i fratelli Baldi solo col ripetuto ricorso avrebbero potuto far valere le loro difese.
Va tenuto conto, ancora una volta, che il piano modificato si riferisce solo a terreni già compresi nei piani provvisori pubblicati; che nel piano modificato, essendo diminuita la quota di esproprio gravante sui due condomini, sono stati inclusi beni per un'estensione che é inferiore (per Ha. 363.74.26) a quella dei beni (medesimi) inclusi nei piani provvisori pubblicati; che gli espropriati, qualora fossero stati messi in grado di conoscere il piano modificato, nell'assenza di errori materiali da correggere, non si sarebbero potuto servire del più volte indicato ricorso; e che ciò solo ed invece, gli espropriati avrebbero potuto fare (ed hanno fatto sollevando davanti al tribunale di Bologna la questione): denunciare le violazioni di legge in cui sarebbe incorso l'Ente formando i piani originari e modificandoli, in sede di controllo sulla legittimità costituzionale del decreto.
Risulta pertanto che nella specie gli espropriati erano carenti di interesse a pretendere la pubblicazione del piano definitivo, e conseguentemente deve dichiararsi l'infondatezza della questione.
4. - Con l'ordinanza di rimessione viene denunciata la illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 3790 anche sotto altro profilo. Si assume infatti che "con eccesso di delega in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, anziché essere esclusi sia dal calcolo del reddito dominicale che da quello della superficie, sono stati inclusi nel decreto terreni di immodificabile sterilità come le aree denominate "pialasse", che servono da cassa di espansione delle maree per il drenaggio di Porto Corsini e che perciò non sono suscettive di coltivazione; inoltre sono stati inclusi terreni boschivi frangivento".
Non vi é dubbio che le norme di cui alla legge n. 841 del 1950, alla legge n. 230 dello stesso anno in quanto richiamata ed applicabile, ed alle leggi successive concernono i "territori suscettibili di trasformazione fondiaria o agraria" (art. 1, comma primo, della legge n. 841) e per quanto riguarda la specie, quelli compresi nel Comune di Ravenna (D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69). Della "proprietà terriera privata", soggetta, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 841 (che ha sostituito l'art. 2 della legge n. 230), ad espropriazione non fanno parte i terreni in fatto sterili, e cioè privi attualmente dell'attitudine alla produzione agricola. Del parti ne sono esclusi esplicitamente, nonostante che si tratti di terreni soggetti ad estimo, i boschi (sempre che per quelli in pianura o in lieve pendio, suscettibili di trasformazioni agrarie ed esenti dal vincolo idrogeologico, l'Ente non si avvalga della facoltà di cui all'art. 5 della citata legge n. 841). Non vi rientrano neppure i terreni facenti parte del demanio o del patrimonio dello Stato o degli enti pubblici, e così pure i terreni iscritti in catasto senza reddito (come gli incolti sterili).
Il tribunale di Bologna, postosi il problema dell'osservanza in concreto dell'anzidetto limite oggettivo, ha ritenuto, come si é sopra osservato che, avrebbero dovuto essere esclusi sia dal calcolo del reddito dominicale che da quello della superficie "terreni di immodificabile sterilità come le aree denominate "pialasse" che servono da cassa di espansione delle maree per il drenaggio di Porto Corsini e che perciò non sono suscettive di coltivazione" e "terreni boschivi frangivento". Ha, in tal modo, per questi terreni dichiarato che gli stessi non potessero concorrere a formare la consistenza complessiva e conseguentemente essere oggetto di scorporo.
Anche se non é possibile negare a tale pronuncia qualche valore decisorio, la Corte non ritiene che l'assunto del tribunale sia di tal natura e portata che se ne possa e debba tener conto come se si trattasse di una vera e propria pronuncia non definitiva. L'affermazione fatta dal tribunale non é sostenuta, nell'ordinanza, da una argomentazione che ne metta in luce le premesse in fatto e le ragioni in diritto. Trattasi comunque, di una valutazione di indubbia importanza che ha bisogno d'essere approfondita e definita in ogni sua parte ed al fine qui rilevante, e non soltanto per determinare in concreto se tra i terreni non espropriabili rientrano le c.d. "pialasse" ed i terreni boschivi frangivento, ma anche per accertarne l'esatta estensione.
5. - É necessario precisare ulteriormente che le leggi di delega in materia di riforma fondiaria, in tema di individuazione dei beni terrieri soggetti ad esproprio, fissano elementi o criteri sicuramente obiettivi. In base ad essi non possono essere espropriati i beni terrieri compresi in determinati comuni, che siano in fatto sterili o consistano in boschi. Ma al legislatore delegato, qualora a proposito dei primi ricorra la possibilità della loro trasformazione in terreni coltivabili e per i secondi si abbiano i requisiti di cui all'art. 5 della legge n. 841, é consentito di superare in concreto quei limiti.
