Sentenza n. 83 del 1969
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SENTENZA N. 83

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 149, primo comma, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 agosto 1967 dalla Corte d'appello di Catania nel procedimento civile vertente tra Tiralosi Michela e La Rosa Giovanni, iscritta al n. 258 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 321 del 23 dicembre 1967.

Visto l'atto di costituzione di Tiralosi Michela;

udita nell'udienza pubblica del 20 marzo 1969 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;

udito l'avv. Luigi La Perlita, per la Tiralosi.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione del 9 giugno 1960 Giovanni La Rosa conveniva in giudizio davanti al tribunale di Caltagirone Michela Tiralosi; ed assumendo che il testamento olografo del 14 dicembre 1957 di Sebastiano La Rosa, fratello di esso attore e marito della convenuta, nel frattempo deceduto, appariva ictu oculi inframmezzato da intenenti e correzioni di terze persone, che lo rendevano nullo a causa della mancanza del requisito essenziale dell'olografia, chiedeva che detto testamento fosse dichiarato nullo o fosse annullato.

La convenuta contestava il fondamento della domanda, deducendo, tra l'altro, che l'assunto dell'attore era assolutamente inconsistente anche perché lo stesso non aveva negato che il testamento fosse scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore, e che, in ogni caso, era da escludersi l'intervento di terzi nella correzione di eventuali errori materiali, nei quali fosse incorso il testatore.

Con ordinanza del 2 febbraio 1961, il giudice istruttore, designato per la trattazione della causa, riteneva che nei fatti esposti in citazione potessero ravvisarsi gli estremi del reato previsto dall'art. 491 in relazione agli artt. 482 e 476 del Codice penale e pertanto inoltrava rapporto al procuratore della Repubblica per l'eventuale esercizio dell'azione penale.

Iniziata l'azione penale, il giudice istruttore, con sentenza del 31 gennaio 1962, a chiusura dell'istruzione formale, rilevava che la lamentata eterografia parziale del testamento appariva sicuramente accertata a seguito dell'indagine peritale all'uopo disposta, per ciò che si riferiva ai numeri 14 e 7 della data "14 dicembre 1957" apposta sul documento, e dato atto che le correzioni non erano di pugno della Tiralosi, dichiarava di non doversi procedere nei di lei confronti per il reato di falso ascrittole, per non avere commesso il fatto. Considerata, infine, l'inopportunità di procedere alla declaratoria della parziale falsità del testamento, non adottava al riguardo alcuna pronunzia.

Successivamente lo stesso giudice istruttore penale, su istanza del La Rosa, con provvedimento del 20 ottobre 1963, rilevava che, in tema di restituzione in pristino del documento contestato, non era evidenziabile, allo stato, pregiudizio alcuno per i terzi parti e non parti del procedimento e che risultava anzi evidente utilità per il richiedente; riteneva che dovesse farsi luogo alla correzione materiale della sentenza nelle forme di cui all'art. 149 del codice di procedura penale ed ordinava che venisse corretta la parte dispositiva di detta sentenza con l'ingiunzione della dichiarazione di falsità, per eterografia, della data dell'atto nei limiti di cui all'accertamento, nonché dell'ordine di cancellazione dei numeri apposti da mano aliena.

Eseguita l'anzidetta sentenza, il giudizio civile riprendeva il suo corso e quindi veniva definito con sentenza dei dì 16-28 gennaio 1966. Il tribunale, disattendendo la specifica contestazione della Tiralosi, rilevava che i provvedimenti sulla falsità, come sopra emessi dal giudice istruttore penale, avevano efficacia pari a quella stabilita dalle sentenze penali irrevocabili pronunciate in seguito a giudizio; e ritenuta rilevante la falsità, consistente nella interpolazione dei numeri 14 e 7 nella data, e conseguenziale la nullità dell'intero testamento, accoglieva la domanda del La Rosa dichiarando la nullità dell'impugnato atto. Avverso la sentenza del tribunale proponeva appello la Tiralosi.

Col terzo motivo, assumeva l'appellante, tra l'altro, che il tribunale avrebbe errato attribuendo autorità di cosa giudicata all'ordinanza del 20 ottobre 1963 del giudice istruttore penale, emessa fuori dei casi previsti dalla legge, e non tenendo presente che in quel procedimento di correzione della sentenza istruttoria non erano state rispettate le esigenze del contraddittorio.

