Sentenza n. 100 del 1968
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SENTENZA N. 100

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma secondo, 13 e 72 del Codice postale approvato con R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, e della legge 20 dicembre 1966, n. 1114, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 giugno 1966 dal giudice istruttore presso il Tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di Pontiroli Gian Paolo ed altri, iscritta al n. 221 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 del 24 dicembre 1966;

2) ordinanza 30 aprile 1967 emessa dal pretore di Bologna in sede della speciale procedura sull'inoltro della corrispondenza istituita dalla legge 20 dicembre 1966, n. 1114, iscritta al n. 116 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 15 luglio 1967.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 10 maggio 1968 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il presente giudizio trae origine da due ordinanze emesse in data 21 giugno 1966 e 30 aprile 1967 rispettivamente dal giudice istruttore presso il Tribunale di Bologna e dal pretore della stessa città.

La prima ordinanza risulta pronunciata nel corso di un procedimento penale a carico di Pontiroli Gian Paolo ed altri imputati del reato di pubblicazioni oscene (art. 528 del Codice penale) per aver spedito in Italia alcune riviste edite all'estero, fermate dall'amministrazione postale ai sensi dell'art. 13 del codice postale approvato con R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, in quanto ritenute oscene ed immorali. Nel procedere ad istruzione formale il giudice istruttore ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale oltre che del citato articolo, anche delle norme contenute negli artt. 12, comma secondo, e 72 dello stesso Codice ravvisando un contrasto, in via principale, con l'art. 15 ed, in subordine, con l'art. 21 della Costituzione.

Motivando in punto di rilevanza il giudice a quo precisa che la prova del reato per cui si procede (art. 528 del Codice penale: pubblicazioni oscene) é rappresentata dai plichi contenenti riviste ritenute oscene che l'ufficio postale ha fermato, previa ispezione, esame e giudizio sul loro contenuto, compiuti ai sensi delle vigenti disposizioni di cui si contesta la legittimità. Benché nella specie la rilevanza investa il complesso e dibattuto tema della ammissibilità delle prove cosiddette illecite e cioè illegalmente acquisite, manifesta é la rilevanza della questione del presente caso dato che ove fossero dichiarate incostituzionali le norme impugnate, illegittima dovrebbe dichiararsi l'attività dell'ufficio postale che ha dato modo, col suo operato, tipicamente censorio, di acquisire la prova del reato. La totale invalidità dell'acquisizione materiale delle prove farebbe venir meno ogni elemento di accusa nei confronti degli imputati con un possibile conseguente proscioglimento di essi per inesistenza di fatti.

Nel merito l'ordinanza afferma che la questione non é manifestamente infondata.

Circa il contrasto con l'art. 15 della Costituzione osserva che l'inviolabilità della corrispondenza può trovare un limite solamente nell'intervento dell'autorità giudiziaria nelle sole ipotesi previste da una legge formale. Non certo conforme a tale precetto é la norma contenuta nell'art. 12 cpv. del codice postale che permette ad una non meglio precisata "Pubblica autorità di prendere visione, avere copia e procedere al sequestro della corrispondenza" ancorché "nei casi e nei modi previsti nella legge". Del pari gli artt. 13 e 72 della stessa legge, col vietare la spedizione della corrispondenza, genericamente indicata come contraria alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume e con l'ordinare all'amministrazione postale di non darvi corso, senza prevedere, tra l'altro, con norme aventi valore di legge, come si effettui questo intervento, consentono sostanzialmente all'amministrazione, nella interpretazione e nella prassi vigente, di infrangere del tutto discrezionalmente, e senza intervento dell'autorità giudiziaria, la inviolabilità della corrispondenza.

É pur vero, prosegue l'ordinanza, che la genericità delle disposizioni in esame potrebbe anche consentire una interpretazione compatibile con il richiamato precetto costituzionale, in specie ritenendo che il divieto di dar corso alla corrispondenza si applichi solo nei casi in cui la spedizione di questa costituisca un reato e dopo l'intervento dell'autorità giudiziaria (vedendosi solo in questa la "Pubblica autorità" indicata dall'art. 12 cpv.). Siffatta interpretazione però prescinde totalmente dal testo letterale delle norme in esame e dalla interpretazione ed esecuzione che ad esse hanno dato le successive disposizioni regolamentari (artt. 18, 23 e 33 del R.D. 18 aprile 1940, n. 689) le quali escludono il controllo dell'amministrazione postale soltanto per la corrispondenza epistolare chiusa, ma non pongono nessuna altra garanzia, sostanziale o formale, per tutta l'altra corrispondenza.

