SENTENZA N. 106
ANNO 1969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 16 settembre 1951, nn. 994 e 995, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1968 dal tribunale di Cosenza nel procedimento civile vertente tra Mazza Gregorio e l'Opera per la valorizzazione della Sila, iscritta al n. 41 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968.
Visti gli atti di costituzione di Mazza Gregorio e dell'Opera per la valorizzazione della Sila;
udita nell'udienza pubblica del 21 maggio 1969 la relazione del Giudice Luigi Oggioni;
uditi l'avv. Adriano Pallottino, per Mazza Gregorio, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Opera Sila.
Ritenuto in fatto
Con citazione del 21 gennaio 1965 Mazza Gregorio conveniva avanti al tribunale di Cosenza l'Opera per la valorizzazione della Sila, chiedendo, in linea principale, la condanna dell'Ente alla restituzione in suo favore dei terreni espropriatigli per ha. 120,37,90 in territorio di Squillace e per ha. 580,53,74 in territorio di Borgia, rispettivamente con i decreti del Presidente della Repubblica 16 settembre 1951, nn. 994 e 995, previa declaratoria nei modi di legge della illegittimità costituzionale dei decreti stessi, per avere fatto riferimento, ai fini della determinazione delle quote da espropriare, alle risultanze del catasto in formazione, attivato nella zona soltanto il 1 agosto 1955, anziché alle risultanze del catasto vigente al 15 novembre 1949, e ciò in violazione dei limiti della delega di cui all'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (legge Sila).
Il tribunale, con ordinanza emessa il 7 febbraio 1968, rilevava l'esattezza delle circostanze di fatto poste a base dalla censura di illegittimità costituzionale, ed osservava che a norma dell'art. 2 della citata legge n. 230 del 1950 e secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la determinazione della quota di scorporo si sarebbe dovuta effettuare con riferimento alle risultanze catastali in atto al 15 novembre 1949, mentre l'adozione di criteri diversi e cioè il riferimento ai dati del nuovo catasto, entrato in vigore nella zona il 1 agosto 1955, importerebbe la violazione della delega legislativa di cui alla ripetuta legge Sila.
Rimetteva pertanto gli atti alla Corte costituzionale per le decisioni di competenza.
L'ordinanza, notificata il 23 febbraio 1968 e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 20 aprile 1968.
Avanti alla Corte costituzionale si é costituito il Mazza, rappresentato e difeso dall'avv. Adriano Pallottino, che ha depositato le proprie deduzioni il 10 maggio 1968.
La difesa, richiamata la giurisprudenza della Corte con cui sarebbe stata affermata la fondatezza della tesi della illegittimità dei decreti di esproprio emanati in attuazione tanto della legge Sila che della legge successiva 21 ottobre 1950, n. 841 (cosiddetta legge stralcio) sulla base di dati diversi da quelli risultanti dal catasto in vigore al 15 novembre 1949, fa tuttavia espressa menzione della recente sentenza n. 19 del 1968 con cui la Corte si sarebbe espressa in senso difforme, ammettendo che per le espropriazioni disposte a mente della legge Sila sia da accertare la consistenza effettiva dei terreni da espropriare alla data del 15 novembre 1949, indipendentemente da qualsiasi riferimento a risultanze catastali. Tale ultimo precedente, tuttavia, non impedirebbe, secondo la difesa Mazza, di tornare in argomento per illustrare aspetti della questione che non sarebbero stati esaminati, e consiglierebbero una diversa conclusione.
In sostanza, la difesa osserva al riguardo che la legge Sila porrebbe criteri differenziati, da un lato, per quanto riguarda l'individuazione delle proprietà espropriabili, in quanto cioè superiore alla superficie di 300 ha. e, dall'altro, per quanto concerne la concreta formazione dei piani, la determinazione delle quote di scorporo e la misura delle indennità di espropriazione. Mentre riguardo al primo di tali elementi il criterio enunciato nella citata sentenza della Corte non sarebbe discutibile, altrettanto non potrebbe dirsi invece rispetto alle ulteriori fasi della procedura sopra indicata, in relazione alle quali il riferimento ai dati catastali vigenti al 15 novembre 1949 assumerebbe invece un valore essenziale e qualificante. Invero, lo stesso art. 7 della legge delega, nel fare riferimento, ai fini della determinazione della indennità di esproprio, ai valori stabiliti per l'applicazione dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, di cui al testo unico 9 maggio 1950, n. 203. che pone appunto a base dell'imposizione i dati catastali, attribuirebbe valore determinante a queste risultanze e richiederebbe quindi che, ai fini della formazione del piano particolareggiato di esproprio, nel quale debbono includersi elementi di natura catastale, come la classe ed il tipo dei terreni prescelti, nonché i valori relativi, si debba necessariamente tenere conto delle risultanze catastali vigenti alla data del 15 novembre 1949.
L'esattezza di tale conclusione risulterebbe anche, per via analogica, dalla disciplina dettata dalla successiva legge di riforma 21 ottobre 1950, n. 841, che appunto per effetto del richiamo al reddito dominicale si riferirebbe nell'art. 4 nel modo più preciso ai dati catastali in vigore alla data del 15 novembre 1949.
Se potessero disattendersi le riferite conclusioni, e dovesse quindi ammettersi ogni libertà del legislatore delegato per la determinazione dei terreni da espropriare, secondo la difesa, la illegittimità si estenderebbe comunque alla stessa legge delega, per violazione dell'art. 76 della Costituzione.
Da quanto premesso, aggiunge infine la difesa del Mazza, emergerebbe altresì l'interesse di questi "presumibilmente e verosimilmente leso", per la inesatta determinazione della quota di scorporo, ad ottenere la dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti impugnati.
