SENTENZA N. 68
ANNO 1969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2068, secondo comma, del Codice civile, promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1968 dal pretore di Brindisi nel procedimento civile vertente tra Cipolla Maria e Fanelli Luigi, iscritta al n. 39 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968.
Udita nella camera di consiglio del 30 gennaio 1969 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi.
Ritenuto in fatto
Con citazione del 21 settembre 1967, proposta col rito speciale delle controversie individuali di lavoro, Maria Cipolla conveniva in giudizio davanti al pretore di Brindisi Luigi Fanelli e, premesso di aver lavorato alle sue dipendenze quale domestica dal 10 maggio 1966 (data questa successivamente corretta in quella del 10 maggio 1963) al 23 luglio 1967, chiedeva la condanna del convenuto al pagamento in di lei favore della somma di lire 295.369 per retribuzioni ed indennità non percepite.
Il Fanelli contestava l'ammissibilità e la fondatezza delle domande dell'attrice, deducendo preliminarmente che le stesse sarebbero state irritualmente proposte in violazione degli articoli 429 e 2068 del Codice civile e che esso convenuto sarebbe privo di legitimatio ad causam, ed assumendo nel merito che, avendo la Cipolla lavorato alle dipendenze della moglie di esso convenuto per non più di due ore e mezzo al giorno, alla specie non si sarebbe potuto applicare la legge 2 aprile 1958, n. 339, invocata ex adverso.
Successivamente i procuratori delle parti chiedevano d'accordo che, a sensi dell'art. 446 del Codice di procedura civile, venisse disposto il passaggio dal rito speciale al rito ordinario e si desse corso all'attività istruttoria.
Il pretore, con ordinanza fuori udienza del 29 gennaio 1968, dichiarava preliminarmente di non ritenere di aderire alla richiesta del mutamento del rito avanzata dai procuratori.
Premesso che l'art. 2068, comma secondo, sottrae espressamente alla disciplina del contratto collettivo i rapporti di lavoro concernenti prestazioni a carattere domestico, con la conseguente inapplicabilità del rito speciale alle controversie derivanti da quei rapporti, assumeva che codesta limitazione non troverebbe alcun fondamento nel sistema costituzionale vigente e sarebbe stata sicuramente eliminata dalla solenne proclamazione della libertà sindacale di cui all'art. 39 della Costituzione.
L'art. 2 della legge n. 339 del 1958, inoltre, prevedendo che dell'avviamento al lavoro del personale domestico, possono occuparsi le associazioni di categoria a carattere nazionale, costituirebbe una conferma, e della possibilità di costituzione di associazioni sindacali anche nell'ambito dei rapporti di lavoro domestico, e della conseguente possibilità di stipula di contratti collettivi.
Infine, il divieto contenuto nel secondo comma del citato art. 2068, oltre che con l'art. 39, contrasterebbe con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione: tale divieto, infatti, determinerebbe una discriminazione non giustificata tra categorie di prestatori di opera, escludendo, in particolare, i prestatori di lavoro domestico dal rito speciale previsto per le controversie individuali di lavoro.
Conseguentemente il pretore sollevava, d'ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2068, comma secondo, del Codice civile in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 20 aprile 1968.
Nel giudizio davanti alla Corte non si é costituita nessuna delle parti private e non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri. La causa viene, pertanto, decisa in camera di consiglio.
Considerato in diritto
1. - Il pretore di Brindisi, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di passaggio dal rito speciale previsto per le controversie individuali di lavoro a quello ordinario, avanzata concordemente dai procuratori delle parti in causa, ha, con sufficiente motivazione, giudicato pregiudiziale la risoluzione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2068, comma secondo, del Codice civile, in riferimento agli artt. 3 e 39, della Costituzione. L'applicabilità alla specie dell'art. 446 del Codice di procedura civile, infatti, presuppone che il rapporto di lavoro domestico rientri tra i "rapporti di lavoro e di impiego che sono o possono essere disciplinati da contratti collettivi o da norme equiparate" e che, quindi, la relativa controversia rientri tra quelle individuali di lavoro, per le quali, a sensi dell'art. 429 dello stesso Codice, deve essere seguito il rito speciale. Conseguentemente, si appalesa necessario porre e decidere la anzidetta questione di legittimità costituzionale.
2. - La Corte, con la sentenza n. 101 del 1968, ha dichiarato inammissibile, per difetto di rilevanza, la stessa questione sollevata (solo) in riferimento all'art. 39, comma quarto, della Costituzione, argomentando dal fatto che l'articolo 2068, comma secondo, del Codice civile sottrae alla disciplina del contratto collettivo i rapporti di lavoro concernenti prestazioni di carattere domestico e che nel giudizio a quo non era stata prospettata o accertata l'applicabilità alla specie di alcun contratto collettivo operante nel settore del lavoro domestico.