Qualora poi si ritenesse che l'invio mediante il servizio postale in pacchi e in buste non chiuse di stampati, non sia compreso nella rigorosa tutela disposta dall'alt. 15 della Costituzione, occorrerebbe esaminare se le norme impugnate non siano in contrasto con l'art. 21 della Costituzione che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero in ogni sua forma. La Costituzione vieta le pubblicazioni a stampa contrarie al buon costume, ma pone la garanzia della riserva di legge e regola con precisi limiti l'intervento della Pubblica amministrazione.

Il confronto di tali principi con l'indeterminatezza delle facoltà consentite all'amministrazione postale sulla corrispondenza non chiusa e quindi sugli stampati con poteri di ampia valutazione di merito, non solo in relazione al buon costume, ma anche con riguardo all'ordine pubblico, consente il dubbio che le predette norme contrastino con l'art. 21 della Costituzione.

La seconda ordinanza é stata emessa in data 30 aprile 1967 dal pretore di Bologna in sede della speciale procedura sull'inoltro della corrispondenza, istituita dall'articolo unico della legge 20 dicembre 1966, n. 1114. Chiamato a pronunciarsi sull'inoltro o meno di una cartolina illustrata fermata dall'amministrazione postale in quanto il contenuto della stessa era stato ritenuto ingiurioso e come tale inammissibile, il pretore ha sollevato di ufficio la questione di legittimità del citato articolo unico della legge n. 1114 del 1966, in riferimento all'art. 15 della Costituzione.

Ritiene il pretore che la legge impugnata (che ha sostituito l'art. 13 del Codice postale di cui al R.D. 27 febbraio 1936, n. 645) avrebbe lasciato margini alla discrezionalità del potere esecutivo con il conferire all'"ufficio postale", non meglio precisato, un potere di ispezione e valutazione censoria ponendosi così in contrasto con l'indicato precetto costituzionale il quale non consente il ricorso a provvedimenti coercitivi d'iniziativa della Pubblica Amministrazione nemmeno per i casi di urgenza e necessità, così come é invece previsto dagli artt. 13, 14 e 21 della Costituzione.

La norma, con l'inciso del suo quarto comma, concernente l'invio della corrispondenza al pretore, avrebbe poi attribuito all'ufficio postale uno speciale potere di adottare un provvedimento cautelare senza alcuna preventiva segnalazione all'autorità giudiziaria. Questo discrezionale potere di fermo della corrispondenza non ha infatti alcun limite territoriale (stante la genericità dell'ufficio postale che può variare e moltiplicarsi lungo l'intero percorso della corrispondenza) né temporale (nella specie la cartolina fu fermata il 17 aprile e pervenne al pretore il successivo 29) dato che il termine ordinano di "ventiquattro ore" previsto dal quinto comma dell'articolo unico sembra riferito al provvedimento d'inoltro o meno della corrispondenza di competenza del pretore. Conseguirebbe da ciò, secondo l'ordinanza, che, senza che l'autorità giudiziaria ne sia informata e senza che la medesima possa pronunciarsi, potrebbe protrarsi nel tempo l'effetto di un intervento censorio suscettivo di vietare concretamente l'esercizio del diritto di usare un mezzo tipico di comunicazione del pensiero in considerazione, diretta o indiretta, del contenuto di questo.

Infine, poiché il decreto del pretore che decide sull'inoltro deve essere notificato lo stesso giorno della emanazione all'ufficio postale ed al mittente identificato e non anche al destinatario, la tutela di quest'ultimo parrebbe ridotta nonostante l'art. 15 della Costituzione non ponga alcuna distinzione tra la libertà di spedizione del mittente e quella di ricezione del destinatario.

Le due ordinanze ritualmente comunicate e notificate, sono state pubblicate rispettivamente nelle Gazzette Ufficiali n. 324 del 24 dicembre 1966 e n. 177 del 15 luglio 1967.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto sia nel giudizio promosso con l'ordinanza 21 giugno 1966 del giudice istruttore di Bologna (atto di intervento depositato il 7 settembre 1966) sia in quello promosso con ordinanza 30 aprile 1967 dal pretore della stessa città (atto di intervento depositato il 4 agosto 1967).