L'adita Corte di appello di Catania preliminarmente osservava che il primo rilievo avrebbe dovuto farsi valere davanti al giudice dell'impugnazione ai sensi dell'art. 149, comma quarto, del Codice di procedura penale e rilevava la notevole gravità della seconda deduzione sotto il profilo che la mancanza del contraddittorio determinata dalla struttura stessa del procedimento censurato degraderebbe la pronuncia ad atto privo del carattere tipico della giurisdizione. E dopo una breve esposizione delle ragioni per cui il contraddittorio é elemento indispensabile per l'esistenza di un regolare rapporto processuale e strumento indispensabile di garanzia dell'attuazione del diritto tra i contendenti, precisava che "un processo, il quale non assicuri il contraddittorio delle parti, non é idoneo alla attuazione del diritto, né alla tutela giurisdizionale dei diritti di chi voglia agire in giudizio, né alla garanzia del diritto di difesa di chi é interessato al rapporto controverso" e che "la norma che in siffatto modo fosse per regolare quel processo si porrebbe, per ciò solo in contrasto con i commi primo e secondo dell'art. 24 della Costituzione".

Con riferimento alla specie, secondo la Corte di Catania, non si poteva non dare soluzione negativa al quesito se l'articolo 149 del Codice di procedura penale si informasse al principio (del rispetto) del contraddittorio.

L'art. 480 del Codice di procedura penale, infatti, prevede che la falsità dell'atto, accertata con sentenza pronunciata nel giudizio deve essere dichiarata nel relativo dispositivo e che con lo stesso dispositivo debbono ordinarsi i provvedimenti riparatori del falso. Ma l'adozione di questi, aggiunge lo stesso art. 480, con una disposizione palesemente informata al principio sopraddetto, é vietata "quando può pregiudicare interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento". Tali regole poi valgono anche per le sentenze istruttorie di proscioglimento in forza dell'espresso rinvio contenuto nell'art. 380 del Codice di procedura penale.

Stante ciò e ritenuto che, giusta il prevalente orientamento della giurisprudenza, gli anzidetti provvedimenti (dichiarazione della falsità e provvedimenti riparatori) possono essere formalmente pronunciati anche con la ordinanza di correzione ed integrazione del dispositivo emessa ai sensi dell'art. 149 del Codice di procedura penale, secondo la Corte di Catania nel procedimento di correzione di errori materiali non sarebbe rispettata l'esigenza del contraddittorio. Il citato art. 149, infatti, prevede che alla correzione ed integrazione il giudice possa provvedere anche d'ufficio con ordinanza in camera di consiglio "previa citazione, se é possibile, della parte che vi ha interesse". La citazione della parte interessata viene così sottoposta ad una duplice limitazione, in quanto, da un lato, é rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, in funzione delle possibilità (di individuazione) offerte dal processo penale e dall'altro é ammessa solo per quei soggetti che abbiano assunto (nel processo penale) la qualità di parte. E ciò comporta che il contraddittorio é ritenuto pressoché superfluo.

Pertanto la Corte d'appello di Catania non mancava di considerare apprezzabile l'opinione espressa in autorevoli decisioni che, qualora l'adozione dei provvedimenti riparatori del falso potesse pregiudicare interessi di terzi estranei, si dovesse, fare ricorso al procedimento incidentale di esecuzione di cui agli artt. 628 e seguenti del codice di procedura penale, ma riteneva che la possibilità di adottare i ripetuti provvedimenti a mezzo del procedimento di correzione ex art. 149, poggiando su un rito non assistito dalle garanzie del contraddittorio, si traduce "in un sostanziale diniego di tutela giurisdizionale per coloro che vengono ad essere pregiudicati nei loro interessi"; e con ordinanza del 4 agosto 1967, premesso e ritenuto quanto sopra, sollevava, d'ufficio, considerandola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 149, comma primo, del Codice di procedura penale, nella parte che disciplina il procedimento, in riferimento all'art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione.

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 321 del 23 dicembre 1967.

Davanti a questa Corte si costituiva solo la Tiralosi a mezzo dell'avv. Luigi La Ferlita e con deduzioni depositate il 7 dicembre 1967, chiedendo che la questione fosse dichiarata fondata, giacché sarebbe manifesto che nella norma denunziata non é osservato il principio del contraddittorio, fondamentale in qualunque tipo di processo ordinato alla attuazione del diritto.

 

Considerato in diritto

 

1. - Secondo la Corte di appello di Catania la rilevanza della sollevata questione deriva dal fatto che l'eventuale dichiarazione di illegittimità dell'art. 149, comma primo, del Codice di procedura penale nella parte relativa al procedimento, perché in contrasto con l'art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione, influirebbe sull'autorità dell'ordinanza di correzione nel giudizio civile.

Nonostante la sua sinteticità, la motivazione fornita dal giudice a quo appare sufficiente.

Ciò esime la Corte dall'affrontare i problemi connessi alla ammissibilità, nella specie, del procedimento di correzione di cui all'art. 149, comma primo, e alla natura e portata della efficacia, in sede civile, della sentenza istruttoria di proscioglimento che accerti la falsità in atti (specie se corretta o integrata in forza di quel procedimento).