Con quella sentenza si é affermato che con l'art. 2068, comma secondo, il legislatore "si rivolge alle associazioni sindacali, dotate di autonomia collettiva con efficacia generale, e vieta alle stesse che si possano servire dello strumento, sia pure ad esse connaturale, del contratto collettivo, e però non detta alcuna disposizione destinata ad operare direttamente nei confronti dei consociati". E si é ritenuto di dover constatare "la mancata attuazione dell'art. 39, ultimo comma, della Costituzione e l'assenza e di sindacati registrati e di contratti collettivi, con efficacia generale, posti in essere a sensi di quella disposizione".
Non si é per altro escluso che nell'art. 39, considerato nella sua interezza, risieda la garanzia costituzionale anche per l'autonomia collettiva delle associazioni sindacali operanti secondo le norme ed i principi di diritto privato.
3. - Con l'ordinanza di rimessione, come si é sopra ricordato, la detta questione di legittimità costituzionale é stata prospettata in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione.
Il divieto, contenuto nell'art. 2068, comma secondo, in primo luogo urterebbe - secondo il pretore di Brindisi - contro il principio di eguaglianza, perché "pone una discriminazione non giustificata tra prestatori d'opera, escludendo - in caso di tutela giurisdizionale dei diritti derivanti dai rapporti di lavoro - la categoria degli addetti ai servizi domestici dal rito del lavoro, che gli artt. 445 e 446 del Codice di procedura civile qualificano "speciale", attese le notevoli particolarità del procedimento e del trattamento tributario".
La questione, proposta in codesti termini, appare fondata.
La Corte, con la ricordata sentenza n. 101 del 1968, non ha mancato di dare atto che il settore del lavoro domestico, disciplinato ex legge, é "tendenzialmente portato a costituire anche oggetto dell'autonomia collettiva".
Anche se a proposito del tipico e caratteristico modo di essere del rapporto di lavoro subordinato, e cioè del lavoro nella impresa, esistono segni, anche recenti, dell'intervento legislativo dello Stato, risultano, del pari concretamente, elementi e indizi nel senso sopra rassegnato nel campo del lavoro domestico. L'esistenza di una disciplina legislativa, risultante dalle norme del Codice civile e soprattutto da quelle della legge 2 aprile 1958, n. 339, denuncia e conferma l'orientamento diretto a sostituire o integrare l'autonomia privata in materia di lavoro domestico, ma nel contempo non esclude e addirittura prospetta come eventuale e possibile l'autonomia collettiva, di diritto privato, nella stessa materia. In particolare, la legge n. 339 del 1958 prevede, per i lavoratori domestici, "associazioni di categoria a carattere nazionale" (art. 2, comma secondo) e "associazioni sindacali di categoria" (articoli 11, comma secondo, e 12, comma secondo), e per i datori di lavoro (domestico), "associazioni rappresentative delle famiglie" (art. 11, comma secondo), (anche se, nel successivo art. 12, la detta parte é espressa da "persone aventi personale domestico alle proprie dipendenze").
Questi sono, come si é detto, elementi o indizi della già rilevata tendenza, che consentono, anche allo Stato, di considerare i lavoratori domestici come una categoria professionale, nei cui confronti, pur nell'attuale mancanza di associazioni sindacali tipicamente portatrici degli interessi della contrapposta categoria, non può negarsi il ricorso all'autodisciplina collettiva.
Non esistono, in atto, contratti collettivi per lo specifico settore del lavoro domestico, ma, nonostante le difficoltà obiettive, se ne stanno costituendo i presupposti, di modo che appare logica e prevedibile la possibilità che i rapporti di lavoro concernenti prestazioni di carattere domestico vengano disciplinati da contratti collettivi, con la conseguenziale rilevanza delle relative controversie, a sensi e per gli effetti di cui all'art. 429, n. 1, del Codice di procedura civile.
E ciò, ad avviso della Corte, é sufficiente perché la limitazione posta dall'art. 2068, comma secondo, valutata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, si risolva in un trattamento della categoria dei lavoratori domestici, differenziato nei confronti degli altri lavoratori subordinati e privo di una razionale e adeguata giustificazione.
4. - La riconosciuta fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2068, comma secondo, in riferimento all'art. 3 della Costituzione esime la Corte dall'esaminare l'altro e distinto profilo di illegittimità, prospettato in riferimento all'art. 39 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2068, comma secondo, del Codice civile nella parte in cui dispone che sono sottratti alla disciplina del contratto collettivo i rapporti di lavoro concernenti prestazioni di carattere domestico.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.
Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE
Depositata in cancelleria il 9 aprile 1969.