L'Avvocatura sostiene che entrambe le questioni proposte sono infondate.

Per quanto concerne il denunciato contrasto con gli artt. 12 cpv. 13 e 72 del Codice postale, con gli artt. 15 e 21 della Costituzione rileva che le norme impugnate, ed in particolare gli artt. 13 e 72, si limitano a disciplinare determinate condizioni di accesso al servizio postale e tra queste condizioni hanno previsto quelle relative al divieto di spedire oggetti che siano contrari al buon costume.

Ovviamente però il mittente é libero di avvalersi per il trasporto di detti oggetti di altri mezzi a sua scelta che non siano quelli postali.

Aderente ai precetti costituzionali degli artt. 15 e 21, comma sesto, é da ritenersi, anche la norma contenuta nell'art. 12 cpv. del Codice postale. Essa invero non pone un indiscriminato potere dispositivo della corrispondenza da parte dell'autorità pubblica, ma limita tale facoltà "ai casi e nei modi previsti dalla legge". L'ordinanza del resto non ha segnalato e dimostrato che alcuna legge fissi i poteri in materia dell'autorità giudiziaria in modo contrastante con il precetto dell'art. 15 della Costituzione, o attribuisca all'autorità pubblica, ai fini strumentali della prevenzione e repressione delle pubblicazioni e manifestazioni contrarie al buon costume, poteri divergenti da quelli previsti dal citato sesto comma dell'art. 21 della Costituzione.

Per quanto riguarda la questione di costituzionalità dell'articolo unico della legge 20 dicembre 1966, n. 1114, l'Avvocatura osserva anzitutto che la norma impugnata ha integralmente sostituito l'art. 13 del Codice postale dettando anche essa le condizioni per l'accesso al servizio postale ed i limiti entro i quali il servizio stesso é reso. In più il legislatore del 1966 ha ritenuto di dover devolvere all'autorità giudiziaria il compito di decidere sull'inoltro delle corrispondenze aperte proprio a garanzia dei principi della libertà e segretezza della corrispondenza proclamati dalla Costituzione.

Nell'articolo unico della legge non sono affatto contemplati la forma atipica di sequestro ed i provvedimenti cautelari che il pretore ha ritenuto scorgere, ma si é solo prescritta la pura e semplice trasmissione al giudice delle corrispondenze aperte soggette a verifica per mettere l'autorità giudiziaria in condizione, in quest'unico modo possibile, di esaminare l'oggetto materiale sul quale adottare il suo provvedimento limitativo qualora vi ravvisi estremi di pericolo per la sicurezza dello Stato o, come nel caso in esame, di ingiuriosità e di denigrazione.

La disposizione é quindi in rigorosa armonia con l'art. 15 della Costituzione avendo dettato una serie di norme le quali assicurano l'intervento del pretore e lo svolgimento di un procedimento giurisdizionale che prevede anche la possibilità di impugnare davanti al Tribunale il decreto pretoriale.

Tenuto perciò conto del fatto che il potere dispositivo sull'inoltro della corrispondenza é esercitato dal pretore e che la trasmissione della stessa fattane dall'amministrazione postale é il mezzo strumentale perché il detto magistrato possa esercitare tale potere, del tutto ininfluente, ai fini della questione di costituzionalità, é il rilievo contenuto nell'ordinanza in ordine al fatto che la trasmissione possa essere effettuata da un qualunque ufficio postale lungo il tragitto che la corrispondenza deve percorrere per giungere a destinazione. La legge mostra chiaramente di riferirsi all'ufficio che constata l'esistenza delle condizioni di legge per la trasmissione al magistrato ed é altresì evidente che tale invio richiede un certo inevitabile tempo per essere condotto a termine.

Del pari infondato, secondo l'Avvocatura, é l'ultimo rilievo contenuto nell'ordinanza sulla mancanza di tutela del diritto del destinatario di ricevere la corrispondenza. La censura non tiene evidentemente conto che, ai sensi dell'art. 28 del Codice postale, la corrispondenza é di proprietà del mittente sino alla consegna al destinatario e quindi quest'ultimo non ha diritto di vedersi consegnare quella corrispondenza che sia stata dichiarata non inoltrabile dal magistrato.

L'Avvocatura ha presentato in data 9 aprile 1968 memorie illustrative in relazione ad entrambi i giudizi di costituzionalità.