In sede di controllo sulla legittimità costituzionale dei decreti delegati, spetta alla Corte di accertare se degli anzidetti elementi o criteri obiettivi si é tenuto conto e in caso di mancata osservanza dei relativi limiti, di dichiarare l'illegittimità del decreto di scorporo per violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Nel caso in esame ricorrono, per quanto di ragione, i presupposti perché si debba pervenire alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del decreto impugnato. Risulterebbe, infatti, che vaste estensioni, catastalmente iscritte in testa agli espropriati, fossero, sia al 15 novembre 1949 che all'epoca dello scorporo, prive in fatto dell'attitudine a dare frutti o prodotti agricoli. E tale dato, di sicura importanza e decisività, non sarebbe stato tenuto presente, con la mancata osservanza ed anzi con il superamento del notato limite obiettivo.
6. - Non rientra nella discrezionalità, politica e tecnica, del legislatore delegato la possibilità di considerare dati terreni, in atto sterili, suscettibili di trasformazione e successivamente di sfruttamento agricolo.
Non é pensabile che il superamento del limite oggettivo negativo (che i terreni non siano in atto sterili) sia sottratto ad ogni controllo: altrimenti, il limite, che certamente ricorre, non sarebbe più tale.
É inoltre da rilevare che il giudizio circa la trasformabilità dei terreni sterili in terreni coltivabili, é ancorato alla ricorrenza di dati pratici o tecnici obiettivi, e cioè che si possa considerare trasformabile un dato terreno solo se lo stesso, in atto non utilizzabile per la lavorazione e produzione agricola, sia concretamente adatto a diventarlo a mezzo di opere il cui costo secondo una valutazione media risulti finanziariamente sopportabile, e si presenti in termini di economicità (ponendosi a raffronto, sul piano della produttività, il capitale prevedibilmente occorrente per il compimento delle opere di trasformazione, ed il nuovo valore della terra così trasformata).
Se si considera la trasformabilità in senso economico-sociale, d'altra parte, é dato parimenti di constatare l'esistenza di limiti alla relativa valutazione ed al conseguente assoggettamento di dati terreni all'espropriazione. Alla attuazione delle norme sociali contenute nella Costituzione, i destinatari debbono attendere nel rispetto dei metodi, delle forme e dei modi generalmente o specificamente richiesti. Ed in particolare il legislatore delegato, ove ritenga di dover fare prevalere quelle esigenze, non può, per superare il rilevato limite oggettivo negativo, dar vita a determinazioni che non rispondano alle note della non arbitrarietà e della ragionevolezza.
7. - Nella specie, determinate zone sarebbero state considerate trasformabili in terreni suscettivi di coltivazione. L'anzidetto limite negativo, dato dalla sterilità a fini agricoli di quelle estensioni, sarebbe stato superato e senza che ci fossero i presupposti per ammetterne la trasformabilità in senso economico-produttivo e comunque senza l'osservanza delle dette garanzie indispensabili per valutare positivamente la trasformabilità (delle stesse estensioni di beni terrieri) in senso economico-sociale.
Da ciò consegue che, in quanto siano state comprese nella consistenza zone di immodificabile sterilità e siano stati superati, sotto i periodi indicati, i limiti della delega, il decreto de quo é viziato e quindi é illegittimo dal punto di vista costituzionale.
Per i terreni boschivi frangivento, fin qui non considerati espressamente, risulterebbe la mancata osservanza dell'art. 5 della legge n. 841. Da tali disposizioni, integrative di quelle contenute nel precedente articolo e relative all'espropriabilità dei terreni, si ricava che per la possibilità di scorporo dei boschi, si presuppone che gli stessi si trovino in pianura o in lieve pendio, siano suscettibili di trasformazione agraria e siano esenti dal vincolo idrogeologico.
Orbene, tali condizioni debbono ricorrere per i terreni boschivi frangivento, cioè per quelle zone di terreno su cui insistono alberi di alto fusto con funzione di frangivento.
Ne deriva che in ordine a detti terreni, in quanto si tratti di boschi e in quanto vi facciano difetto le suddette condizioni, il decreto d'espropriazione é viziato. Perciò anche di esso si deve dichiarare la illegittimità costituzionale.
La mancanza di un accertamento giudiziale definitivo comporta per altro che la pronuncia di incostituzionalità del decreto sia operativa in quanto si pervenga, nella dovuta sede, a quell'accertamento, con la concreta determinazione dei beni da ritenere illegittimamente espropriati e della loro estensione.
