SENTENZA N. 88
ANNO 1969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 188, 189 e 19l del regio decreto 24 febbraio 1938, n. 329 (testo unico delle disposizioni sul reclutamento dell'esercito), promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1967 dal pretore di Sassari nel procedimento penale a carico di Calzaghe Salvatore, iscritta al n. 278 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 27 gennaio 1968.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 23 aprile 1969 la relazione del Giudice Vezio Crisafulli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Calzaghe Salvatore, il pretore di Sassari con ordinanza emessa l'11 novembre 1967, ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente agli artt. 188, 189 e 191 del R.D. 24 febbraio 1938, n. 329, per contrasto con gli artt. 3 e 112 della Costituzione.
Nell'ordinanza non é cenno della rilevanza della questione proposta, né risultano chiariti gli aspetti di non manifesta infondatezza di essa.
Dal fascicolo di causa si evince, peraltro, che il Calzaghe era stato rinviato a giudizio, su rapporto del presidente del Consiglio di leva di Cagliari, per rispondere del reato previsto dall'art. 189 del R.D. n. 329 del 1938, citato, "per non essersi presentato nel giorno fissato per l'esame personale ed essere, quindi, rimasto renitente alla leva". La difesa dell'imputato con un intervento nel corso del pubblico dibattimento e con una breve memoria scritta aveva eccepito che le norme oggetto della questione di legittimità costituzionale consentono al Consiglio di leva di annullare la dichiarazione di renitenza valutando anche gli aspetti di "buona fede" del renitente, con una discrezionalità che, estendendosi anche all'eventuale ignoranza della legge penale, non sarebbe soggetta ai limiti che incontra il giudice ordinario ed in ogni caso rimarrebbe sottratta ad ogni garanzia circa la loro osservanza. Di qui la prospettata questione di legittimità costituzionale per contrasto sia rispetto al principio di eguaglianza nei confronti degli altri renitenti denunziati all'autorità giudiziaria, sia rispetto al principio della obbligatorietà del promuovimento dell'azione penale da parte del pubblico ministero, che verrebbe in alcuni casi ad essere definitivamente preclusa dalla decisione amministrativa del Consiglio di leva.
L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 27 gennaio 1968.
2. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, con atto depositato il 13 febbraio 1968, chiedendo che la questione così proposta sia dichiarata inammissibile, o comunque infondata.
Premesso che il testo unico del 1938 é stato abrogato e che le disposizioni oggetto di impugnazione risultano oggi sostituite da quelle di cui agli artt. 137 e seguenti del D.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, l'Avvocatura deduce sotto il profilo della inammissibilità che l'ordinanza di rinvio é del tutto priva di motivazione e non offre alcun elemento quanto alla rilevanza della questione sollevata ai fini del decidere.
Nel merito, l'Avvocatura sostiene che la revoca della dichiarazione di renitenza, operata dal Consiglio e dalla Commissione mobile di leva non contrasterebbe con il principio di eguaglianza, in quanto essa va effettuata nel pieno rispetto della legge e delle norme regolamentari e quindi nei casi obiettivamente previsti e regolati dall'ordinamento, non già in base a criteri arbitrari e tali da consentire discriminazioni di natura soggettiva. Detta revoca, disposta sulla base di precise norme giuridiche da parte dell'organo competente in sede amministrativa, non contrasterebbe neppure con il principio della obbligatorietà dell'azione penale, in quanto farebbe venir meno il presupposto del reato.
3. - Alla pubblica udienza la difesa dello Stato ha insistito nelle conclusioni come sopra formulate.
Considerato in diritto
L'ordinanza del pretore di Sassari denuncia genericamente, senza alcuna motivazione, né quanto alla non manifesta infondatezza né quanto alla rilevanza della questione, gli artt. 188, 189 e 191 del regio decreto 24 febbraio 1938, n. 329, testo unico sul reclutamento: poi sostituito peraltro, come osservato esattamente dall'Avvocatura dello Stato, dal nuovo testo unico delegato (D.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237), con effetto a decorrere dalla chiamata alla leva della classe successiva a quella presentatasi nell'anno di entrata in vigore del decreto stesso (1964).
L'ordinanza risulta adottata dal pretore in accoglimento di eccezione sollevata dalla difesa dell'imputato e, nell'assenza di motivazione, deve ritenersi abbia fatta propria tale eccezione, la quale; come si evince dagli atti di causa, aveva riferimento alla facoltà, riconosciuta al Consiglio di leva dal secondo comma dell'art. 188 del T.U. del 1938 (ora terzo comma del corrispondente art. 137 del T.U. del 1964), di "annullare" la dichiarazione di renitenza "nei casi e nei limiti previsti dal regolamento".
Più particolarmente, la questione sollevata ha specifico riguardo alla ipotesi di cui alla lettera c dell'art. 1074 di detto regolamento approvato con R.D. 3 aprile 1942, n. 1133, tuttora applicabile a norma dell'art. 158 del già menzionato decreto del Presidente della Repubblica del 1964.
Una siffatta facoltà del Consiglio di leva, dal cui esercizio dipenderebbe il promuovimento dell'azione penale, contrasterebbe, secondo l'assunto, con il principio di eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge e con il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale (artt. 3 e 112 della Costituzione).
Ma é palese la irrilevanza della questione, poiché, comunque la si dovesse decidere, nessuna conseguenza ne deriverebbe sul procedimento penale in corso nei confronti di chi sia imputato di renitenza alla leva per essere stato già denunciato come tale all'autorità giudiziaria. Ché anzi, perfino ove l'intera disciplina dei poteri dei Consigli di leva in ordine alla denuncia dei renitenti fosse, in ipotesi, dichiarata incostituzionale, non soltanto permarrebbe il reato, ma ne risulterebbe confermato e ne sarebbe reso ancor più rigoroso il dovere di rapporto, gravante sui Consigli di leva, come su ogni altro pubblico ufficiale, a norma dell'art. 2, secondo comma, del Codice di procedura penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 188, 189 e 191 del regio decreto 24 febbraio 1938, n. 329, testo unico sul reclutamento dell'esercito, sollevata dal pretore di Sassari con l'ordinanza di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 1969.
Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI
Depositata in cancelleria il 14 maggio 1969.