2. - Il procedimento di correzione di errori materiali (seguito per il completamento - con l'aggiunta delle parti omesse - del dispositivo della sentenza istruttoria di proscioglimento della Tiralosi dal reato di falso) sarebbe privo del contraddittorio, e l'art. 149, comma primo, nella parte che disciplina tale procedimento, sarebbe per ciò in contrasto con l'art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione.

Il rispetto del principio del contraddittorio é infatti essenziale e si sostanzia nella possibilità data alle parti di essere presenti in giudizio ed a ciascuna di esse di proporre domande ed eccezioni e di opporsi alle pretese e alle eccezioni lato sensu delle altre.

Esso ricorre normalmente e si ha anche nelle ipotesi eccezionali in cui l'attuazione del contraddittorio é posticipata ovvero rimessa alla volontà della parte interessata. "Un processo - afferma la Corte di Catania - il quale non assicuri il contraddittorio delle parti, non é idoneo all'attuazione del diritto, né alla tutela giurisdizionale dei diritti di chi voglia agire in giudizio, né alla garanzia del diritto di difesa di chi é interessato al rapporto controverso".

3. - La censura é fondata.

Alla correzione di errori materiali contenuti nelle sentenze, nelle ordinanze e nei decreti provvede, anche d'ufficio, con ordinanza in camera di consiglio, il giudice che ha compiuto l'atto "previa citazione, se é possibile, della parte che vi ha interesse".

Tale é il contenuto dell'art. 149, comma primo. E la norma non sembra integrata o modificata da altre disposizioni.

Le parti del procedimento o giudizio penale principale non trovano, nel procedimento di cui all'art. 149, le garanzie di cui ai primi due commi dell'art. 24 della Costituzione.

Per tali parti, infatti, si distingue a seconda che abbiano interesse o meno alla correzione degli errori materiali. Ma non si precisa con rigore se tra le parti interessate rientrino solo quelle che dall'emittendo provvedimento si prospettino di conseguire un vantaggio ovvero anche quelle che temano di subire un pregiudizio e si lascia solo intendere che parti interessate siano unicamente le prime.

E per queste, la norma in esame non prevede che le stesse debbano essere citate in ogni caso. La citazione della parte che vi ha interesse, infatti, va disposta solamente "se é possibile". Ciò significa che la citazione, come ritiene la Corte di Catania, é a rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice in funzione delle possibilità (di individuazione) offerte dal processo penale".

La mancata citazione della parte che vi ha interesse, d'altro canto, non comporta, secondo il prevalente orientamento della - giurisprudenza, alcuna sanzione di nullità, sempre che, sul punto, non debba farsi riferimento all'art. 185, n. 3, del Codice di procedura penale ovvero all'art. 630 dello stesso Codice.

A tutte le parti, in caso d'iniziativa d'ufficio, e alle parti diverse da quella istante nel relativo caso non é garantita la possibilità di opporsi attraverso l'esercizio dei rispettivi diritti e di difendersi. Ed esaurito il procedimento ex art. 149, non é dato alle stesse il potere di far valere altrimenti le loro ragioni.

Né si può valutare diversamente il procedimento per ciò che "l'ordinanza che dispone la correzione é soggetta al ricorso per cassazione" (art. 149, comma quarto): non é infatti previsto nessun apposito o adeguato strumento perché l'ordinanza di correzione venga conosciuta o diventi conoscibile da tutti gli interessati (o almeno da quelli intervenuti come parti nel procedimento o giudizio principale).

Va, per tutto ciò, condivisa la considerazione effettuata dalla Corte di Catania, che nella previsione normativa "il contraddittorio é ritenuto pressoché superfluo".

E tale non avrebbe potuto e dovuto presentarsi, in nessuna ipotesi. Non solo nel caso (di cui al processo a quo) di correzione ed integrazione delle omissioni della sentenza istruttoria di proscioglimento dal reato di falso (caso in cui, per altro, secondo la dottrina e parte della giurisprudenza, il ricorso al procedimento di cui all'art. 149 sarebbe del tutto ingiustificato) proprio perché le omesse pronunce possono riguardare interessi (privati) distinti e diversi da quello della fede pubblica. Ma neppure nel caso più semplice e tipico di vera e propria correzione di omissioni e errori (che non producono nullità e la cui correzione non importa una modificazione essenziale dell'atto).

La funzione incidentale ed accessoria del procedimento, data la sua importanza, esclude che possano avere rilievo le caratteristiche strutturali, e comporta ed esige che le parti del procedimento o giudizio principale mantengano le loro posizioni e per quanto attiene all'esercizio dei diritti e per quanto concerne la difesa in giudizio.

Appare, per tutto ciò, evidente, nel procedimento previsto dall'art. 149, comma primo, il mancato rispetto del principio del contraddittorio. E di conseguenza, risulta evidente che la violazione dell'art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 149, comma primo, del Codice di procedura penale, limitatamente all'inciso "se possibile".

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria il 14 aprile 1969.