8. - Per il caso in cui si dovesse ritenere sulla base dei criteri sopra precisati che per determinate zone di immodificabile sterilità fosse esistita la possibilità di trasformarle e ridurle in condizioni di sfruttamento agricolo, rimarrebbe evidente e rilevante un altro aspetto della dedotta illegittimità costituzionale del decreto. In particolare ciò potrebbe aversi per le zone, aventi le stesse caratteristiche di quelle, dell'estensione di ettari 1.521.34.50, iscritte in catasto alla partita n. 1912 della sezione S. Alberto.
Il legislatore delegato, infatti, in ordine alle zone da ultimo indicate, ha esattamente riconosciuto che i relativi terreni si trovassero nella condizione fisico-agronomica degli incolti produttivi e ne ha esattamente operato la detrazione ai fini del calcolo del reddito medio, ma potrebbe aver operato una ingiustificata discriminazione almeno in ordine ai terreni, in destra del Canale Candiano di Porto Corsini, della estensione di ettari 482, catastalmente registrati come pascoli parificati e che sarebbero in fatto da considerare incolti produttivi e quindi da escludere, in forza di quanto precedentemente detto, dalla consistenza complessiva e comunque da detrarre da detta consistenza ai fini della determinazione del reddito medio.
9. - É infondata, invece, la questione come sopra sollevata sotto il terzo profilo.
Il tribunale di Bologna ritiene che l'art. 20 della legge n. 841, pur dichiarando inefficaci di diritto nei confronti degli Enti per la riforma fondiaria le vendite posteriori al 1 gennaio 1948, tuttavia statuisce che l'indennità di esproprio venga corrisposta all'acquirente, salvo a questo di agire verso il venditore per il recupero dell'eventuale differenza tra l'indennità ed il prezzo di acquisto versato; e che nella specie, non essendo stata determinata l'indennità spettante alla Società per azioni Bonifica di Porto Corsini per la parte di beni acquistati dai Baldi, sotto la data dell'8 novembre 1950, con atto in notar Gallerani, non sia stata osservata la legge delega e siano stati, di conseguenza, violati gli artt. 76 e 77 della Costituzione.
La Corte é dell'avviso che l'art. 20 della legge n. 841 debba essere interpretata, sul punto che qui interessa, nel senso che nei confronti degli enti incaricati dell'attuazione della legge medesima, sono inefficaci di diritto gli atti di vendita a società, posteriori al 1 gennaio 1948; che "i terreni che formano oggetto dell'atto inefficace di diritto sono considerati come pertinenti al patrimonio dell'alienato sia per la determinazione del patrimonio soggetto a scorporo, sia per l'applicazione dello scorporo stesso", e che conseguentemente il decreto é emesso legittimamente nei confronti dell'originario proprietario (alla data del 15 novembre 19491.
Dallo stesso articolo unitamente al precedente art. 18 si evince che l'indennità di espropriazione é determinata nei confronti dell'espropriato e viene corrisposta allo stesso o, qualora si riferisca a beni alienati, anche se con atti inefficaci, all'acquirente.
Il sistema é armonico e trova riscontro anche nella espropriazione per pubblico interesse: i diritti dei terzi, infatti, sono trasferiti ad ogni effetto sull'indennità di espropriazione (art. 9, comma primo, della legge n. 230).
Appare perciò non meritevole di essere seguita l'interpretazione parzialmente diversa, assunta dal tribunale a sostegno della sollevata questione.
Non si ha quindi, nel fatto che col decreto de quo non siano state determinate le indennità spettanti alla società per azioni Bonifica di Porto Corsini e correlativamente a Luigi Baldi, alcuna inosservanza delle leggi di delega, né violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione.
E neppure, con l'accoglimento della sopra esposta interpretazione, la Corte é tenuta, come vorrebbe la società Bonifica di Porto Corsini, a esaminare la questione di legittimità costituzionale del citato art. 20 (e dell'art. 1, ultimo comma, del D.P.R.7 febbraio 1951, n. 69) in riferimento all'art. 42, comma secondo, della Costituzione, perché già lo stesso tribunale di Bologna ne ha dichiarato la manifesta infondatezza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale del D.P.R.27 dicembre 1952, n. 3790, in quanto risulti che, per la formazione del piano di espropriazione contro Luigi e Giuseppe Baldi di Antonio, sono state comprese nella consistenza zone di immodificabile sterilità, non suscettive di trasformazione fondiaria o agraria, e non sono state detratte, ai fini del calcolo del reddito medio, tutte le zone che fossero in fatto incolti produttivi.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 15 luglio 1969.