Nella memoria relativa al giudizio promosso con la prima ordinanza fa presente che l'art. 13 del Codice postale é stato interamente sostituito nelle more del presente giudizio con l'articolo unico della legge 20 dicembre 1966, n. 1114, il quale ha profondamente innovato la disciplina relativa alla spedizione a mezzo della posta della corrispondenza contraria al buon costume, devolvendo al pretore il giudizio sull'inoltro o meno di detta corrispondenza. L'immutazione della normativa é tale, ad avviso dell'Avvocatura, da giustificare la restituzione degli atti al giudice a quo perché rinnovi il giudizio di rilevanza nella proposta questione.

Nella memoria relativa al giudizio promosso con la seconda ordinanza l'Avvocatura rileva che l'attività dell'ufficiale postale riguardo al procedimento di competenza del pretore é limitata alla pura e semplice trasmissione della corrispondenza al magistrato; essa é quindi volta al fine di provocare il provvedimento relativo all'inoltro della corrispondenza. Del resto, gli ufficiali postali, in virtù dell'art. 221, ultimo comma, del Codice di procedura penale sono ufficiali di polizia giudiziaria. Non é quindi in contrasto con l'art. 15 della Costituzione il fatto che la procedura avanti il pretore tragga origine dalla trasmissione della corrispondenza fatta dall'ufficiale postale; e ciò sia se si consideri detta trasmissione quale conseguente al divieto di inoltrare a mezzo posta determinate corrispondenze, sia se si ponga mente alla indicata qualità di ufficiale di polizia giudiziaria rivestita dall'ufficiale postale.

Insiste, pertanto, l'Avvocatura per l'infondatezza della proposta questione.

 

Considerato in diritto

 

1. - I giudizi promossi con le due ordinanze indicate in epigrafe possono essere riuniti e decisi con unica sentenza, avendo ad oggetto questioni di legittimità costituzionale evidentemente connesse, sebbene riguardanti norme contenute in distinti testi legislativi.

2. - Nella prima ordinanza il giudice istruttore penale del Tribunale di Bologna muove censure d'incostituzionalità agli artt. 12 cpv., 13 e 72 del Codice postale, approvato con R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, denunciando il loro contrasto, in primo luogo, col principio della libertà della corrispondenza, sancito dall'art. 15, comma secondo, e, in via subordinata, col principio della libertà di manifestazione del pensiero, garantito dall'art. 21 della Costituzione.

Prima di tali questioni occorre però esaminare la richiesta, formulata dall'Avvocatura dello Stato nella sua memoria del 9 aprile 1968, in ordine alla necessità di disporre la restituzione degli atti al giudice istruttore perché rinnovi il giudizio di rilevanza sulle proposte questioni, dato che, nelle more del giudizio di costituzionalità, l'art. 13 del Codice postale é stato sostituito con l'articolo unico della successiva legge 20 dicembre 1966, n. 1114, che ha profondamente innovato la disciplina relativa alla spedizione della corrispondenza contraria al buon costume, devolvendo al pretore il giudizio sull'inoltro o meno di detta corrispondenza.

Tale richiesta non può essere accolta. Dall'ordinanza di rimessione si desume chiaramente che la definizione del giudizio principale é subordinata alla soluzione delle questioni di costituzionalità sollevate nei riguardi delle norme impugnate. In modo particolare poi é proprio la disposizione dell'art. 13 - ai sensi della quale l'ufficio postale ha disposto il fermo dei plichi contenenti riviste ritenute oscene, fornendo così la prova del reato contestato (art. 528 del Codice penale: pubblicazioni oscene) - che viene censurata dal giudice a quo. Ed é ovvio che a tale disposizione più propriamente va riferita la motivazione dell'ordinanza nel punto in cui afferma che manifesta é la rilevanza della questione proposta dato che, ove fosse dichiarata l'incostituzionalità della norma, illegittima dovrebbe ritenersi l'attività dell'ufficio postale che ha dato modo, col suo operato, di acquisire una prova, dalla cui dichiarazione d'invalidità potrebbe conseguire un possibile proscioglimento degli imputati per inesistenza dei fatti.