L'Opera per la valorizzazione della Sila, in persona del presidente pro tempore, si é costituita in giudizio rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni l'8 maggio 1968.
L'Avvocatura dello Stato osserva che il Mazza ha omesso di chiarire se in base al vecchio catasto egli risultasse proprietario di meno di 300 ha. di terreno e quindi esente dall'esproprio, a norma dell'art. 2 della legge Sila. Ciò farebbe ritenere probabile che egli, anche secondo quei dati, avrebbe potuto risultare proprietario di una superficie maggiore del limite suddetto, nel qual caso non avrebbe avuto motivo di dolersi del metodo adottato dall'Ente, perché la legge non comporterebbe l'obbligo del riferimento catastale per l'accertamento del limite subbiettivo dei 300 ha., ma dispone che questo accertamento debba farsi in riferimento all'effettiva consistenza dei terreni posseduti al 15 novembre 1949.
L'Avvocatura conclude chiedendo dichiararsi infondata la questione.
La difesa del Mazza ha depositato, nei termini, una me moria illustrativa con cui ribadisce le tesi già svolte, inoltre assumendo che nel caso in esame non é in discussione la assoggettabilità allo scorporo dei beni espropriati, ma solo il metodo di accertamento concreto della quota espropriabile. Insiste pertanto nelle già rassegnate conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale dei suindicati decreti del Presidente della Repubblica é sollevata dal tribunale di Cosenza, in relazione agli artt. 2-5 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (che ha assoggettato ad esproprio terreni di proprietà privata a scopo di colonizzazione dell'altopiano della Sila ed ha delegato al Governo la formazione dei conseguenziali provvedimenti esecutivi) per violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione riguardanti l'esercizio della funzione legislativa delegata.
Secondo l'ordinanza, l'illegittimità dei decreti é prospettata sotto il profilo che, avendo la legge delegante prescritto, all'art. 2, come unico ed insostituibile criterio direttivo per la determinazione delle quote di scorporo quello del puntuale riferimento alle risultanze catastali in atto al 15 novembre 1949, il diverso criterio adottato nei decreti delegati con riferimento a dati di formazione successiva, parrebbe costituire violazione del precetto costituzionale che esige corrispondenza assoluta ai principi della delega.
2. - La questione non é fondata. L'unicità del sistema di accertamento, che costituisce premessa di base su cui poggia la motivazione dell'ordinanza, non trova alcun riscontro nel testo della legge n. 230 del 1950 ed é la stessa relazione ministeriale al Senato a spiegare la esclusione dal riferimento al reddito catastale in atto al 1949 "data la vetustà del catasto stesso nel territorio considerato".
Né ha valore, di fronte a tanto chiare indicazioni, l'argomento addotto nella "memoria" presentata dalla difesa Mazza, in riferimento all'art. 7 della citata legge secondo cui, per la commisurazione dell'indennità di espropriazione, valgono i criteri di valore adottati per l'applicazione dell'imposta straordinaria sul patrimonio (testo unico 9 maggio 1950, n. 203) calcolabili sul reddito dominicale, desunto dai dati catastali.
La norma contenuta nell'art. 7 ha un suo particolare significato, strettamente connesso al calcolo dell'indennità di esproprio, calcolo che si é voluto stabilire con metodo discrezionale ed autonomo, informato a valutazione comparativa degli interessi da tutelare, come ha avuto occasione di precisare in proposito questa Corte con sentenza 13 maggio 1957 n. 61.
Altro motivo, dedotto per sostenere la fondatezza della questione, attiene al confronto ed all'armonizzazione tra il disposto già citato dell'art. 2 della legge n. 230 del 1950 sulla colonizzazione dell'altopiano della Sila e l'art. 4 della successiva legge 21 ottobre dello stesso anno n. 841 contenente norme per l'espropriazione in genere di terreni a favore dei contadini, che ha fatto testuale riferimento, per la determinazione delle quote da espropriare, al reddito dominicale desumibile dalle tavole catastali.
Il motivo così addotto non é, tuttavia, congruo, in quanto i campi di operatività delle due leggi sono diversi e diversi i sistemi adottati. Il sistema della "legge Sila" é particolare a quel territorio e, per determinare la superficie dei terreni da espropriare al di là della quota intangibile dei trecento ettari, si riferisce alla superficie effettiva nella sua reale consistenza, senza imporre alcun collegamento con le risultanze del reddito dominicale. Perciò, una volta accertata la condizione essenziale del superamento del limite dei trecento ettari, resta affidata all'apprezzamento dell'ente espropriante la scelta del mezzo reputato più idoneo per conseguire lo scopo di determinare la quantità espropriabile, al contrario di quanto, ad altri effetti, dispone la successiva legge n. 841.
La giurisprudenza di questa Corte, dopo avere proceduto con sentenze recenti (n. 19 del 1968
e n. 70 del 1969) alla puntualizzazione dell'esposto criterio direttivo, é in questo senso. In difetto di nuove e valide argomentazioni in contrario, detta giurisprudenza va confermata per la situazione in esame, nella quale, oltre a non essere in questione la condizione dell'eccedenza dei limiti dei trecento ettari (ammessa implicitamente nell'ordinanza e riconosciuta dalla parte privata) la determinazione della quota da espropriare ben poteva essere non coattivamente riportata ai dati catastali del 1949 ma desumibile - aliunde - con libertà di ricerca e di apprezzamento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 16 settembre 1951, nn. 994 e 995, proposta dal tribunale di Cosenza, con ordinanza 7 febbraio 1968 in relazione agli artt. 2 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, avente per oggetto "Provvedimenti per la colonizzazione dell'altopiano della Sila e dei territori jonici contermini", e in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1969.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE
Depositata in cancelleria il 26 giugno 1969.