3. - Venendo all'esame delle singole censure, la Corte ritiene che pienamente fondata sia quella relativa all'art. 13 del Codice postale in riferimento all'art. 15, comma secondo, della Costituzione. Il precetto costituzionale invocato, oltre ad enunciare il principio della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, stabilisce che la loro limitazione può avvenire "soltanto per atto motivato dall'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge". La libertà riconosciuta non é quindi assoluta ma suscettibile di limiti in riferimento ad altri interessi, individuali o collettivi; ciò che tuttavia occorre, perché le limitazioni siano legittime, é che le stesse siano previste dalla legge e siano disposte con atto motivato dall'autorità giudiziaria.

Ora é di tutta evidenza che la norma contenuta nel citato art. 13, per il fatto di autorizzare l'Amministrazione postale a non dar corso alla "corrispondenza che possa costituire pericolo alla sicurezza dello Stato, o recar danno alle persone e alle cose, e che sia contraria alle leggi, all'ordine pubblico a al buon costume", non rispetta il sistema di garanzie del richiamato precetto costituzionale. Essa, infatti, contiene l'attribuzione all'Amministrazione postale del potere, discrezionale ed autonomo, di non dar corso alla corrispondenza e non prevede l'intervento dell'autorità giudiziaria e neppure l'obbligo di fare ad essa immediato rapporto in ordine alla corrispondenza fermata. Questa, pertanto, può essere trattenuta negli uffici postali a tempo indeterminato o addirittura venir distrutta ai sensi degli artt. 39 del Codice postale e 33 del Regolamento approvato con R.D. 18 aprile 1940, n. 689.

Trattasi perciò di norma che, esponendo la libertà di corrispondenza a possibili limitazioni e ingerenze senza la garanzia dell'intervento dell'autorità giudiziaria, va dichiarata costituzionalmente illegittima.

Tale dichiarazione dispensa, ovviamente, la Corte dall'esame dell'altro motivo d'incostituzionalità mosso alla norma esaminata in riferimento all'art. 21 della Costituzione.

Resta a dire delle altre disposizioni contenute negli artt. 12 cpv. e 72 del Codice postale.

Nei riguardi della prima norma, secondo la quale "la pubblica autorità, nei casi e nei modi previsti dalla legge, ha facoltà di prendere visione, avere copia e procedere al sequestro della corrispondenza", la Corte rileva che non possono porsi le denunciate questioni di costituzionalità. L'inciso "nei casi e nei modi previsti dalla legge" chiarisce che si é qui in presenza di una norma di rinvio, la quale, ben lungi dal concedere a qualsiasi pubblica autorità il potere di prendere visione, aver copia o sequestrare la corrispondenza, demanda ad altre disposizioni la indicazione delle autorità cui spetta tale potere nonché dei casi e dei modi in cui esso sia esercitabile. Dal che consegue che solo nei confronti di tali ultime disposizioni potrebbero eventualmente venire in considerazione questioni di costituzionalità, come quelle di specie, denuncianti l'attribuzione dei poteri in esame ad autorità diverse dalla giudiziaria ed in casi e con modalità contrastanti con i precetti sanciti dagli artt. 15 e 21 della Costituzione.

Per quanto concerne poi l'art. 72 é da osservare che con esso il legislatore si é limitato a porre il divieto, penalmente sanzionato, di spedire oggetti che possano cagionare danno o costituire pericolo per persone o cose, o la cui circolazione sia contraria alle leggi, all'ordine pubblico, al buon costume.

Il giudice a quo ha operato un collegamento tra gli artt. 72 e 13 ravvisando nel loro combinato disposto la violazione del precetto contenuto nell'art. 15 della Costituzione e, in via subordinata, di quello contenuto nell'art. 21. Dalla motivazione dell'ordinanza risulta però che il giudice in sostanza lamenta soltanto che non siano stati determinati, in armonia coi principi della Costituzione, i modi ed i limiti da osservare nel maneggio e nell'esame della corrispondenza da parte dei dipendenti postali.

Le doglianze non attengono, quindi, all'art. 72 del Codice postale, col quale il legislatore ha legittimamente posto dei limiti alla libertà di corrispondenza, ma all'art. 13 del quale é già stata riconosciuta l'illegittimità costituzionale.

4. - Nella seconda ordinanza, emessa dal pretore di Bologna, si sostiene che anche l'articolo unico della legge 20 dicembre 1966, n. 1114, che ha sostituito l'art. 13 del Codice postale, é in contrasto con l'art. 15, comma secondo, della Costituzione. Si lamenta in particolare che la nuova legge: a) avrebbe attribuito agli uffici postali il potere di adottare provvedimenti cautelari senza alcuna preventiva segnalazione all'autorità giudiziaria; b) avrebbe lasciato all'Amministrazione margini di discrezionalità nel potere di fermo della corrispondenza non avendo fissato alcun limite né di ordine territoriale (non precisando in alcun modo quale ufficio lungo il percorso possa ordinare il fermo), né di ordine temporale (mancando la indicazione di un termine per la comunicazione del fermo all'autorità giudiziaria); c) avrebbe, infine, trascurato di tutelare la libertà di ricezione della corrispondenza non prevedendo la notifica o comunicazione al destinatario del decreto del pretore che decide sull'inoltro della corrispondenza.

Ad avviso della Corte tali doglianze non sono fondate.

La nuova legge, innovando completamente rispetto all'originario art. 13, ha disciplinato il procedimento di fermo della corrispondenza in modo conforme al dettato costituzionale. Essa ha, infatti, disposto che l'ufficio postale é tenuto ad inviare la corrispondenza fermata al pretore, il quale, con decreto motivato, decide entro ventiquattro ore se questa debba aver corso. Avverso tale decreto - che nello stesso giorno dell'emanazione va notificato all'ufficio che ha inoltrato l'oggetto e al mittente, ove sia identificabile - può essere proposto reclamo al Tribunale che decide con sentenza in camera di consiglio. La norma in esame, proprio per adeguarsi alle garanzie dettate dalla Costituzione, ha quindi tolto all'Amministrazione il potere di arrestare autonomamente l'inoltro della corrispondenza ed ha istituito uno speciale procedimento, di competenza dell'autorità giudiziaria, sostanzialmente valido ed idoneo ad attuare la tutela del diritto del singolo all'inviolabilità della corrispondenza.

É da escludere che anche nel nuovo sistema normativo l'Amministrazione conservi, sia pure in via provvisoria, poteri discrezionali di fermo tali da legittimare i dubbi di costituzionalità prospettati. L'intervento dell'ufficio é dalla norma circoscritto alla trasmissione della corrispondenza sospetta al pretore: trattasi perciò di attività meramente strumentale, diretta esclusivamente a sollecitare l'intervento del giudice, svolta da dipendenti dell'Amministrazione postale che, nell'esercizio delle loro attribuzioni, sono anche ufficiali di polizia giudiziaria. Nessuna potestà censoria resta quindi all'Amministrazione postale.

La mancanza, poi, nella disposizione, della indicazione di un termine per la trasmissione al giudice non vizia la norma. La lacuna si colma infatti con la interpretazione logica. Se un termine brevissimo - ventiquattro ore - é stato previsto per la decisione del pretore, e se nello stesso giorno dell'emanazione deve eseguirsi la notifica del decreto, é chiaro che immediata deve essere anche la trasmissione della corrispondenza al magistrato da parte dell'Amministrazione postale per non incorrere nelle conseguenze che dal ritardo nell'adempimento di tale dovere possono derivare.

Quanto alla censura relativa alla mancanza di una indicazione specifica dell'"ufficio postale" che lungo il percorso della corrispondenza possa ordinare la trasmissione della stessa al magistrato - mancanza la quale potrebbe dar luogo a reiterati fermi della corrispondenza -, é facile obbiettare che, una volta intervenuta una pronuncia giudiziaria liberatoria, la corrispondenza non può essere fermata legittimamente da nessun altro ufficio dell'Amministrazione postale.

Quanto, infine, alla mancata previsione di una notificazione del provvedimento del magistrato al destinatario della corrispondenza, non si riesce a vedere come essa possa essere considerata in contrasto con l'art. 15, comma secondo, della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 13 del R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, contenente la legge postale e delle telecomunicazioni;

dichiara non fondata la questione relativa alla legittimità costituzionale degli artt. 12, comma secondo, e 72 del citato R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, sollevata con ordinanza del 21 giugno 1966 dal giudice istruttore penale del Tribunale di Bologna, in riferimento agli artt. 15 e 21 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione relativa alla legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 20 dicembre 1966, n. 1114, concernente "Sostituzione dell'art. 13 del Codice postale e delle telecomunicazioni approvato con R.D. 27 febbraio 1936, n. 645", sollevata con ordinanza del 30 aprile 1967 del pretore di Bologna, in riferimento all'art. 15 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.

 

            Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI -  Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1968.